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venerdì 5 giugno 2015

Poche elette. Di chi la colpa?




Quando la statistica si racconta senza citare i colpevoli diventa solo un esercizio dialettico che non serve a nulla, eppure per dire le cose come stanno servirebbe avere il coraggio della realtà e la voglia di correre anche il rischio di  non risultare tanto simpatici dicendo le cose per come stanno.

In Italia abbiamo circa la stessa ripartizione di elettori, tanti sono donne e tanti sono uomini, e siamo alla parità, ma poi ci si accorge - guarda caso sempre dopo aver sottolineato le solite riflessioni elettorali - che se ci sono 50 uomini che votano, ce ne sono 80 che vengono eletti, mentre se ci sono 50 donne che votano,  le elette sono solo 20, e per spiegare questo si dicono sempre le stesse amenità senza mai arrivare al nucleo principale del dramma, ovvero che, se ci sono poche donne che vengono elette è principalmente perché le donne non votano per le altre donne.

E le ragioni di questa sfiducia sono ataviche, strutturali, umane, antropologiche e anche politiche, ma non sempre, solo qualche volta, per il resto il voto femminile è sempre più un voto viscerale, e quando votiamo, noi donne, pensiamo a tante cose, usando per ultima la solidarietà femminile. Il caso delle dimensioni forzate imposte all’ex Sindaco di Fermo, Nella Brambatti, ne sono la dimostrazione, infatti non ottennero quella solidarietà femminile che ci si sarebbe aspettata specialmente dalle donne del suo stesso partito.

Ogni tanto si sentono certe citazioni che sconcertano, per esempio una dice che come si odiano le donne fra loro neppure i maschi riescono a farlo con i loro simili, ma quella che più mi fece ridere la disse un tale riguardo le operazioni di chirurgia estetica femminile, mi disse che le donne si rifanno le tette non per attirare i maschi, ma per fare un dispetto alle altre donne, e ripensandoci trovai giustissima la frase, anche se a lui non dissi altro che fosse il solito luogo comune.

E se partiamo dalla pochissima voglia delle donne di far emergere altre donne che non siano loro stesse, e se ci aggiungiamo la cronica mancanza di grandi stimoli politici diversi dal diventare come i maschi, e ci aggiungiamo ancora la totale mancanza di una forma e di una sostanza politica coniugata al femminile, il quadro sarebbe più chiaro e dovremmo ammettere che tra i tanti partiti o movimenti, l’unico in grado di dare almeno la parvenza di parità dovremmo dire che sia il Movimento 5 Stelle.

Per citare il colpevole non bisognerebbe ricorrere all’ipocrisia di dare la colpa ad altre situazioni perché le prime ad essere colpevoli di non mandare tante donne, per quanti sono gli elettori, in amministrazioni o Parlamenti vari sono in prima istanza le donne stesse.
Infatti ai maschi si tende a scusare tutto, del resto l’istinto materno questo ci comanda, ma verso le donne non perdoniamo niente, che siano le chiacchiere da bar o solo le ingiuste considerazioni maschili circa certi lati B delle giovani politiche. Noi donne scusiamo ai maschi pance prominenti e villanerie degne del peggiore postribolo, mentre verso le altre donne siamo sempre pronte a sparare le solite invidie represse o le infamie che raccontiamo alle amiche con il piacere sottile dell’ingiuria fine a se stessa.

Ricordiamoci alle prossime elezioni di votare le altre donne per smentire il luogo comune, ma sono quasi certa che le mie saranno parole al vento. La prossima volta, magari, le elette saranno ancora meno del previsto, ma a quel punto il vero colpevole lo conosceremo prima che commetta il reato.

Laura Gioventù


sabato 11 ottobre 2014

Turismo e trend che cambiano



Aprendo il guardaroba mi sono accorta che negli anni avevo riempito l’armadio di abiti e accessori frutto più di scelte modaiole che di vera necessità vestiaria, ed ora moltissimi di quei vestiti sono ormai fuori moda, ma allo stesso tempo mi sono accorta che a volte gli acquisti erano frutto di un impulso condizionato dalle tendenze che la moda, anno dopo anno, imponeva e impone ancora oggi.
Per cui troppe volte seguiamo con più attenzione il trend piuttosto che la necessità, mentre altre volte ci vogliamo accontentare di ciò che abbiamo, e per pigrizia mentale, non vogliamo aggiornare, e così corriamo il rischio di apparire “datati” oppure solo non attuali e questo condiziona il giudizio che hanno di noi le altre persone, fino al punto da influenzare valutazioni umane ma anche professionali perché, se nel caso dell’abbigliamento, una certa mancanza di aggiornamento potrebbe essere causato della crisi economica, per quello che riguarda l’aspetto professionale, non aggiornarsi o non percepire il cambio epocale o solo non cogliere il trend del momento, potrebbe escluderci da possibili avanzamenti di carriera oppure solo non aumentare il fatturato per avere la possibilità di continuare ad essere presenti con nuove quote sul mercato.

E questo ragionamento calza a pennello per ciò che riguarda il Turismo di Porto San Giorgio e la sua crisi attuale.
Da certi numeri sembra che il settore del turismo sia meno colpito dalla crisi rispetto ad altri settori, ma a leggere meglio le cifre ci si accorge che il settore turistico è cambiato moltissimo negli ultimi anni e il trend parla di un notevole interesse verso zone geografiche intermedie piuttosto che solo costiere o solo montane, ma parla anche di un diverso modo di consumare il tempo delle vacanze, non più tempi lunghi e una volta l’anno, bensì tempi corti ma molte più volte l’anno, e le ragioni di questo cambiamento sono diverse.

A cambiare sono state anche le mete turistiche, o forse sono aumentate negli ultimi decenni le proposte turistiche che prima erano appannaggio solo di ristrette categorie di persone, facoltose principalmente, e parlo di zone una volta elitarie oppure di viaggi una volta troppo costosi per gli stipendi medi, località una volta sogno proibito dei vacanzieri ora, invece, molto più abbordabili per la massa, e questo contribuisce a cambiare i parametri della scelta turistica, offrendo una maggiore possibilità di confrontare e paragonare  fra loro località e offerte turistiche solo pochi anni fa impensabili, al punto da creare vere e proprie classifiche, classifiche dalle quali molte località nostrane hanno perso posizioni di vetta per scivolare verso il basso della classifica in maniera indecorosa e questo è ciò che riguarda la clientela Italiana.

