La ricerca si muove anche a Fermo.
Di Laura Gioventù
È il terzo raffreddore che prendo quest’anno.
Dopo una settimana la tosse non accenna a passare e prima che degeneri in qualcosa di più serio decido di andare dal medico.
Passo mezza giornata a fare anticamera nell’ambulatorio per farmi prescrive uno sciroppo.
Ottenuta la prescrizione, con la ricetta in mano, vado subito in farmacia.
Manca poco all’ora di chiusura. Arrivo, come al solito, all’ultimo minuto. Hanno già abbassando le serrande ma la porta è ancora aperta. Ci metterò cinque minuti, non mi dovrebbero fare storie.
Sperando nella bontà del farmacista provo ad entrare lo stesso.
-Permesso, posso? Buongiorno dottore, avrei bisogno di questa medicina.- dico mentre mi avvicino al bancone e passo la ricetta al farmacista.
Il dottore prende in mano il foglio e legge. Controlla da computer la disponibilità del prodotto poi apre uno dei cassetti del grande mobile che ricopre tutta la parete alle sue spalle, estrae un flacone, me lo mostra e dice:
-Dunque Signora, la medicina che le hanno prescritto va bene ma in alternativa potrebbe provare questo prodotto ….-
-… mi consiglia il farmaco generico?- gli dico mentre osservo la boccetta.
-No, questo cara signora non è un farmaco generico ma è uno sciroppo preparato in laboratorio. Una delle nostre preparazioni farmaceutiche …- mi risponde il farmacista.
-Le fate voi? Ma come, dove, qui?- gli domando.
-Sì, li prepariamo qui. Nel retro di questa farmacia c’è un piccolo laboratorio.-
-Per cui lei mi sta dicendo che sareste in grado di rifare qualsiasi altro tipo di farmaco?-
-Ovviamente no. Non tutti, ma i principali. Prepariamo anche integratori di sali minerali e vitamine e poi creme cosmetiche…per la couperose, la psoriasi, la cellulite… e tante altre…- precisa il farmacista.
Interessante questa cosa, penso. Mi ha convinta.
-Va bene, se me lo consiglia lei …- gli dico - …mi dia pure questo sciroppo. Voglio provarlo.-
Pago, ritiro il sacchetto con la medicina ed i tre euro di resto.
L’ora della chiusura è passata da oltre dieci minuti. Il dottore si toglie il camice, lo appoggia sulla sedia dietro al bancone e si avvicina alla porta d’ingresso. Ma invece che aprirla per farmi uscire la chiude dall’interno con doppia mandata. Pensavo volesse accompagnarmi all’uscita, ma in pratica mi chiude dentro.
-Mi segua, le voglio mostrare una cosa.- mi dice il dottore.
Resto immobile. Ferma. Come paralizzata. Seguirlo? E dove? Che cosa dovrà farmi vedere? È già tardi e devo andare a casa…non ho altro tempo da perdere…
-Non si preoccupi, venga pure, ci vorrà solo qualche minuto…- mi dice mentre con la mano mi fa cenno di seguirlo.
Ci vorrà solo qualche minuto, ma per fare cosa? Che significa? Cosa faccio, vado? Non vado? Dovrei assecondarlo? Non lo so. Non so cosa fare, so solo che voglio andarmene al più presto da qui!
Da dietro il bancone s’intravede un’altra stanza.
In qualche modo dovrò pure uscire.
Decido di seguirlo.
Entro nel magazzino della farmacia. Il dottore fa strada camminando davanti con passo deciso. Attraversiamo tutta la stanza fino ad un corridoio. Ci sono delle porte. Altri ambienti. Forse il bagno, forse anche un ufficio. Ma lui tira dritto senza mai fermarsi ed io continuo a seguirlo fino ad arrivare alla fine del corridoio. C’è un’ultima porta. Il dottore la apre e siamo fuori.
È l’uscita di servizio della farmacia. È l’ora di pranzo e per la strada non si vede anima viva.
-Mi venga dietro …- mi dice mentre attraversiamo la via.
