C’è posta per me.
Di Laura Gioventù
Ieri sera ho aperto la cassetta delle lettere per vedere se c’era posta per me ed ho trovato ancora una volta il solito avviso in casella!
Lunedì.
Lunedì ore 11.30.
E oggi che giorno è?
Ho perso il conto, i giorni passano troppo veloci.
Faccio mente locale…
Dunque, vediamo…lunedì?
Lunedì sono rimasta tutto il giorno a casa.
Ma non mi hanno trovata, eppure io c’ero. E nonostante ci fossi, mi hanno lascito l’avviso!
Questa è bella!
Peraltro nessuno ha suonato alla mia porta. A meno che non sia diventata sorda e rimbambita d’un colpo il portalettere ha lasciato la comunicazione senza nemmeno accertarsi che in casa ci fosse qualcuno.
Ci risiamo, questo è l’ennesimo avviso lasciato nella buca proprio mentre ero a casa.
Questa mattina vado nella sede centrale dell’ufficio postale per recuperare la lettera.
Allo sportello c’è una ragazza che conosco, le racconto la vicenda e le chiedo spiegazioni.
-Come è possibile che succedano queste cose?-
-In quella zona hanno mandato un nuovo postino che resterà fino alla fine del mese. E purtroppo a gennaio ne manderanno un altro.- mi spiega la ragazza.
-Sono i portalettere a tempo che Poste Italiane assume in alcuni periodi dell’anno.
Tutta gente in gamba, tranne qualche eccezione.
L’eccezione c’è sempre perché a volte arrivano persone che tutto hanno meno che voglia di lavorare. C’è sempre quello che non si impegna e che non gliene frega niente di consegnare la posta. Cercano solo di sbrigarsi e per fare prima lasciano l’avviso! Non si preoccupano di verificare se sei in casa, e se si ricordano di bussare alla porta, non ti danno nemmeno il tempo di scendere per firmare che già se ne sono andati!
Il tuo non è certo il primo episodio che capita…-
-E questo mi dovrebbe consolare? -
-…del resto le assunzioni non vengono mai riconfermate. Poste Italiane preferisce chiamare sempre gente nuova per scongiurare possibili vertenze e ricorsi.
Per ora che si impara a conoscere la zona e si prende dimestichezza con il lavoro ecco che il contratto scade. Questi ragazzi sanno benissimo che non verranno più chiamati per cui fare il proprio dovere o fregarsene non cambia assolutamente nulla. Non sono incentivati ad impegnarsi!
Mettici pure che quello del portalettere è un lavoro particolare e faticoso. La posta è pesante, ci si alza presto la mattina, si lavora anche il sabato, ci si sposta in motorino e questa non è proprio la stagione più bella per le due ruote. Fa freddo e quando piove, beh, quando piove la posta va consegnata ugualmente! Per un contratto di tre mesi pensano ... “ma chi me lo fa fare?”
E la ragazza che ti ha lasciato l’avviso in cassetta è una di quelle che non s’ammazza certo per il lavoro! È una neodiplomata che non ha voglia di studiare e nemmeno di lavorare…-
-Fammi capire, non vuole studiare, non vuole lavorare, ma allora che cosa vuole fare, continuare a giocare con le bambole? -
-La postina le piacerebbe pure, ma quella con i tacchi a spillo e nella famosa trasmissione televisiva della De Filippi!-
-Questo certamente non sarà il lavoro che tutti sognano ma in mancanza di un’occupazione stabile conviene sempre accettare. È pur sempre un lavoro, un lavoro dignitoso al pari di qualsiasi altro e che per di più ti lascia molto tempo libero!-
-proprio così, ti permette di avere mezza giornata libera ed uno stipendio di milleduecento euro di tutto rispetto! L’azienda rimborsa anche i pasti!-
-E dei soldi, nemmeno di quelli le importa?!-
-Dei soldi se ne frega, tanto poi c’è mamma e papà ed è sempre meglio continuare a dormire tutti i giorni fino a tardi!-
-Ma io NON me ne frego assolutamente! Questa mattina ho fatto più di un’ora di fila per ritirare questa benedetta raccomandata ed oltre al tempo perso ho dovuto pure pagare il parcheggio! E tutto questo perché la signorina aveva troppa fretta per suonare il campanello?
Domani l’aspetto sotto casa!-
Cosa dovrebbe dire allora la mia amica che con due figli lavora a tempo pieno in un’agenzia di assicurazione per novecento euro al mese? Lei che pur di non lasciare il posto è costretta a ricorrere alla babysitter perché gli orari di lavoro nelle Marche non tengono conto di chi è anche una mamma. A lei che corre come una trottola dalla mattina alla sera e che gira metà dello stipendio alla tata chi glielo fa fare??? Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi.
Insomma, è un mondo difficile!
C’è chi pur di lavorare è disposto anche a mettere da parte la laurea e c’è chi invece non ha voglia di fare nulla. C’è chi il lavoro non lo trova e si accontenta di quello che capita e c’è anche chi il lavoro lo trova ma non lo vuole!
Ah, dimenticavo, sapete poi cosa c’era di tanto importante in quella raccomandata?
Un invito!
E mentre guardo l’invito penso che c’è anche chi per fare carriera e per crescere professionalmente è costretto ad andarsene da qui, dal suo paese ...
Dal mio parrucchiere il mese scorso è arrivata da Milano una ragazza bravissima che ha lavorato per tanti anni nei backstage delle sfilate di moda. Siccome viene da Milano tutti la vogliono, tutti la cercano…ma in realtà lei non è milanese ma Marchigiana doc. Una Marchigiana di Sant’Elpidio a Mare!
A Milano ha potuto trovare il degno riconoscimento della sua professionalità e del suo valore, mentre qui non ci riusciva, perché qui nelle Marche nessuno gli dava fiducia.
Qui nelle Marche Sporche solo se vieni da Milano ti stanno a sentire altrimenti nemmeno ti prendono in considerazione, siamo così provinciali che proprio così ci comportiamo.
Succede anche per la promozione delle nostre scarpe. Noi facciamo le scarpe, ma la promozione la affidiamo agli altri…. Perché?
È giunto il momento di cominciare a curare meglio i talenti di casa nostra invece di farli scappar via per andarli poi a cercare altrove...
Ma in tutto ciò c’è ancora qualcosa che mi sfugge...