Per quello che riguarda la clientela straniera, assistiamo alla richiesta di località e di sistemazioni che premiano strutture come B&B, Country House ed Agriturismi, soluzioni turistiche molto più gradite al pubblico straniero, che non sceglie più il mare, specialmente il nostro, se con cifre molto minori può accomodarsi su litorali molto meno costosi e spesso molto più belli, mentre ha scoperto che per la parte collinare l’Italia, e le Marche, hanno moltissimo da offrire e spesso di primissima qualità, e con l’aggiunta di maneggi, piscine e Spa, le location che offrono vacanze rurali sopra citate sono ai primi posti delle richieste straniere.

Da ciò si comprende la crisi turistica di Porto San Giorgio, che non è dovuta solo per la mancanza di richieste balneari, ma anche alla mancanza di aggiornamento e di attenzione al trend turistico che è ormai decisamente cambiato, e che sta penalizzando molto la città nel suo insieme, perché abbiamo alberghi vecchi con proprietari che non hanno investito quando dovevano farlo, hotel senza parcheggi privati per i clienti e spesso costosi per i servizi che offrono, strutture vetuste e obsolete che vedono solo nel cambio di destinazione d’uso la speranza per sopravvivere alla crisi, modificandosi da alberghi ad appartamentini "alveare" da vendere o stra-vendere a caro prezzo ai limitati amanti delle seconde o terze case.

Unitamente alla mancanza di aggiornamento privato, esiste una mancanza cronica di aggiornamento pubblico, argomento scabroso che farà rizzare i peli agli addetti al settore e da trattare senza false ipocrisie o soluzioni usa e getta, perché l’avere un litorale che non sa più attrarre per mancanza di bellezza e di divertimenti organizzati, lascia campo libero solo alle famiglie monoreddito una volta numerose mentre ora lo sono sempre meno - altro trend poco considerato quello del calo dei componenti le famiglie Italiane - e si continua a permettere di affittare al nero le seconde case a Porto San Giorgio senza creare una lista o una gestione meno caotica di questo patrimonio immobiliare non all’altezza del costo esoso dell’affitto stesso.

La città non ha parcheggi sufficienti e neppure piste ciclabili adeguate, è la città con il più alto tasso di popolazione per kq delle Marche e in alcuni scorci tale è il degrado che sembra una città in abbandono dando ai turisti la brutta sensazione di essere capitati nel posto sbagliato e non, in quella che una volta si definiva la Perla dell'Adriatico , la vita sociale e culturale è sempre meno creativa e le iniziative pubbliche contano molto solo sui mercatini ormai di scarso valore commerciale, non ci sono grandi locali notturni nè spazi collettivi per il consumo intelligente del tempo libero, non c’è nessuna iniziativa che la faccia ricordare o solo citare nelle cronache turistiche o culturali nazionali relegandola fra le curiosità piuttosto che fra le mete preferite, insomma Porto San Giorgio dal punto di vista turistico ha moltissimo da migliorare e da cambiare, iniziando con l’atteggiamento meno altezzoso dei suoi cittadini verso il turista e lo sviluppo di una vocazione al turismo che ora come ora è inesistente, anche fra gli addetti al settore.

Date queste premesse la cosa da chiedersi è come incrementare il flusso turistico con queste poche cose che rimangono, come e quando iniziare l’ormai irrinunciabile aggiornamento strategico per non rischiare di scivolare in classifica oltre la linea negativa di non ritorno, come è accaduto a tutte quelle località turistiche che credevano sufficiente ed eterno il solo essere sulla cartina geografica, non volendo comprendere per tempo che nulla resta tale per sempre, anche il più bel vestito del mondo dopo qualche anno perde di fascino e va cambiato, anche se ne siamo molto affezionati.

Laura Gioventù

lunedì 21 maggio 2012

L’Infinita.

Senza Tutto. 
Imparare a vivere non avendo più nulla, neppure un paio di scarpe.  
Di Laura Gioventù



Sono migliaia la persone che nel sisma hanno salvato la vita, ma hanno perso la casa ed il resto.
Con i soli abiti che indossano vanno incontro ad una esistenza che non avrebbero mai creduto di conoscere. Dove le due parole chiave sono: niente e poco.

La recente e tragica scossa di terremoto in Emilia Romagna e quella che ha coinvolto la città de L’Aquila e la sua Provincia tre anni fa, oltre ai molti defunti, a causa dell’ora in cui si sono manifestate, hanno generato una particolare situazione per i sopravvissuti, l’ora notturna ha impedito alla maggior parte delle popolazioni interessate, di potersi allontanare dai luoghi del sisma senza poter organizzare nessuna particolare preparazione personale, con la singolare incongruenza di non poter neppure indossare le scarpe per scappare, sia per la situazione oraria sia perché per drammi come questi non basterebbe il primo paio di scarpe ma servirebbe una scarpa apposita con determinate caratteristiche di confort e di praticità.

Ed è proprio partendo da questa assurda drammaticità, che proponiamo un modo preciso per aiutare fattivamente queste popolazioni, sia per non disperdere in mille rivoli gli aiuti umanitari, sia per dare vita ad un nuovo modo di considerare il rapporto fra aiuti e capacità professionali.

La Regione Marche e il distretto Fermano in particolare, sono famosi nel mondo per le loro numerose e prestigiose aziende calzaturiere, che oltre ad un ottimo rapporto produzione-qualità, hanno la tradizione di essere aziende con una componente umana molto forte grazie alla quale si potrebbe dare vita ad una produzione specifica di un determinato tipo di calzatura.  Un tipo di calzatura progettata dai giovani stilisti Fermani, realizzata dalle aziende calzaturiere Fermane,  promossa e finanziata direttamente dalla Regione Marche, grazie agli aiuti economici che si verranno a raccogliere, in modo da dare vita ad una scarpa appositamente studiata per i casi di calamità naturali.

La calzatura diventerebbe sia un primo aiuto umanitario diretto e funzionale, sia patrimonio culturale e produttivo dell’intera Regione al punto da, per raccogliere ulteriori aiuti economici, poter eventualmente avviare una vendita comune al pubblico attraverso prezzi controllati e controllo dei rivenditori.