Camminiamo per una ventina di metri fino ad arrivare davanti una grande porta a vetri senza insegne e nemmeno il campanello.
-Prego, si accomodi pure. - mi dice il farmacista invitandomi ad entrare.
La stanza è grande e molto luminosa. Mi guardo in torno. Ci sono strani aggeggi. Riconosco un microscopio. Sulla parete destra c’è un lavello ed un lungo piano di lavoro in acciaio e poi, vetreria sparsa ovunque, provette , alambicchi e bottiglie. Sulla sinistra uno scaffale aspetta solo di essere riempito dal contenuto dei cartoni chiusi parcheggiati all’angolo. Ed ancora libri, barattoli, sacchetti ed altri oggetti appoggiati a terra.
-Allora, che ne pensa?- mi domanda il dottore rompendo il silenzio.
-Che ne penso? Penso che è carino … sì, bèh oddio, a parte il disordine …. Mi scusi se mi permetto, non si offenda, ma qui sembra sia scoppiata una bomba! Mi faccia capire … ma dove mi ha portata, nel laboratorio della farmacia? È qui che lei prepara lo sciroppo che ho appena comprato?- gli domando mentre mi aggiro per il locale.
Mi muovo con molta cautela, facendo attenzione a dove metto i piedi. Ho paura di rompere qualcosa. Tutti quei vetri hanno l’aria di essere molto fragili.
-No, signora, no. Gli sciroppi li preparo nel laboratorio della farmacia. Questo invece è mio. Mi scusi per la confusione, ma l’ho preso in affitto da poco e devo ancora terminare il trasloco. Mancano le ultime cose...- mi spiega il dottore.
-Mi perdoni, ma non capisco. Perché ha aperto un laboratorio, a cosa le serve se non ci prepara le medicine?- gli dico.
-Perché ho un bisogno, realizzare un sogno!
Vede, la carriera universitaria è stata lunga e per niente remunerativa. Non potendo fare il mantenuto a vita ho preferito al dottorato un lavoro più sicuro e mi sono messo a fare il farmacista, ma la mia vera passione è sempre stata la ricerca!
Faccio esperimenti da sempre. Ho cominciato nella mansarda di casa dei miei genitori che avevo tredici anni e non ho mai smesso. Vede questo?- mi dice, indicando una macchina appoggiata vicino al lavello.
-Questo è un mescolatore sottovuoto. E le vede tutte queste attrezzature e tutti questi materiali?
Li ho comprati con i soldi guadagnati facendo il farmacista. Perché, anche se fare questo lavoro non è mai stata la mia massima aspirazione mi permette di “finanziare” il mio sogno.- aggiunge.
-…lavora come farmacista e si autofinanzia…interessante…- commento ad alta voce.
-Sì, per ora non ho altra scelta … pensi che per pubblicare il libro che ho scritto sulla galenica me lo sono dovuto auto-finanziare perché non ho trovato qualcuno che fosse disposto ad investire su di me.
La ricerca non da garanzie in questo paese. Chi vuole rimanere nell’università è costretto ad andarsene all’estero. E chi decide, come me, di rimanere, ha scarse possibilità. Se hai un progetto, soprattutto nel campo delle sperimentazioni, nessuno ti aiuta. Nessuno è più interessato ad investire in capitale umano, ma solo nella produzione materiale e nel commercio. Qui si finanziano i fatti concreti, non i sogni.-
-E le istituzioni?-domando.
-Le istituzioni locali spesso sottovalutano il problema. Ci dovrebbe essere una maggiore sensibilità e una maggiore considerazione per questi temi. Non basta parlarne, servono aiuti concreti!
Poi c’è anche la famiglia.
La famiglia da un lato sostiene economicamente tutti i tuoi studi e ti fa laureare, ma poi, una volta uscito dall’università ti incoraggia al “lavoro subito” per non essere più da peso.
Per cui spesso, spinti dalla voglia di autonomia, davanti all’ipotesi di “gavette” lunghe ed altrettanto dispendiose ma piene di opportunità e la possibilità di un impiego immediato e sicuro ma senza grandi prospettive, si ripiega nella soluzione più rassicurante e meno incerta.