Del resto un Dante Ferretti ve lo immaginereste alla Promonta? E Neri Marcorè che ricopre i tacchi? Non avrebbero avuto il successo che hanno se fossero restati nelle Marche.
Da noi restano solo gli svogliati?
Non credo.
Ci teniamo i parassiti della società, quelli che si lasciano trasportare dalla corrente, che vivono di inerzia, che non hanno obiettivi, scopi, sogni e desideri, e la cui unica aspirazione è non fare niente? Se puoi sognarlo, puoi farlo…ma se non sogni nulla????
Che cos’è che manca a chi rimane? Un progetto? Uno scopo?
Non abbiamo dato gli strumenti ai giovani?
L’intera generazione di chi ha solo pensato a cucire le tomaie nei sottoscala ora dà le chiavi delle auto di grandi cilindrate ai propri figli, restando svegli la notte per la preoccupazione, ma gliela danno anche se non se la sono meritata.
Il benessere ha portato alla mancanza di stimoli per cui abbiamo padri che dormono la notte producendo benessere di giorno e figli che di notte si divertono, almeno fanno finta di divertirsi, e di giorno cercano lavori che non ci sono perché quelli che trovano li rifiutano o perché quelli che potrebbero fare li facciamo fare ai milanesi???
Esiste un’etica del lavoro o un lavoro etico?
Ma di chi è la colpa di quello che succede oggi, se poi sono gli stessi genitori che giustificano i propri figli…ma sono solo dei ragazzi…la vita va vissuta…divertiti pure finchè puoi…c’è tempo per mettere la testa a posto…e magari restano a casa fino a 50 anni in attesa di diventare grandi!?!?
Insomma, era meglio quand’era peggio?
Non credo.
Impossibile ritornare al passato...bisogna avere una chiave di lettura aggiornata, o forse solo l’umiltà di non dimenticare da dove veniamo per non spaventarci troppo vedendo dove stiamo andando.
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sabato 18 dicembre 2010
lunedì 4 ottobre 2010
CRONACA FERMANA
Torniamo a “Bottega” come nel Medioevo?
Di Laura Gioventù
Il tempo di asciugatura dello smalto per unghie diventa sempre più lungo e a volte sembra addirittura interminabile. È incredibile quanto tempo impiegano le donne dietro queste cose.
Laccare le unghie ci costringe a restare ferme e immobili per molti minuti pur di avere mani e piedi perfetti, ma proprio quando non ci si può muovere arriva quella telefonata tanto importante, si prende il telefono in mano e puntualmente lo smalto, che sembra ormai asciutto, si ammacca e siamo costrette a ricominciare tutto da capo.
Oppure suonano alla porta, come ora, e manco a farlo apposta hai appena messo lo smalto ai piedi. Ti devi alzare, pensi di farcela, tanto è quasi asciutto e invece no, non si sa com’è, ma lo smalto si rovina sempre.
Ma la mia amica Alessandra non poteva trovare momento migliore di questo per passare a trovarmi?
Ogni volta piomba a casa mia senza avvisare.
-Alessandra, vieni vieni, entra e fammi la cortesia di chiudere la porta. Scusa ma non posso muovermi troppo, ho appena messo lo smalto ai piedi e già ho visto che si è rovinato. Sono già due volte che ricomincio da capo. Che mi racconti di bello?-
Ale, così la chiamano tutti per praticità, viene sempre a trovarmi per raccontarmi tutte vicende della sua vita e chiedermi consigli ma in realtà le serve spesso solo qualcuno che la ascolti, molte donne sono così.
-Finalmente ieri, in extremis, ho spedito la domanda per concorrere al “Work Experience” dalla Provincia di Fermo. Il primo di ottobre era l’ultimo giorno utile per inviare la raccomandata. Mancava un giorno alla scadenza del termine e dovevo ancora preparare tutti i documenti! Ero in preda al panico!!!
In realtà il bando è uscito a fine luglio ma come al solito mi sono ridotta all’ultimo minuto…- comincia a raccontare la mia amica.
Alessandra mi conosce abbastanza bene e sa perfettamente che sentire queste cose mi manda in bestia.
Che me le racconta a fare? Sa benissimo come la penso….la fretta fa sempre fare i mici ciechi alla gattina!
-… sei sempre la solita … e che cavolo… da fine luglio ne hai avuto di tempo …!!!- le dico.
-È vero, ma il fatto è che non sapevo a quale azienda rivolgermi!!!- Precisa subito lei quasi a volersi giustificare con me.
-Una azienda? È un concorso pubblico, che c’entra l’azienda?- le chiedo, mentre con l’acetone tolgo lo smalto rovinato dal mio piede destro.
- In pratica la Provincia di Fermo, utilizzando le risorse finanziarie messe a disposizione dai fondi europei, concede a diplomati e laureati 150 borse di studio per fare esperienze lavorative e realizzare progetti di ricerca presso le piccole e medie imprese della Provincia.
Per partecipare bisognava innanzitutto avere un’azienda disposta ad ospitare un borsista per poi elaborare un progetto di lavoro “innovativo” da svolgere presso la stessa per un totale di 30 ore settimanali per la durata di 8 mesi.
Sono disoccupata, ho meno di 35 anni, risiedo in uno dei comuni della Provincia e non ho mai usufruito di precedenti borse lavoro. Ho tutti i requisiti per partecipare ma non avevo l’azienda presso la quale presentare il progetto di lavoro!
Infatti, è condizione essenziale, pena l’esclusione, non aver mai lavorato e non avere rapporti di lavoro in corso con l’impresa ospitante ma, soprattutto, non avere legami di parentela fino al terzo grado o di coniugo con il titolare o i soci della stessa.
Purtroppo le uniche aziende che conosco sono di parenti più o meno acquisiti. Ho anche provato a chiedere in giro ma non ho trovato nessuno cui potesse interessare la cosa. Poi… poi è arrivato agosto, e sai meglio di me come funziona, tutti se ne vanno al mare e non trovi più nessuno che ti dia retta!
Insomma, ci avevo rinunciato!!!-
Quando ti deve raccontare una cosa Alessandra non tralascia mai nessun particolare. A volte questo suo atteggiamento potrebbe risultare un po’ pesante per chi non c’è abituato.
-…e poi invece come hai fatto a trovare l’azienda?- le domando.