La Regione Marche diventerebbe in questo modo, da un lato dispensatrice di commesse di lavoro, per le proprie aziende territoriali, dall’altra svilupperebbe nel comparto calzaturiero un concetto di solidarietà produttiva precisa e non generalizzata, proponendo uno dei prodotti per i quali la Regione stessa è famosa nel mondo.

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mercoledì 8 febbraio 2012

La neve un tot a palata?

La neve un tot a palata?
Di Laura Gioventù




Porto San Giorgio - la neve al porto turistico - 4 febbraio 2012


Sta montando una polemica sull’utilizzo dell’Esercito per liberare dalla morsa della neve i paesi e le città Marchigiane. Utilizzo non gratuito, ed è questa la novità rilevante. Per ogni componente dell’Esercito e per ogni mezzo usato c’è, come al supermercato, il prezzo con tanto di specifica se ci sia da aggiungere vitto e alloggio oppure no, chissà se l’IVA sia compresa oppure no? A noi questa sorpresa appare stupefacente, ma tenendo presente che siamo in regime di crisi, e che anche l’Esercito Italiano si deve autofinanziare, come se non bastassero i miliardi di euro che diamo noi tutti per tenerli in vita, ci sono due considerazione da fare in merito.
La prima è che con questo prezziario si è dato corso legale alla liberalizzazione dei servizi, tanto voluta dal primo ministro Monti, per cui l’Esercito, che ha mezzi e personale, si mette sul mercato, ma arrecando una concorrenza scorretta e sleale nei confronti di quei privati che volessero offrire lo stesso servizio sperando in un incasso adeguato, ma non avendo i mezzi già pagati dal contribuente, concorrenza che l’Esercito invece pratica avendo i mezzi già pagati dai cittadini per ben altri scopi e personale che costa tanti soldi per specializzarlo e farlo finire a spalare neve non ci sembra un ritorno economico allo stesso livello. L’altra anomalia sta nell’uso delle proprie risorse, per cui se oggi l’Esercito mette il listino prezzi per i suoi servizi, allo stesso tempo anche un qualsiasi Comune Italiano un domani potrebbe fare la stessa cosa, per cui: per manifestare il costo sarà di tot euro, per sfilare magari lo stesso tot scontato, ma il bello sarebbe far pagare allo Stato - giustamente a questo punto - l’affitto delle scuole usate come seggi elettorali. Perché dare gratis e con la conseguente chiusura  delle attività didattiche se poi, arrivata la neve, per liberare le strade si dovrebbe pagare l’Esercito? Per cui rispetto per tutti ma se alla prossima sfilata degli Alpini la città ospitante chiedesse, in cambio dell’uso delle piazze, un ritorno in denaro nessuno del ministero della Difesa si deve offendere, ma semmai dovrebbero pensare che una sfilata è una festa, mentre una nevicata è una disgrazia che colpisce cittadini inerti e spesso privi dei mezzi per superare la catastrofe.
Liberalizziamo pure, ma che sia una liberalizzazione equa e non un tot a palata.


pubblicato su ... informazione.tv
e su ... lindiscreto.it

sabato 18 dicembre 2010

CRONACHE FERMANE

C’è posta per me.
Di Laura Gioventù




Ieri sera ho aperto la cassetta delle lettere per vedere se c’era posta per me ed ho trovato ancora una volta il solito avviso in casella!
Lunedì.
Lunedì ore 11.30.
E oggi che giorno è?
Ho perso il conto, i giorni passano troppo veloci.
Faccio mente locale…
Dunque, vediamo…lunedì?
Lunedì sono rimasta tutto il giorno a casa.
Ma non mi hanno trovata, eppure io c’ero. E nonostante ci fossi, mi hanno lascito l’avviso!
Questa è bella!
Peraltro nessuno ha suonato alla mia porta. A meno che non sia diventata sorda e rimbambita d’un colpo il portalettere ha lasciato la comunicazione senza nemmeno accertarsi che in casa ci fosse qualcuno.
Ci risiamo, questo è l’ennesimo avviso lasciato nella buca proprio mentre ero a casa.
Questa mattina vado nella sede centrale dell’ufficio postale per recuperare la lettera.
Allo sportello c’è una ragazza che conosco, le racconto la vicenda e le chiedo spiegazioni.

-Come è possibile che succedano queste cose?-

-In quella zona hanno mandato un nuovo postino che resterà fino alla fine del mese. E purtroppo a gennaio ne manderanno un altro.- mi spiega la ragazza.

-Sono i portalettere a tempo che Poste Italiane assume in alcuni periodi dell’anno.
Tutta gente in gamba, tranne qualche eccezione.
L’eccezione c’è sempre perché a volte arrivano persone che tutto hanno meno che voglia di lavorare. C’è sempre quello che non si impegna e che non gliene frega niente di consegnare la posta. Cercano solo di sbrigarsi e per fare prima lasciano l’avviso! Non si preoccupano di verificare se sei in casa, e se si ricordano di bussare alla porta, non ti danno nemmeno il tempo di scendere per firmare che già se ne sono andati!
Il tuo non è certo il primo episodio che capita…
-

-E questo mi dovrebbe consolare? -

-…del resto le assunzioni non vengono mai riconfermate. Poste Italiane preferisce chiamare sempre gente nuova per scongiurare possibili vertenze e ricorsi.
Per ora che si impara a conoscere la zona e si prende dimestichezza con il lavoro ecco che il contratto scade. Questi ragazzi sanno benissimo che non verranno più chiamati per cui fare il proprio dovere o fregarsene non cambia assolutamente nulla. Non sono incentivati ad impegnarsi!
Mettici pure che quello del portalettere è un lavoro particolare e faticoso. La posta è pesante, ci si alza presto la mattina, si lavora anche il sabato, ci si sposta in motorino e questa non è proprio la stagione più bella per le due ruote. Fa freddo e quando piove, beh, quando piove la posta va consegnata ugualmente! Per un contratto di tre mesi pensano ... “ma chi me lo fa fare?”
E la ragazza che ti ha lasciato l’avviso in cassetta è una di quelle che non s’ammazza certo per il lavoro! È una neodiplomata che non ha voglia di studiare e nemmeno di lavorare…-