Dall’altro però quella stessa famiglia ti riempie di soldi, soddisfa ogni tua richiesta,ogni bisogno materiale. Non ti fa mancare nulla. La famiglia è l’ancora di salvezza per chi resta, perché male che vada si è sempre con le spalle coperte. Anche se il lavoro non lo trovi comunque hai sempre la sicurezza di un tetto sopra la testa. Insomma, non si è mai troppo “disperati”, per fortuna. Ma è proprio questo “benessere”, questa “fortuna”, questa “sicurezza” che inibisce qualsiasi stimolo per cui non si hanno grandi ambizioni, non si sente la necessità di “creare” qualcosa...-
-Non si direbbe la stessa cosa di lei…però…- osservo.
-Io sono uno di quelli che sono restati. Ho delle idee, ci credo e voglio realizzarle, dimostrando che si può fare anche rimanendo qua. Non mi sono mai fermato, ho continuato a studiare, sperimentare e fare pubblicazioni. Ovviamente sempre gratis. Naturalmente non basta scrivere un libro ed autofinanziarselo, bisogna anche promuoverlo. E per farlo conoscere e fami conoscere oltre che pagarmelo l’ho distribuito gratuitamente. Il mio non è mica un romanzo di Muccino e non pretendo di far soldi con un libro! Ma proprio grazie ad esso l’anno scorso sono riuscito ad ottenere un incarico come docente per un master annuale di galenica organizzato dall’università di Camerino.-
-Ma se fa il farmacista a tempo pieno, come fa a conciliare il suo lavoro con l’insegnamento o anche solo ad avere una vita privata?-gli domando.
-Sacrificando molto del mio tempo libero. Le lezioni me le preparavo nel fine settimana, mentre per l’insegnamento al corso ho utilizzato tutti i miei giorni di ferie. Non è sempre facile. I momenti di sconforto non mancano. Tengo i piedi in più staffe, ma non mollo. Piuttosto faccio piccoli passi, ma vado avanti. Ora ho preso in affitto questo locale per proseguire i miei studi e per continuare con i miei test e gli esperimenti. Qui potrò organizzarmi meglio e lavorare con più tranquillità! …e cominciano ad arrivare anche i primi risultati, a dicembre, infatti, mi hanno riconfermato la cattedra al master per il secondo anno!-
Ascoltando la storia del farmacista non mi sono resa conto del tempo che passava. Per me si è fatto davvero tardi. Gli faccio i miei più sinceri auguri per i suoi progetti e me ne vado lasciandolo nel suo mondo di vetrini e becher ma, mentre cammino per riprendere l’auto e tornare a casa non posso far altro che ripensare al suo racconto.
Le sue parole mi hanno trasmesso entusiasmo. Mi hanno fatto capire che è ancora possibile realizzare i sogni, bisogna solo crederci!
Salendo in macchina mi ritornano alla mente anche le parole di Luca Barbarossa nell’ultima intervista che ho fatto. Il cantautore romano consiglia ai giovani di andare, di inseguire i loro sogni, di tentare e di mettersi in gioco, perché se non lo facciamo ora che siamo giovani non lo faremo mai più. Ma dice anche che “in tutte le professioni bisogna essere pronti a studiare, a sacrificarsi, a mangiare pane e polvere per parecchio tempo e poi forse ad avere dei risultati.”
Chissà, magari tra qualche anno al farmacista consegneranno anche il Premio Nobel, oppure no, lo scoprirà solo provandoci. Comunque vada sarà un successo, perché potrà dire di averci provato, perché potrà dire di non avere rimpianti nella vita.
Ancora non ho preso lo sciroppo, ma già mi sento molto meglio. Ascoltare questa storia deve aver sortito un effetto placebo perché la mia tosse sembra sparita.
E lo so che state pensando che tutta la storia che vi ho raccontato sia inventata, lo so, anche a me avrebbe dato questa idea se l’avessi ascoltata da qualcun altro, ma è tutto vero. Come faccio a saperlo, come faccio ad esserne certa? …ma è semplice, il farmacista è mio fratello.
Buona galenica a tutti.
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