- Quando non ci pensavo più ho letto sul sito della Provincia di Fermo che era stato reso disponibile l’elenco delle imprese che avevano dichiarato la loro disponibilità a individuare diplomati e laureati per un’eventuale partecipazione al progetto di “Work Experience” e che si poteva consultare sia sulle pagine dello stesso sito, sia presso l’ufficio del lavoro.
Scorrendo l’elenco di tutti i nominativi ne ho trovati diversi che avrebbero potuto fare al caso mio. Così, pur non avendo un’azienda cui rivolgermi ho deciso di tentate ugualmente ed ho cominciato a telefonare. Purtroppo però era l’ultima settimana di settembre e parecchie aziende avevano già scelto i propri borsisti. Ma non tutte, ancora! Sono andata avanti con le telefonate convinta che, prima o poi, avrei trovato qualcuno cui il mio profilo avrebbe potuto interessare!-
-E poi?- domando ancora alla mia amica.
Stendo l’ultimo strato di vernice sulle unghie e sono talmente concentrata che sembra quasi non la stia a sentire, ma sono sempre più interessata a sapere come la mia amica sia riuscita nell’impresa.
-E poi ho trovato 2 aziende. Sono anche andata a fare un colloquio ma niente di fatto. Solo molte ipotesi e poche speranze. Anche altre persone si erano offerte presso quelle stesse aziende, stavano ancora valutando i vari candidati e non potevano darmi una risposta certa.
Mi sono resa conto di essermi mossa troppo in ritardo. Oramai mancavano pochissimi giorni alla scadenza ed a quel punto non ci speravo proprio più. Poi, a soli 3 giorni dal termine, sono stata richiamata da entrambe le aziende che, studiando meglio il mio curriculum, hanno deciso di ricontattarmi.
Incredibile, non avevo ancora trovato un soggetto ospitante e nel giro di 2 ore mi sono invece trovata nella condizione di dover scegliere, e alla svelta …-
-Non potevi presentare due domande?- la interrompo ancora pensando di aver trovato la furbata del secolo!
-Troppo facile così! No che non potevo, sarebbe stato un motivo di esclusione!
Ho scelto tenendo in considerazione la possibilità, una volta terminato il “Work Experience”, di poter essere poi assunta. Sono previsti incentivi fino a 7 mila euro per tutte quelle imprese che al termine degli 8 mesi si impegneranno a trasformare la borsa di studio in contratto di lavoro a tempo indeterminato.-
-Beh…una volta che hai trovato l’azienda il gioco era fatto!!!-
Passo la lacca trasparente ed il gioco è finito anche per me!
-Macchè, niente affatto!!! Essere riuscita a trovare l’azienda è niente in confronto all’impazzimento per l’inoltro della domanda che doveva obbligatoriamente essere presentata sia in via telematica, registrandosi sul sito “Siform” della Regione Marche, sia in via cartacea. Ma non è stato complicato registrarsi sul sito quanto reperire i vari documenti da allegare. Mi serviva la fotocopia del diploma che però avevo lasciato a casa di mia madre, quindi sono corsa dai miei a prendere l’attestato che però non si trovava più!!! Ho messo letteralmente sottosopra la mansarda e dopo oltre due ore di ricerca è saltato fuori dal fondo di un cassetto. M’era preso il panico, t’immagini? Poi subito di corsa al Centro per l’impiego per richiedere la mia scheda professionale. Ne avevo già una ma recava data precedente quella di emissione dell’avviso pubblico per cui troppo vecchia. Lì per fortuna ho fatto presto ma mancavano alcune firme dell’azienda ospitante e ho dovuto lasciare tutti i modelli e tornare a riprenderli … insomma un vero e proprio calvario!!! Quando mi sembrava che tutto fosse completato, all’ufficio postale, la signora dello sportello mi fa notare che avevo dimenticato di inserire sulla busta la dicitura “Rif. WE Diplomati PMI”!!!
Un vero incubo ma per fortuna, nonostante le corse dell’ultimo minuto, sono riuscita a spedire in tempo!-
Non mi rimane che aspettare che si asciughi anche l’ultimo strato di smalto ma Alessandra, che sembra aver terminato pure lei la sua storia, aggiunge:
-… poi non è detto che mi prendano. Sai quante domande arriveranno? Tantissime, e ci sono solo 150 borse! Per saperlo dovrò aspettare metà dicembre, quando saranno rese note le graduatorie. Dovrei comunque ottenere un buon punteggio perché ho un voto alto alla maturità, non sono troppo giovane e sono una donna. A questo punto moltissimo dipenderà dal punteggio che assegneranno al progetto che ho presentato!- termina Alessandra mentre guarda l’ora sul cellulare.
Non ha bisogno che io l’accompagni, perché conosce benissimo la strada. Si alza e se ne va lasciandomi alle prese con lo smalto ancora da asciugare.
-Allora incrociamo le dita, smalto permettendo ovvio, e speriamo bene!!!!- le dico prima di salutarci.
E mentre resto sola a fissare i miei piedi, oltre a pensare che non ci sono più gli smalti di una volta, quelli che si asciugavano subito e non ci permettevano di stare tutto questo tempo a pensare alle nostre fisse mentali, rifletto specialmente su un particolare che a molti di certo sarà sfuggito: per risolvere i problemi del futuro non è azzardato ripescare dal passato soluzioni che hanno portato ottimi risultati. Soluzioni che in buona parte appartengono alla storia delle Marche e delle altre regioni Italiane, soluzioni così radicate nel tessuto culturale che, proprio grazie ad esse, ora l’Italia e le Marche stesse sono ancora più famose nel mondo. Ripensandoci sembra come quando nel medioevo le famiglie si svenavano per mandare i loro figli "a bottega" dai famosi artisti pagando costoro per far lavorare i loro figli, per fare in modo che questi loro figli imparassero il “mestiere”, che imparassero “l’Arte” e non solo per metterla da parte, ma grazie alla quale potersi rendere autonomi e, perché no, anche soddisfatti umanamente ... un bellissimo ritorno al medioevo o al rinascimento... in fondo dovrebbe essere interessante come tentativo in una regione artisticamente valida come le Marche, perché noi siamo ciò che siamo anche grazie a ciò che il passato ci ha tramandato e lasciato, e noi saremo stati bravi se trasformassimo questo sapere in un futuro di grandi prospettive.
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Il tempo di asciugatura dello smalto per unghie diventa sempre più lungo e a volte sembra addirittura interminabile. È incredibile quanto tempo impiegano le donne dietro queste cose.