-Fammi capire, non vuole studiare, non vuole lavorare, ma allora che cosa vuole fare, continuare a giocare con le bambole? -

-La postina le piacerebbe pure, ma quella con i tacchi a spillo e nella famosa trasmissione televisiva della De Filippi!-

-Questo certamente non sarà il lavoro che tutti sognano ma in mancanza di un’occupazione stabile conviene sempre accettare. È pur sempre un lavoro, un lavoro dignitoso al pari di qualsiasi altro e che per di più ti lascia molto tempo libero!-

-proprio così, ti permette di avere mezza giornata libera ed uno stipendio di milleduecento euro di tutto rispetto! L’azienda rimborsa anche i pasti!-

-E dei soldi, nemmeno di quelli le importa?!-

-Dei soldi se ne frega, tanto poi c’è mamma e papà ed è sempre meglio continuare a dormire tutti i giorni fino a tardi!-

-Ma io NON me ne frego assolutamente! Questa mattina ho fatto più di un’ora di fila per ritirare questa benedetta raccomandata ed oltre al tempo perso ho dovuto pure pagare il parcheggio! E tutto questo perché la signorina aveva troppa fretta per suonare il campanello?
Domani l’aspetto sotto casa!-

Cosa dovrebbe dire allora la mia amica che con due figli lavora a tempo pieno in un’agenzia di assicurazione per novecento euro al mese? Lei che pur di non lasciare il posto è costretta a ricorrere alla babysitter perché gli orari di lavoro nelle Marche non tengono conto di chi è anche una mamma. A lei che corre come una trottola dalla mattina alla sera  e che gira metà dello stipendio alla tata chi glielo fa fare??? Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi.

Insomma, è un mondo difficile!
C’è chi pur di lavorare è disposto anche a mettere da parte la laurea e c’è chi invece non ha voglia di fare nulla. C’è chi il lavoro non lo trova e si accontenta di quello che capita e c’è anche chi il lavoro lo trova ma non lo vuole!

Ah, dimenticavo, sapete poi cosa c’era di tanto importante in quella raccomandata?
Un invito!

E mentre guardo l’invito penso che c’è anche chi per fare carriera e per crescere professionalmente è costretto ad andarsene da qui, dal suo paese ...
Dal mio parrucchiere il mese scorso è arrivata da Milano una ragazza bravissima che ha lavorato per tanti anni nei backstage delle sfilate di moda. Siccome viene da Milano tutti la vogliono, tutti la cercano…ma in realtà lei non è milanese ma Marchigiana doc. Una Marchigiana di Sant’Elpidio a Mare!
A Milano ha potuto trovare il degno riconoscimento della sua professionalità e del suo valore, mentre qui non ci riusciva, perché qui nelle Marche nessuno gli dava fiducia.
Qui nelle Marche Sporche solo se vieni da Milano ti stanno a sentire altrimenti nemmeno ti prendono in considerazione, siamo così provinciali che proprio così ci comportiamo.
Succede anche per la promozione delle nostre scarpe. Noi facciamo le scarpe, ma la promozione la affidiamo agli altri…. Perché?

È giunto il momento di cominciare a curare meglio i talenti di casa nostra invece di farli scappar via per andarli poi a cercare altrove...
Ma in tutto ciò c’è ancora qualcosa che mi sfugge...
Del resto un Dante Ferretti ve lo immaginereste alla Promonta? E Neri Marcorè che ricopre i tacchi? Non avrebbero avuto il successo che hanno se fossero restati nelle Marche.
Da noi restano solo gli svogliati?
Non credo.
Ci teniamo i parassiti della società, quelli che si lasciano trasportare dalla corrente, che vivono di inerzia, che non hanno obiettivi, scopi, sogni e desideri, e la cui unica aspirazione è non fare niente? Se puoi sognarlo, puoi farlo…ma se non sogni nulla????
Che cos’è che manca a chi rimane? Un progetto? Uno scopo?
Non abbiamo dato gli strumenti ai giovani?
L’intera generazione di chi ha solo pensato a cucire le tomaie nei sottoscala ora dà le chiavi delle auto di grandi cilindrate ai propri figli, restando svegli la notte per la preoccupazione, ma gliela danno anche se non se la sono meritata.
Il benessere ha portato alla mancanza di stimoli per cui abbiamo padri che dormono la notte producendo benessere di giorno e figli che di notte si divertono, almeno fanno finta di divertirsi, e di giorno cercano lavori che non ci sono perché quelli che trovano li rifiutano o perché quelli che potrebbero fare li facciamo fare ai milanesi???
Esiste un’etica del lavoro o un lavoro etico?
Ma di chi è la colpa di quello che succede oggi, se poi sono gli stessi genitori che giustificano i propri figli…ma sono solo dei ragazzi…la vita va vissuta…divertiti pure finchè puoi…c’è tempo per mettere la testa a posto…e magari restano a casa fino a 50 anni in attesa di diventare grandi!?!?

Insomma, era meglio quand’era peggio?

Non credo.

Impossibile ritornare al passato...bisogna avere una chiave di lettura aggiornata, o forse solo l’umiltà di non dimenticare da dove veniamo per non spaventarci troppo vedendo dove stiamo andando.