Laccare le unghie ci costringe a restare ferme e immobili per molti minuti pur di avere mani e piedi perfetti, ma proprio quando non ci si può muovere arriva quella telefonata tanto importante, si prende il telefono in mano e puntualmente lo smalto, che sembra ormai asciutto, si ammacca e siamo costrette a ricominciare tutto da capo.
Oppure suonano alla porta, come ora, e manco a farlo apposta hai appena messo lo smalto ai piedi. Ti devi alzare, pensi di farcela, tanto è quasi asciutto e invece no, non si sa com’è, ma lo smalto si rovina sempre.
Ma la mia amica Alessandra non poteva trovare momento migliore di questo per passare a trovarmi?
Ogni volta piomba a casa mia senza avvisare.
-Alessandra, vieni vieni, entra e fammi la cortesia di chiudere la porta. Scusa ma non posso muovermi troppo, ho appena messo lo smalto ai piedi e già ho visto che si è rovinato. Sono già due volte che ricomincio da capo. Che mi racconti di bello?-
Ale, così la chiamano tutti per praticità, viene sempre a trovarmi per raccontarmi tutte vicende della sua vita e chiedermi consigli ma in realtà le serve spesso solo qualcuno che la ascolti, molte donne sono così.
-Finalmente ieri, in extremis, ho spedito la domanda per concorrere al “Work Experience” dalla Provincia di Fermo. Il primo di ottobre era l’ultimo giorno utile per inviare la raccomandata. Mancava un giorno alla scadenza del termine e dovevo ancora preparare tutti i documenti! Ero in preda al panico!!!
In realtà il bando è uscito a fine luglio ma come al solito mi sono ridotta all’ultimo minuto…- comincia a raccontare la mia amica.
Alessandra mi conosce abbastanza bene e sa perfettamente che sentire queste cose mi manda in bestia.
Che me le racconta a fare? Sa benissimo come la penso….la fretta fa sempre fare i mici ciechi alla gattina!
-… sei sempre la solita … e che cavolo… da fine luglio ne hai avuto di tempo …!!!- le dico.
-È vero, ma il fatto è che non sapevo a quale azienda rivolgermi!!!- Precisa subito lei quasi a volersi giustificare con me.
-Una azienda? È un concorso pubblico, che c’entra l’azienda?- le chiedo, mentre con l’acetone tolgo lo smalto rovinato dal mio piede destro.
- In pratica la Provincia di Fermo, utilizzando le risorse finanziarie messe a disposizione dai fondi europei, concede a diplomati e laureati 150 borse di studio per fare esperienze lavorative e realizzare progetti di ricerca presso le piccole e medie imprese della Provincia.
Per partecipare bisognava innanzitutto avere un’azienda disposta ad ospitare un borsista per poi elaborare un progetto di lavoro “innovativo” da svolgere presso la stessa per un totale di 30 ore settimanali per la durata di 8 mesi.
Sono disoccupata, ho meno di 35 anni, risiedo in uno dei comuni della Provincia e non ho mai usufruito di precedenti borse lavoro. Ho tutti i requisiti per partecipare ma non avevo l’azienda presso la quale presentare il progetto di lavoro!
Infatti, è condizione essenziale, pena l’esclusione, non aver mai lavorato e non avere rapporti di lavoro in corso con l’impresa ospitante ma, soprattutto, non avere legami di parentela fino al terzo grado o di coniugo con il titolare o i soci della stessa.
Purtroppo le uniche aziende che conosco sono di parenti più o meno acquisiti. Ho anche provato a chiedere in giro ma non ho trovato nessuno cui potesse interessare la cosa. Poi… poi è arrivato agosto, e sai meglio di me come funziona, tutti se ne vanno al mare e non trovi più nessuno che ti dia retta!
Insomma, ci avevo rinunciato!!!-
Quando ti deve raccontare una cosa Alessandra non tralascia mai nessun particolare. A volte questo suo atteggiamento potrebbe risultare un po’ pesante per chi non c’è abituato.
-…e poi invece come hai fatto a trovare l’azienda?- le domando.
- Quando non ci pensavo più ho letto sul sito della Provincia di Fermo che era stato reso disponibile l’elenco delle imprese che avevano dichiarato la loro disponibilità a individuare diplomati e laureati per un’eventuale partecipazione al progetto di “Work Experience” e che si poteva consultare sia sulle pagine dello stesso sito, sia presso l’ufficio del lavoro.
Scorrendo l’elenco di tutti i nominativi ne ho trovati diversi che avrebbero potuto fare al caso mio. Così, pur non avendo un’azienda cui rivolgermi ho deciso di tentate ugualmente ed ho cominciato a telefonare. Purtroppo però era l’ultima settimana di settembre e parecchie aziende avevano già scelto i propri borsisti. Ma non tutte, ancora! Sono andata avanti con le telefonate convinta che, prima o poi, avrei trovato qualcuno cui il mio profilo avrebbe potuto interessare!-
-E poi?- domando ancora alla mia amica.
Stendo l’ultimo strato di vernice sulle unghie e sono talmente concentrata che sembra quasi non la stia a sentire, ma sono sempre più interessata a sapere come la mia amica sia riuscita nell’impresa.
-E poi ho trovato 2 aziende. Sono anche andata a fare un colloquio ma niente di fatto. Solo molte ipotesi e poche speranze. Anche altre persone si erano offerte presso quelle stesse aziende, stavano ancora valutando i vari candidati e non potevano darmi una risposta certa.
Mi sono resa conto di essermi mossa troppo in ritardo. Oramai mancavano pochissimi giorni alla scadenza ed a quel punto non ci speravo proprio più. Poi, a soli 3 giorni dal termine, sono stata richiamata da entrambe le aziende che, studiando meglio il mio curriculum, hanno deciso di ricontattarmi.
Incredibile, non avevo ancora trovato un soggetto ospitante e nel giro di 2 ore mi sono invece trovata nella condizione di dover scegliere, e alla svelta …-
-Non potevi presentare due domande?- la interrompo ancora pensando di aver trovato la furbata del secolo!
-Troppo facile così! No che non potevo, sarebbe stato un motivo di esclusione!