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venerdì 20 agosto 2010

CRONACHE DEL RICORDO

Passeggiando in bicicletta … tra passato, presente e futuro.
Di Laura Gioventù


Contadini fotodi Gianluca Stradiotti da www.fotocommunity.it


Oggi è quiete, la quiete dopo la tempesta. Ma anche quella che precede il temporale è quiete!
Vabbè, comunque sia, dopo l'acquazzone estivo di ieri è arrivato uno splendido sole, sono da poco passate le 16 ed è il momento ideale per uscire e fare un giro in bicicletta. Mi sembra l’occasione giusta per testarla dopo il restauro. La bicicletta, infatti, modello olandese, apparteneva a mia madre che l’acquistò nel 1973 con i soldi che aveva risparmiato trapuntando, sotto casa, le scarpe. Noi siamo “scarpari”, non ce lo dimentichiamo. E per anni è stata dimenticata in garage, abbandonata alla polvere e alla ruggine, fino a quando, insieme con mia sorella, abbiamo cercato di sistemarla alla meglio.
Monto in sella e scendo per il grande viale alberato che si affaccia sulla provinciale.
Come giro l’angolo mi accorgo di una piccola tabaccheria di cui ignoravo l’esistenza, nonostante, da quando mi sono trasferita qui due anni fa, ci passi davanti quotidianamente.
Sarà per la fretta oppure l’abitudine, ma con la macchina ci si concentra a guardare solo la strada, mentre ora sulle due ruote è buffo vedere come si cambi completamente scenario e punto di vista.
Proseguendo verso Fermo, la strada si fa un pò in salita ma la mia pedalata rimane comunque fluida.
Umidità ed afa sono scomparse ed è come se la pioggia avesse lavato anche l’aria che, così frizzante, rende meno cocente il sole di agosto.
Pedala che ti pedala, all’improvviso, mentre attraverso la viuzza di una piccola frazione, sento la bicicletta girare a vuoto e mi accorgo che la catena è uscita dalla sua sede.
E per fortuna che l’avevamo messa a posto! Questo è un bel guaio – mi dico- ed ora come faccio? Per la solita fretta di uscire, quella fretta maledetta che mi frega sempre, ho dimenticato pure il cellulare a casa!
Mi trovo davanti delle vecchie case tutte attaccate tra loro che stringono formando un piccolo borgo. Faccio alcuni passi con la bicicletta “a barbetta” ed intravedo l’insegna anni settanta di una piccola officina. La serranda è alzata così mi avvicino sperando di trovare qualcuno che possa aiutarmi ma,  non appena faccio leva sulla maniglia della porta per entrare, mi accorgo che è chiuso. Provo allora a suonare il campanello.
- Cocca, non c’è nessuno è inutile che insisti! – sento dire,
mi guardo subito intorno per vedere da dove proviene la voce. Mi giro e vedo tre signore anziane sedute davanti l’uscio di una piccola abitazione, tutte intente ad osservare la scena in silenzio.
- Scusi signora, chiedo ad una delle tre, sa per caso se torneranno? L’officina è chiusa, cerco qualcuno che mi sistemi la catena della bicicletta. Chi mi potrebbe aiutare?-
Penso di essere capitata davanti le solite vecchie comari brontolone, rincoglionite e pure un po’ impiccione ma, nonostante la mia  perplessità, mi avvicino procedendo a slalom tra i vasi di coccio di gerani spelacchiati che disegnano sul marciapiede uno pseudo recinto.
- Io ho aspettato tutta la vita che tornasse mio marito. Partì per la guerra e non è più tornato. Ancora lo sto aspettando … figlia mia, non tornerà nessuno, l’officina è chiusa! Il proprietario se n’è andato a miglior vita. Anche la casa è vuota, i figli fanno la loro strada e non hanno tempo per i loro vecchi …eh…la “capezzaja”(1) è dura …. ma fammi un po’ vedere qual è il problema …- Mi dice l’anziana signora,
mentre si alza dalla sedia mezza sgangherata e si china per controllare la mia bicicletta.
Minuta, con la schiena curva, la vestaglia a fiorellini incrociata alla vita e lo sguardo severo mi ricorda tanto mia nonna,che parlava proprio come questa signora e comincio a domandarmi chissà quanti anni avrà. Difficile stabilirlo, sicuramente più di ottanta, forse ottantacinque oppure novantacinque....magari anche duecento.
- Ora ci sono le macchine ma ai nostri tempi avevamo solo le biciclette per spostarci e quando eravamo noi a pedalare, dietro avevamo file di giovanotti che ci corteggiavano ogni domenica all’uscita dalla Chiesa. Aspettavano tutta la settimana per poter scambiare due parole, solo due parole con noi...facevamo le preziose…-
E mentre la prima signora era tutta concentrata a trafficare sulla bicicletta, l’altra proseguiva.
- Il sabato si andava a piedi fino a Grottazzolina, con il canestro in testa per vendere la uova al mercato. Facevamo più di dieci kilometri per fare due soldi che mettevamo via per comprare la biancheria, che faceva da corredo per quando ci si maritava...- , racconta la donna seduta sulla panchina di cemento.
Gli anni l’hanno appesantita e i piedi sembra stiano per spararle tanto sono gonfi. E’ tutta presa nel ricordo della sua gioventù e mentre parla sembra gli si sia risvegliato l’ardore di un tempo. Ma questa viene subito interrotta dalla terza donna, impaziente, come i bambini quando fanno a gara a chi corre più veloce, di prendere parola anche lei.
- Non avevamo niente, e molti di questi ragazzi partirono per l’America e l’Australia in cerca di lavoro. Alcuni si sposarono e si costruirono una vita là e non tornarono più in Italia. Di altri ci restano solo i sorrisi e le acconciature piene di brillantina. Chissà ora dove saranno tutti sti ragazzi….Anche le donne partivano, ma non tutte. Io sono rimasta qua ad aspettare per più di otto anni. Ci si sposava ma si restava tutti in famiglia e io avevo i figli troppo piccoli.- Dice la terza donna,
forse la più anziana di tutte, con il volto segnato, l’aria affaticata e la mano destra un po’ tremolante appoggiata ad un bastone.
Continuano a parlare, continuano a raccontare, continuano a ricordare sovrapponendosi fra loro, e hanno tutta l’intenzione di non smettere più.
- La domenica la “vergara” faceva la “pannella”(2). Non compravamo quasi nulla, il pane e la pasta li facevano in casa ogni settimana. Del maiale ammazzato a luna calante non buttavamo via niente e con il grasso avanzato e con la soda ci facevamo il sapone. Attorno al “callà”(3) stavamo ore a mescolare e quando, il sapone non veniva bene per l’invidia dei vicini che avevano malaugurato era una grossa disgrazia.-
-ma queste sono solo vecchie credenze, non è che per caso invece sbagliavate qualcosa nella ricetta?- mi permetto di interromperle.
-No, no, il sapone non veniva per l’invidia dei vicini oppure quando c’era una donna che aveva il ciclo e toccava il bastone che si usava per mescolare! E poi con quello stesso sapone andavamo al fiume a lavare a mano le lenzuola. E dopo averle lavate ci colavamo sopra la cenere con l’acqua bollente. I vestiti, anche quelli ce li cucivamo in casa. La mia era una famiglia numerosa, eravamo otto figli e ci scambiavamo i vestiti tra fratelli. Ci prestavamo anche le scarpe. I primi, di ritorno dalla messa della domenica, le passavano agli altri….i miei fratelli maschi ora sono tutti morti ma io li penso ancora….-

Donne anziane, donne sole, donne sedute sull’uscio delle loro case in un silenzioso riposo, donne a cui non avrei dato neppure un soldo di fiducia ed invece, invece sono proprio loro che mi aggiustano la bici mentre mi raccontano, prese dai ricordi e assalite dalla nostalgia, di quando essere abbronzati costituiva motivo di vergogna perché significava essere dei contadini, che prima di andare a scuola a piedi si “stramavano”(4) i maiali, di quando c’era solo il camino per scaldarsi in inverno e prima di coricarsi si scaldava il letto con “il prete e la monaca”(5), di quando i materassi erano fatti con le sfoglie del granoturco, di quando il ferro da stiro era di ferro e di quando le Marche erano sporche e per andare a Roma si faceva la Salaria a dorso di somaro.

Sono passate più di due ore, la mia bicicletta è sistemata e, mentre ritorno verso casa, ripenso a tutte le storie che mi hanno raccontato e che si confondono con i miei ricordi di bambina, quando mia nonna mi raccontava le stesse cose. Ma io avevo completamente dimenticato del sapone fatto in casa e la “pannella” non ho mai imparato a farla.

Sempre più spesso nella gente che incontro percepisco un disinteresse crescente, soprattutto per le nuove generazioni, nel conoscere le nostre tradizioni. Quasi un rifiuto, come se fosse motivo di vergogna che i nostri nonni fossero stati mezzadri.

Tutti questi racconti, spesso pieni di credenze popolari, sembrano vecchi di secoli ma sono stati realtà fino settant’anni fa. In poco più di cento anni la nostra epoca ha visto grandi cambiamenti. Cambiamenti talmente repentini che si rischia di dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Cambiamenti pieni di storie, storie simili a quelle ascoltate, nelle quali queste donne hanno vissuto direttamente, anche se i protagonisti furono altri come loro, diventando presenze silenziose, testimoni di avvenimenti umani tutti da raccontare e da registrare,
e mentre pedalavo pensavo che se non le conservassimo la nostra storia, la storia della vita contadina della Marca Fermana non sarà mai raccontata fino alla fine per come è stata, ma solo per come ci piacerebbe fosse stata e andrà perduta per sempre.

Se non si corre ai ripari registrando tutte queste storie presto perderemo l'identità, la nostra identità, e a quel punto non ci servirà a niente fare le sagre se non ricorderemo il perché da noi il salame si chiama “ciabuscolo” o “ciauscolo”, e che vuol dire “vincisgrassi” e a cosa servono le ricorrenze se nessuno si ricorderà per cosa, se non raccogliamo tutte queste testimonianze tramite interviste o appositi centri di raccolta. Perderemo pure la ricetta del sapone.

È un grande paradosso fare appello alla nostra tradizione e alla Storia di Marca Fermana quando non sappiamo nemmeno conservare questo valore.
Ecco allora che, sulla stessa esperienza fatta alcuni anni fa in Piemonte, si potrebbe dar vita ad un vero e proprio Archivio della Memoria.

La Regione Piemonte finanziò tra il 1993 ed il 1996 un gruppo di ricercatori che andarono nei piccoli paesini ad intervistare gli anziani, con l’intento di documentare, attraverso le fonti orali, l’esperienza di guerra dei reduci del Primo conflitto mondiale ancora presenti sul territorio della provincia di Biella. Un’operazione di recupero e di valorizzazione della memoria e della storia orale dettato dall’urgenza della conservazione e che da una piccola porzione del territorio piemontese si estese alle altre province del Piemonte concludendosi nel 2007 in Lombardia con la videointervista a Delfino Borroni, l’ultimo reduce italiano della Grande guerra.
Facendoli parlare riuscirono a produrre un archivio della memoria notevole, chi parlava dei Savoia e chi del grande Torino, chi della prima macchina Fiat e chi della montagna.
Insomma, attraverso le interviste riuscirono nel compito di memorizzare una parte della storia.

La stessa cosa potrebbe fare la Provincia di Fermo che in forma simile potrebbe allestire dei centri di raccolta dislocati presso i centri sociali dei vari paesini, ed incaricare alcuni ragazzi di intervistare le persone anziane facendo delle video-interviste, raccogliendo racconti, storie e foto. Sarebbe un tentativo di fare storia “dal basso” dando voce, attraverso il ricordo sollecitato, alle persone qualunque, generalmente estranee ai circuiti della memoria “ufficiale” e per questo destinate a non lasciare tracce evidenti.




Note.
(1) Capezzaja, chiamasi l'inizio e la fine del campo da arare. L’espressione “…è dura la capezzaja” si usa, sempre più raramente, come eufemismo per indicare la vecchiaia, ovvero l'ultimo pezzo di vita più difficile come la fine del campo da arare dove diventa difficile girarsi con l’aratro.
(2) Pannella, ovvero “sfoglia” di pasta fresca all’uovo. Materia prima per lasagne o tagliatelle, in base a come viene tagliata.
(3) Callà, abbreviazione di “calderone”, grande contenitore in rame.
(4) Stramare, ovvero abbeverare il bestiame.
(5) Prete e Monaca, nome usato per indicare quella struttura di legno che si posizionava nel letto tra il materasso e la coperta. Al centro di questa struttura si piazzava una ciotola con manico di terracotta, la monaca, nella quale veniva messo carbone acceso e cenere che riscaldavano il letto. Il prete impediva alle lenzuola di essere a contatto con il carbone e di prendere quindi fuoco.

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domenica 8 agosto 2010

SONO SOLO CANZONETTE...?

Intervistar cantando. 

Intervista al Presidente della Regione Marche, Gianmario Spacca di Laura Gioventù

“…A noi cafoni ci hanno sempre chiamato
ma qui ci trattano da signori,
che quando piove si può star dentro
ma col bel tempo veniamo fuori.”