Ho scelto tenendo in considerazione la possibilità, una volta terminato il “Work Experience”, di poter essere poi assunta. Sono previsti incentivi fino a 7 mila euro per tutte quelle imprese che al termine degli 8 mesi si impegneranno a trasformare la borsa di studio in contratto di lavoro a tempo indeterminato.-
-Beh…una volta che hai trovato l’azienda il gioco era fatto!!!-
Passo la lacca trasparente ed il gioco è finito anche per me!
-Macchè, niente affatto!!! Essere riuscita a trovare l’azienda è niente in confronto all’impazzimento per l’inoltro della domanda che doveva obbligatoriamente essere presentata sia in via telematica, registrandosi sul sito “Siform” della Regione Marche, sia in via cartacea. Ma non è stato complicato registrarsi sul sito quanto reperire i vari documenti da allegare. Mi serviva la fotocopia del diploma che però avevo lasciato a casa di mia madre, quindi sono corsa dai miei a prendere l’attestato che però non si trovava più!!! Ho messo letteralmente sottosopra la mansarda e dopo oltre due ore di ricerca è saltato fuori dal fondo di un cassetto. M’era preso il panico, t’immagini? Poi subito di corsa al Centro per l’impiego per richiedere la mia scheda professionale. Ne avevo già una ma recava data precedente quella di emissione dell’avviso pubblico per cui troppo vecchia. Lì per fortuna ho fatto presto ma mancavano alcune firme dell’azienda ospitante e ho dovuto lasciare tutti i modelli e tornare a riprenderli … insomma un vero e proprio calvario!!! Quando mi sembrava che tutto fosse completato, all’ufficio postale, la signora dello sportello mi fa notare che avevo dimenticato di inserire sulla busta la dicitura “Rif. WE Diplomati PMI”!!!
Un vero incubo ma per fortuna, nonostante le corse dell’ultimo minuto, sono riuscita a spedire in tempo!-
Non mi rimane che aspettare che si asciughi anche l’ultimo strato di smalto ma Alessandra, che sembra aver terminato pure lei la sua storia, aggiunge:
-… poi non è detto che mi prendano. Sai quante domande arriveranno? Tantissime, e ci sono solo 150 borse! Per saperlo dovrò aspettare metà dicembre, quando saranno rese note le graduatorie. Dovrei comunque ottenere un buon punteggio perché ho un voto alto alla maturità, non sono troppo giovane e sono una donna. A questo punto moltissimo dipenderà dal punteggio che assegneranno al progetto che ho presentato!- termina Alessandra mentre guarda l’ora sul cellulare.
Non ha bisogno che io l’accompagni, perché conosce benissimo la strada. Si alza e se ne va lasciandomi alle prese con lo smalto ancora da asciugare.
-Allora incrociamo le dita, smalto permettendo ovvio, e speriamo bene!!!!- le dico prima di salutarci.
E mentre resto sola a fissare i miei piedi, oltre a pensare che non ci sono più gli smalti di una volta, quelli che si asciugavano subito e non ci permettevano di stare tutto questo tempo a pensare alle nostre fisse mentali, rifletto specialmente su un particolare che a molti di certo sarà sfuggito: per risolvere i problemi del futuro non è azzardato ripescare dal passato soluzioni che hanno portato ottimi risultati. Soluzioni che in buona parte appartengono alla storia delle Marche e delle altre regioni Italiane, soluzioni così radicate nel tessuto culturale che, proprio grazie ad esse, ora l’Italia e le Marche stesse sono ancora più famose nel mondo. Ripensandoci sembra come quando nel medioevo le famiglie si svenavano per mandare i loro figli "a bottega" dai famosi artisti pagando costoro per far lavorare i loro figli, per fare in modo che questi loro figli imparassero il “mestiere”, che imparassero “l’Arte” e non solo per metterla da parte, ma grazie alla quale potersi rendere autonomi e, perché no, anche soddisfatti umanamente ... un bellissimo ritorno al medioevo o al rinascimento... in fondo dovrebbe essere interessante come tentativo in una regione artisticamente valida come le Marche, perché noi siamo ciò che siamo anche grazie a ciò che il passato ci ha tramandato e lasciato, e noi saremo stati bravi se trasformassimo questo sapere in un futuro di grandi prospettive.
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mercoledì 1 settembre 2010
CRONACHE DI UN’ASSOCIAZIONE ANNUNCIATA
Il sabato dei ritardi.
Di Laura Gioventù
È sabato.
Sabato pomeriggio.
Il solito sabato del villaggio.
Del solito villaggio.
Il sabato di quattro amiche, donne, mogli e mamme che si ritrovano per il caffè, al solito bar, per le solite chiacchiere, nel solito villaggio.
Un villaggio chiamato Porto San Giorgio.
Sì, un villaggio, -non potrebbe essere definito altrimenti, perché non è grande nemmeno quanto un quartiere di Roma- dove si vive “tanto bene” con le case tutte nane!
Al solito, tra gli impegni di una o di un’altra è difficile organizzarsi ma, al solito, ci riusciamo sempre.
Al solito dovremmo essere in quattro. Questa volta siamo io, Lucia, Caterina ed Elisa…ma Elisa dov’è?
Elisa come al solito ancora non si vede. Lei è sempre in ritardo! Riesce persino a fare peggio di me, ma ogni volta, come al solito, si salva con una scusa sempre nuova. Chissà che cosa s’inventerà questa volta.
Ma eccola, eccola che arriva, Elisa. Impossibile non notarla.
-ragazze, avete già ordinato?-
Esordisce mentre si mette subito seduta. È sempre un po’ agitata. Oggi più del solito. Lo si percepisce nel tono della voce, alto e veloce con punte di acuti assordanti, ma anche nel modo di camminare.
Anche lo sguardo è irrequieto. Gli occhi grandi, che trucca sempre molto, ora guardano in alto, poi in basso e si distraggono spesso come a voler tenere tutto sotto controllo, sempre e comunque.
-Sei in ritardo di mezz’ora! Si può sapere questa volta che hai da dire a tua discolpa? E non mettere in mezzo tuo marito, perché questa è una scusa che non regge più! Inventane un’altra!-
Le dice Lucia ironizzandoci su, ma lei precisa.
- Il ritardo non è di mezz’ora ma di due mesi e mezzi … giorno più giorno meno …-
A quel punto tutte noi ci sentimmo contente per lei, e non mancammo di dirglielo con la solita appendice gossippara.
-Ma è una notizia fantastica che ci coglie di sorpresa! Che bello … tanti auguri!! ... come la Nannini, del resto è la tua cantante preferita.-
-… auguri un par di palle! …ed io non sono la Nannini!!-
-Elisa, ma che dici?-
Immediatamente è il silenzio!
-Ragazze, non mi guardate con quelle facce, avete capito benissimo!
Fare un figlio in queste situazioni è una fregatura.
Non ne ero sicura, speravo di sbagliarmi, pregavo e scongiuravo che non fosse vero.
Poi ho fatto il test.
Sono in attesa di un altro figlio.
Non so che fare. Non me l’aspettavo, non era previsto e neppure lo avevamo programmato!
Ed ora che farò con il mio lavoro?-
-Adesso che c’entra il lavoro con il figlio?-
Elisa si fa immediatamente seria ed ha gli occhi piedi di lacrime. La guardiamo ammutolite mentre continua a parlare.
-Al lavoro in passato ho creduto fino in fondo. Volevo essere intraprendente e piena di iniziativa, e mi sono ritrovata peggio di una stacanovista. Producevo, producevo senza sapere nemmeno che cosa stessi facendo. E più mi chiedevano più davo. Sempre, senza riserve e senza limiti! E come se non bastasse spesso mi portavo anche il lavoro a casa. Pensate quanto siamo fesse! Credevo che prima o poi mi avrebbero fatto fare qualcosa di più interessante. Ero addirittura convinta di fare carriera. Pensate un po’! Naturalmente pensavo male!
Solo dopo essermi sposata ho capito che qualche cosa non funzionasse. E l’ho capito esattamente dopo la nascita di mia figlia. Carriera finita, orari impossibili, proposte improbabili e condizioni assurde. Mi sentivo davvero sfruttata. Mi hanno anche detto "Se non fai quello che dico io, te ne stai a casa a fare la mamma!” oppure frasi come “Troppo tempo sprecato dietro i figli”. Perché, secondo loro, quel tempo lo avrei dovuto dedicare solo al lavoro. E' come se avere dei figli significasse in qualche modo essere monche, limitate, impedite.
A quel punto ho focalizzato il vero problema.
Ho capito che una donna sposata e con i figli non ha scampo, o si licenzia oppure accetta qualsiasi ricatto.
E non parliamo di carriere, quelle finiscono appena ci si sposa!
Io che cosa ho fatto? Ho resistito! Credevo che non fosse possibile accettare un licenziamento, ma alla fine hanno vinto loro. Ci sono riusciti. Alla fine lo hanno fatto. Mi hanno licenziata!
E sapete la cosa buffa qual è? Che al danno si è aggiunta la beffa!
A licenziarmi è stata una donna.
Sì, avete capito bene!
Una donna, una donna sposata, una donna con i figli, come me, come te, come noi.
Una donna che voleva far vedere all’azienda quanto lei fosse ligia alle regole.
Vi ricordate quella famosa canzone di VECCHIONI “SRONZA come un uomo”?
Ecco,esattamente così, una STRONZA!
Dopo che cosa è successo?
Ho dovuto fare la mamma.
Ovviamente la mia carriera è finita.
Ovviamente sono stata dipendente economicamente in tutto da mio marito.
Ovviamente sono andata in depressione.
Poi, dopo anni, ho deciso di ricominciare a vivere. Mi sono messa sul mercato del lavoro ma, con un marito e con una figlia sulle spalle se non accetti quei lavori saltuari e precari che ti propongono sei fuori dal mercato!
Da qualche mese ne ho trovato uno “decente”. Non mi piace ma me lo faccio piacere per forza.
Questo lavoro “decente” termina tra tre mesi per un altro eventuale rinnovo. Ma tra tre mesi sarò già entrata nel quinto mese di gravidanza e a quel punto nessuno mi rinnoverà più nulla.
Adesso avete capito perché è una fregatura?
Per non parlare poi di tutte le spese relative alla gravidanza e al dopo che si dovrà accollare mio marito. E sinceramente non so come faremo ad arrivare alla fine del mese.
Se porterò avanti la gravidanza diventerò mamma per la seconda volta. Bello, ma se non la porterò a termine continuerò ad essere una persona normale con la sua dignità lavorativa ed umana.-
A quel punto Lucia mugugna un commento e lo fa come se parlasse a se stessa. Come se si dicesse una verità che si era sempre evitata di confessarsi.
- Io invece ho mollato tutto, non ce l’ho fatta. All’inizio ho chiesto il part-time ma non me lo hanno concesso. Mi sono sentita dire “la porta è quella, se non ti sta bene te ne vai!” Sono stata costretta a scegliere e non ce l’ho fatta. Ho lasciato il lavoro e una carriera promettente e sono tornata a casa per i figli. Una donna di casa, ma fino a quando? Presto i figli cresceranno, e dopo? Ho fatto della famiglia l’unica mia ragione di vita.
Solo questo. Mi rimane solo questo…
Forse alla lunga anche io sarò una di quelle mogli cornificate dai soliti mariti che con la scusa di mantenere la famiglia li vedi uscire di casa al mattino tutti lindi e pinti e li vedi rientrare la sera tardi senza sapere minimamente che cosa hanno fatto delle loro giornate. Del resto loro non hanno sacrificato la loro vita, il loro lavoro, la loro carriera. Siamo noi donne che facciamo tutto ciò. A questo punto vi chiedo se facciamo bene, perché è tanto tempo che ho molti dubbi su questa storia.-
Cala una strana atmosfera sulle nostre teste.
“Ognuna in fondo persa dentro i fatti suoi!” Come quella famosa canzone di Vasco Rossi che tutti cantiamo, vedo Elisa e Lucia che guardano punti indefiniti nello spazio.
Ognuna persa dentro i fatti suoi.
Ognuna persa dentro i problemi suoi.
Ognuna persa dentro i pensieri suoi.
Ognuna persa dentro un universo femminile sempre uguale dappertutto.
Anche Caterina, anche lei sembra essersi persa. Anche lei, che non ha detto una sola parola, fissa su un punto indefinito del cielo.
Io ero lì, davanti a loro, e mentre le guardavo riflettevo.
Il problema esiste, ma non basta parlarne.
Forse è il momento che noi donne cominciamo ad organizzarci ed ha trovare soluzioni concrete altrimenti non arriveremo da nessuna parte.
Basta con le chiacchiere, basta con le sterili lamentele.
Non dovremmo permettere alla paura di fermarci, ma di spingerci ad andare avanti.