Titanic – Francesco De Gregori

La nostra è terra di emigrazione antica, ma anche moderna, spesso questa condizione ha posto i Marchigiani nella scomoda posizione dei cafoni della canzone, ora i tempi sono cambiati ma, volendo dare un segnale culturale e sociale di questo cambiamento, in cosa potrebbe consistere l’orgoglio di essere cittadini delle Marche, basta un attore famoso come testimonial per farci sentire meno lontani dall’Europa e dal mondo, oppure bastano le nostre esportazioni delle calzature?

Ha ragione, le Marche sono state terra povera, di emigrazione, ma hanno saputo ritagliarsi uno spazio di primo piano in Italia e in Europa, grazie alla forza della loro gente. Noi vogliamo continuare a scrivere questa storia. Quella narrata dallo spot di Dustin Hoffman,  è una strategia di comunicazione che punta a un rilancio della nostra regione su tre fronti: il sentimento dei marchigiani di se stessi, la percezione del resto del Paese delle Marche e il mercato turistico internazionale. Le Marche sono una grande Regione, con una straordinaria qualità della vita testimoniata da diversi indicatori. La crescita del Pil negli ultimi dieci anni  la più  alta tra le regioni italiane, tutte le cinque province marchigiane sono tra i primi dieci posti in Italia per Bil, la classifica sulla qualità della vita che si basa sugli indicatori del rapporto Stiglitz. E ancora, deteniamo il record per speranza di vita, per numero di bandiere blu, verdi e arancioni, abbiamo il maggior numero di teatri storici al mondo, siamo al primo posto insieme alla Toscana per quantità di beni culturali. I marchigiani, però, hanno il piacere della ritrosia, della minimizzazione, dell'umiltà: sono virtù che, in un sistema globale, narcisistico e fortemente competitivo, rischiano di impoverire le nostre opportunità. Questo spot rappresenta un salto: è una sfida prima di tutto a noi stessi rispetto al futuro che ci attende. Intendiamo infatti modificare il nostro profilo: è il ritrovato orgoglio per la nostra storia, la bellezza e l'armonia della nostra regione, per il nostro lavoro. Siamo la regione più manifatturiera d'Italia e il made in Italy all'estero è per lo più made in Marche: penso alla calzatura, all'abbigliamento, all'industrial design. La nostra comunità vuol essere protagonista non solo del proprio futuro, ma anche di quello di un Paese alla disperata ricerca di modelli virtuosi come il nostro, policentrico e  opposto a quello metropolitano oggi dominante.

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“…troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante
e quasi sempre dietro la collina è il sole.”


La Collina dei ciliegi – Lucio Battisti

La nostra è la regione delle colline, colline come confine e colline come alibi. Si potrebbe dire che il nostro isolamento culturale sia atavico oppure solo apparente e questo nuovo modo di vivere la sera con allegria e divertimento lo sta a dimostrare?


Sì, in effetti siamo la regione delle “rolling hills”. Come già detto, più che di isolamento parlerei di ritrosia. Le Marche sono da secoli la porta verso Oriente. Sono numerosi i marchigiani che hanno saputo gettare il cuore oltre l’ostacolo, o per dirla con il grandissimo Leopardi, ebbero il coraggio di guardare oltre la siepe e andare alla scoperta del mondo. Uno su tutti: Padre Matteo Ricci che conquistò la stima dell’Imperatore cinese e ottenne l’onore di essere seppellito in quella terra. Un marchigiano più famoso in Cina di quanto non lo sia Marco Polo. Ma tornando ai giorni nostri potrei parlare anche di un eroe contemporaneo come il medico Carlo Urbani che ha dedicato la sua vita al bene degli altri nei paesi più poveri della terra. E di giovani marchigiani che ogni giorno superano idealmente o concretamente i nostri confini e portano le Marche nel mondo ce ne so tantissimi. Giovani entusiasti e propositivi che sanno anche divertirsi la sera, ma con responsabilità.

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“Siamo figli di mondi diversi una sola memoria
Che cancella e disegna distratta la stessa storia”


Ti scatterò una foto – Tiziano Ferro

Da qualche anno siamo diventati anche una regione di immigrazione, l’amalgamarsi fra le varie cittadinanze ed etnie sembra meno cruenta che in altre regioni, il divertimento in senso lato ha facilitato tale amalgama, anche grazie alla musica e agli spettacoli teatrali, questa è una lezione per la politica per dotarsi degli strumenti giusti, oppure solo frutto della voglia di scambi umani dei giovani?

Le relazioni economiche, commerciali, politiche sono importanti, i progetti di cooperazione allo sviluppo altrettanto, ma da soli non bastano. Per una vera integrazione tra i popoli occorre il dialogo e la conoscenza reciproca delle culture, delle arti, della musica, delle tradizioni. Su questi elementi si basano le relazioni più stabili, si consolidano le amicizie più durature e si costruisce la pace.
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“La libertà non è star sopra un albero
non è neanche il volo di un moscone
la libertà non è uno spazio libero
libertà è partecipazione.”


La Libertà – Giorgio Gaber

Spesso si sente dire che le persone si disamorino di tutto e che si stia andando verso una deriva di disimpegno, il divertimento e il voler cercare distrazioni sono il segno di questo malessere oppure il segnale di ripresa per una partecipazione sempre più consapevole?

Non sarei così pessimista. E’ vero, il mondo di oggi, con le sue tecnologie, il suo andare veloce, ci distrae spesso da quello che più conta: gli affetti, l’impegno per un ideale. Ma il mio ruolo mi porta a incontrare e conoscere tantissime persone in tutta la regione e vedo che i marchigiani non sono affatto disamorati, non stanno affatto andando verso una deriva di disimpegno. Sono interessati, vogliono capire che cosa chi governa il loro territorio sta realizzando e perché lo fa. Tantissimi, e questo è davvero un aspetto che va sottolineato in questa campagna elettorale, sono anche i giovani candidati al Consiglio regionale, questo a dimostrazione del fatto che l’impegno nelle nuove generazioni, è ancora molto vivo. Quanto al divertimento e alla ricerca di distrazioni, bè, sono convinto che nelle attività per così dire “leggere” possano esprimersi gli interessi di ciascuna persona e credo quindi che non si tratti affatto di un’espressione di malessere. E’ semmai la voglia di incontrasi con gli altri, scambiare esperienze ed opinioni.

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“bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà:
tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa!”