Superiamo l’individualismo e cerchiamo concretamente di venir fuori dalla palude.
Usiamo tutta la nostra capacità e le nostre mille risorse per reagire e metterci di nuovo in gioco!
Non ci lasciamo scoraggiare da un sistema ancora troppo maschilista.
Siamo sempre così impegnate nel vedere le altre donne come delle rivali.
Smettiamola! Anche questo ci penalizza.
Osserviamo invece i comportamenti solidali che l’altro sesso adotta con i propri simili.
Facciamo come fanno i maschi, che non mantengono la rabbia ma la stessa solidarietà di quando vanno a giocare a calcetto.
Annulliamo le diffidenze, le invidie e le rivalità e mettiamoci insieme, l’unione fa la DONNA.
Cara Elisa,
Care Amiche,
Care Donne,
Recentemente, come molte di noi, mi sono trovata nella condizione di cercarmi un lavoro, sia per ragioni economiche sia per ragioni puramente organizzative.
Senza un lavoro le giornate sono lunghe e si rischia spesso la depressione della casalinga. Durante la ricerca mi sono imbattuta nelle situazioni che tutte noi conosciamo bene: false promesse, ipotetiche assunzioni e anche proposte che nella realtà generalmente definiamo indecenti.
Ma la cosa che più mi ha fatto pensare è stata la paura che una donna alla ricerca di lavoro possa anche decidere di diventare madre e solo questo pensiero terrorizza i sedicenti datori di lavoro, maschi e femmine fa lo stesso, circa l'impossibilità di poter lavorare solo perché si voglia procreare.
Per mantenermi comunque impiegata e non volendo accettare la routine delle vane attese, ho iniziato a tenermi occupata facendo cose che prima non ritenevo possibili come collaborare con alcuni siti informatici con spiccate finalità giornalistiche e promozionali dando vita a delle interviste con personaggi politici e non della nostra Provincia e della nostra Regione. Ve lo confesso, ero spaventata, solo l'idea di formulare delle domande per poi pubblicarle su un sito mi metteva timore. Poi, come spesso accade, la cosa inizia a piacerci, affinando, intervista dopo intervista, il "mestiere" di intervistatrice. In questi contatti, che definisco "di lavoro", è emersa da parte di tutte queste persone, casualmente tutti maschi, il consiglio-invito di dar vita ad un’organizzazione che possa porsi come ausilio per ciò che riguarda l'ideazione e la realizzazione di eventi culturali. In sostanza un'Associazione Culturale con scopi e finalità definiti come da statuto ma con una caratteristica particolare: la possibilità che si dia vita ad una Associazione Culturale formata, almeno inizialmente, solo da donne, senza quella negatività che spesso siamo così brave a mettere in atto verso le nostre simili, dimostrando, che se volessimo, saremmo le migliori complici di noi stesse.
A mio avviso ci sono sia le premesse sia la possibilità di realizzare un'iniziativa del genere per la totale assenza di un’ Associazione similare con pari finalità ed identici scopi nel nostro territorio, ma anche perché c'è l’assoluta mancanza di una spinta ideativo-realizzativa relativamente gli eventi realizzabili in questa zona che venga direttamente dalle donne e dal loro mondo, e la presenza di manifestazioni generali alle quali manca quella componente femminile così determinante per il successo delle iniziative stesse.
Non solo dalle interviste, ma anche dalle conversazioni che ho avuto con tutta questa gente, sono più che certa che un'iniziativa del genere possa riscuotere un successo collettivo e allo stesso tempo riempire un vuoto sociale di cui la nostra Provincia e la nostra Regione non possono fare a meno offrendo altresì l'enorme opportunità di creare posti di lavoro, specialmente per le donne, ma non solo per loro, tramite la collaborazione tra la futura Associazione Culturale, che vorrei chiamare "Accento", e gli Enti Pubblici locali, ma anche con quelle aziende regionali che sono il nostro vanto produttivo a livello mondiale.
Spero che queste poche righe non ti abbiano annoiato ma incuriosito e mi piacerebbe che tu facessi parte di questa Associazione Culturale già dalla sua fondazione.
Laura
Di Laura Gioventù
È sabato.
Sabato pomeriggio.
Il solito sabato del villaggio.
Del solito villaggio.
Il sabato di quattro amiche, donne, mogli e mamme che si ritrovano per il caffè, al solito bar, per le solite chiacchiere, nel solito villaggio.
Un villaggio chiamato Porto San Giorgio.
Sì, un villaggio, -non potrebbe essere definito altrimenti, perché non è grande nemmeno quanto un quartiere di Roma- dove si vive “tanto bene” con le case tutte nane!
Al solito, tra gli impegni di una o di un’altra è difficile organizzarsi ma, al solito, ci riusciamo sempre.
Al solito dovremmo essere in quattro. Questa volta siamo io, Lucia, Caterina ed Elisa…ma Elisa dov’è?
Elisa come al solito ancora non si vede. Lei è sempre in ritardo! Riesce persino a fare peggio di me, ma ogni volta, come al solito, si salva con una scusa sempre nuova. Chissà che cosa s’inventerà questa volta.
Ma eccola, eccola che arriva, Elisa. Impossibile non notarla.
-ragazze, avete già ordinato?-
Esordisce mentre si mette subito seduta. È sempre un po’ agitata. Oggi più del solito. Lo si percepisce nel tono della voce, alto e veloce con punte di acuti assordanti, ma anche nel modo di camminare.
Anche lo sguardo è irrequieto. Gli occhi grandi, che trucca sempre molto, ora guardano in alto, poi in basso e si distraggono spesso come a voler tenere tutto sotto controllo, sempre e comunque.
-Sei in ritardo di mezz’ora! Si può sapere questa volta che hai da dire a tua discolpa? E non mettere in mezzo tuo marito, perché questa è una scusa che non regge più! Inventane un’altra!-
Le dice Lucia ironizzandoci su, ma lei precisa.
- Il ritardo non è di mezz’ora ma di due mesi e mezzi … giorno più giorno meno …-
A quel punto tutte noi ci sentimmo contente per lei, e non mancammo di dirglielo con la solita appendice gossippara.
-Ma è una notizia fantastica che ci coglie di sorpresa! Che bello … tanti auguri!! ... come la Nannini, del resto è la tua cantante preferita.-
-… auguri un par di palle! …ed io non sono la Nannini!!-
-Elisa, ma che dici?-
Immediatamente è il silenzio!