Eskimo – Francesco Guccini

A suo parere, potendo fare un azzardato paragone fra i giovani della sua generazione e i giovani di  quella attuale della nostra regione, in cosa i giovani di oggi continuano a non essere propositivi, per una scelta sbagliata del tempo da vivere o per contrarietà?
I giovani marchigiani sono tutt’altro che non propositivi. Lei non si immagina quante ragazze e quanti ragazzi ho avuto occasione di ascoltare in questi cinque anni di legislatura e quanti ne sto ascoltando in questa stimolante campagna elettorale. Ragazzi che hanno idee da proporre alla loro Regione, idee soprattutto per una nuova imprenditorialità nel campo della green-economy, della cultura, del turismo, dell’ambiente. Si tratta di stimoli irrinunciabili per noi politici, perché proprio sulle esigenze e le proposte dei più giovani possiamo misurare la nostra capacità di guardare al futuro, di stare al passo con i tempi. E’ per questo che ho sempre un’attenzione di riguardo per i nostri ragazzi che hanno voglia di dare il proprio contributo alla crescita della nostra comunità: per loro le porte sono sempre aperte.

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“…E mi ricordo chi voleva
al potere la fantasia...
erano giorni di grandi sogni........sai
erano vere anche le utopie
Ma non ricordo se chi c'era
aveva queste facce qui
non mi dire che è proprio così
non mi dire che son quelli lì!”


Stupendo – Vasco Rossi

Sogni, utopie, retaggi di epoche passate oppure moniti per non lasciarsi vivere inutilmente pensando solo alla produzione di denaro e non alla solidarietà umana?….che cosa potrebbero fare i giovani per non abbandonare i loro sogni e le loro utopie?

Crederci, crederci sempre. Capisco che spesso la frustrazione di non veder realizzate certe aspettative, certi sogni, può prendere i ragazzi. Ci siamo passati tutti, anche perché quando si è giovani si vorrebbe avere tutto e subito. Purtroppo il mondo degli adulti non sempre li aiuta a crederci: troppo spesso, soprattutto per chi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro, ci si trova di fronte a muri da scavalcare, a ingiustizie inaccettabili. E’ per questo che la politica e le istituzioni devono dare il buon esempio: trasparenza e regole certe per tutti, regole che tutti, nessuno escluso, devono rispettare, sono le nostre priorità. Solo se ci sarà la garanzia di offrire a tutti pari condizioni di partenza, anche una “sconfitta” sarà meno bruciante.

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“siamo ragazzi di oggi
anime nella città
dentro i cinema vuoti
seduti in qualche bar
e camminiamo da soli
nella notte più scura
anche se il domani
ci fa un po' paura
finché qualcosa cambierà”


Terra Promessa – Eros Ramazzotti

Per coinvolgere i giovani nei processi decisionali che li riguardano, secondo Lei, i ragazzi della nostra Regione dovrebbero frequentare solo bar e cinema pieni oppure, la Regione dovrebbe incentivare l’imprenditoria giovanile specialmente nel settore economico dell’intrattenimento, con finanziamenti e progetti mirati?

Sono convinto che una delle principali chiavi che apriranno le porte per uscire dalla crisi, sarà quella di guardare all’imprenditoria giovanile con sempre maggiore fiducia. E’ per questo che soprattutto negli ultimi anni abbiamo promosso bandi specifici per i giovani che intendono mettersi in proprio, in settori quali il commercio, il turismo, l’intrattenimento, oltre che la più tradizionale impresa manifatturiera. La nostra economia ha bisogno di idee giovani, dell’intraprendenza e della freschezza dei nostri ragazzi. E noi vogliamo continuare ad aiutarli in questo.

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“…e se è una femmina si chiamerà futura.
Il suo nome detto questa notte
mette già paura”


Futura – Lucio Dalla

Si parla sempre delle Marche come di una regione affascinante, avvolgente, intrigante e autentica…come sono le sue donne, ma le stesse donne in questa regione sono parte secondaria e non del tutto espressa,  oppure sarà proprio dal manifestarsi della loro natura Marchigiana che verrà la sorpresa dei prossimi anni in fatto di sviluppo economico e culturale?

Le donne, fin dall’inizio dei tempi, sono sempre state il collante delle nostre comunità, i baluardi delle nostre tradizioni e della nostra cultura. Il loro ruolo le porta a gestire un patrimonio immenso: i valori primari del vivere insieme che sono alla base di una comunità unita e coesa, quali il rispetto, la solidarietà, l’agire per il bene comune, l’umanità, la partecipazione, il senso di responsabilità. Le donne agiscono basandosi sul principio dell’amore. La loro sensibilità è uno stimolo positivo nella costruzione di nuovi programmi e per questo ho già annunciato che se verrò rieletto la Giunta sarà molto colorata di rosa e chissà, magari potrà esserci anche un vicepresidente donna. Per quanto riguarda l’economia è evidente che le cose stanno cambiando e come Regione abbiamo sostenuto concretamente questa tendenza: sempre più donne sono imprenditrici e rivestono ruoli importanti nei settori più disparati.

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“…Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi
quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.”


Certe Notti – Luciano Ligabue

Non mi azzarderei mai a darle del coglione ma..lei le ricorda quelle notti, quei locali o solo piazze, in cui era allegro, ingordo con il vizio di non smettere mai, oppure è sempre stato una persona, come si dice spesso, con la testa sulle spalle?

Certo che sono stato giovane e che mi sono divertito. Gli amici, la piazza, la cena in trattoria, i balli ci sono sempre stati uniti ad uno spirito goliardico che ancora oggi non mi abbandona. Ho sempre pensato però che per divertirsi non sia necessario stordirsi con alcool e droghe.

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e dopo tutti uomini terminiamo con una donna speciale…

“…Ciao, maledetto ciao,
ora sono qui,
prova a resistere.
Ciao, maledetto ciao,
perché si muore già
senza combattere...”


Maledetto Ciao – Gianna Nannini

Lo sa, Presidente, noi donne alla fine siamo sempre romantiche e ci piacciono gli uomini che combattono, la sua battaglia preferita è la politica oppure il cuore di una donna?

L’amore muove il mondo e non può quindi essere classificato né paragonato. Neanche alla politica che pure resta una passione irrinunciabile. E poi, chi ha detto che una cosa escluda l’altra?


pubblicato su ...seratiamo.it