-Ragazze, non mi guardate con quelle facce, avete capito benissimo!
Fare un figlio in queste situazioni è una fregatura.
Non ne ero sicura, speravo di sbagliarmi, pregavo e scongiuravo che non fosse vero.
Poi ho fatto il test.
Sono in attesa di un altro figlio.
Non so che fare. Non me l’aspettavo, non era previsto e neppure lo avevamo programmato!
Ed ora che farò con il mio lavoro?-
-Adesso che c’entra il lavoro con il figlio?-
Elisa si fa immediatamente seria ed ha gli occhi piedi di lacrime. La guardiamo ammutolite mentre continua a parlare.
-Al lavoro in passato ho creduto fino in fondo. Volevo essere intraprendente e piena di iniziativa, e mi sono ritrovata peggio di una stacanovista. Producevo, producevo senza sapere nemmeno che cosa stessi facendo. E più mi chiedevano più davo. Sempre, senza riserve e senza limiti! E come se non bastasse spesso mi portavo anche il lavoro a casa. Pensate quanto siamo fesse! Credevo che prima o poi mi avrebbero fatto fare qualcosa di più interessante. Ero addirittura convinta di fare carriera. Pensate un po’! Naturalmente pensavo male!
Solo dopo essermi sposata ho capito che qualche cosa non funzionasse. E l’ho capito esattamente dopo la nascita di mia figlia. Carriera finita, orari impossibili, proposte improbabili e condizioni assurde. Mi sentivo davvero sfruttata. Mi hanno anche detto "Se non fai quello che dico io, te ne stai a casa a fare la mamma!” oppure frasi come “Troppo tempo sprecato dietro i figli”. Perché, secondo loro, quel tempo lo avrei dovuto dedicare solo al lavoro. E' come se avere dei figli significasse in qualche modo essere monche, limitate, impedite.
A quel punto ho focalizzato il vero problema.
Ho capito che una donna sposata e con i figli non ha scampo, o si licenzia oppure accetta qualsiasi ricatto.
E non parliamo di carriere, quelle finiscono appena ci si sposa!
Io che cosa ho fatto? Ho resistito! Credevo che non fosse possibile accettare un licenziamento, ma alla fine hanno vinto loro. Ci sono riusciti. Alla fine lo hanno fatto. Mi hanno licenziata!
E sapete la cosa buffa qual è? Che al danno si è aggiunta la beffa!
A licenziarmi è stata una donna.
Sì, avete capito bene!
Una donna, una donna sposata, una donna con i figli, come me, come te, come noi.
Una donna che voleva far vedere all’azienda quanto lei fosse ligia alle regole.
Vi ricordate quella famosa canzone di VECCHIONI “SRONZA come un uomo”?
Ecco,esattamente così, una STRONZA!
Dopo che cosa è successo?
Ho dovuto fare la mamma.
Ovviamente la mia carriera è finita.
Ovviamente sono stata dipendente economicamente in tutto da mio marito.
Ovviamente sono andata in depressione.
Poi, dopo anni, ho deciso di ricominciare a vivere. Mi sono messa sul mercato del lavoro ma, con un marito e con una figlia sulle spalle se non accetti quei lavori saltuari e precari che ti propongono sei fuori dal mercato!
Da qualche mese ne ho trovato uno “decente”. Non mi piace ma me lo faccio piacere per forza.
Questo lavoro “decente” termina tra tre mesi per un altro eventuale rinnovo. Ma tra tre mesi sarò già entrata nel quinto mese di gravidanza e a quel punto nessuno mi rinnoverà più nulla.
Adesso avete capito perché è una fregatura?
Per non parlare poi di tutte le spese relative alla gravidanza e al dopo che si dovrà accollare mio marito. E sinceramente non so come faremo ad arrivare alla fine del mese.
Se porterò avanti la gravidanza diventerò mamma per la seconda volta. Bello, ma se non la porterò a termine continuerò ad essere una persona normale con la sua dignità lavorativa ed umana.-
A quel punto Lucia mugugna un commento e lo fa come se parlasse a se stessa. Come se si dicesse una verità che si era sempre evitata di confessarsi.
- Io invece ho mollato tutto, non ce l’ho fatta. All’inizio ho chiesto il part-time ma non me lo hanno concesso. Mi sono sentita dire “la porta è quella, se non ti sta bene te ne vai!” Sono stata costretta a scegliere e non ce l’ho fatta. Ho lasciato il lavoro e una carriera promettente e sono tornata a casa per i figli. Una donna di casa, ma fino a quando? Presto i figli cresceranno, e dopo? Ho fatto della famiglia l’unica mia ragione di vita.
Solo questo. Mi rimane solo questo…
Forse alla lunga anche io sarò una di quelle mogli cornificate dai soliti mariti che con la scusa di mantenere la famiglia li vedi uscire di casa al mattino tutti lindi e pinti e li vedi rientrare la sera tardi senza sapere minimamente che cosa hanno fatto delle loro giornate. Del resto loro non hanno sacrificato la loro vita, il loro lavoro, la loro carriera. Siamo noi donne che facciamo tutto ciò. A questo punto vi chiedo se facciamo bene, perché è tanto tempo che ho molti dubbi su questa storia.-
Cala una strana atmosfera sulle nostre teste.
“Ognuna in fondo persa dentro i fatti suoi!” Come quella famosa canzone di Vasco Rossi che tutti cantiamo, vedo Elisa e Lucia che guardano punti indefiniti nello spazio.
Ognuna persa dentro i fatti suoi.
Ognuna persa dentro i problemi suoi.
Ognuna persa dentro i pensieri suoi.
Ognuna persa dentro un universo femminile sempre uguale dappertutto.
Anche Caterina, anche lei sembra essersi persa. Anche lei, che non ha detto una sola parola, fissa su un punto indefinito del cielo.
Io ero lì, davanti a loro, e mentre le guardavo riflettevo.
Il problema esiste, ma non basta parlarne.
Forse è il momento che noi donne cominciamo ad organizzarci ed ha trovare soluzioni concrete altrimenti non arriveremo da nessuna parte.
Basta con le chiacchiere, basta con le sterili lamentele.
Non dovremmo permettere alla paura di fermarci, ma di spingerci ad andare avanti.
Superiamo l’individualismo e cerchiamo concretamente di venir fuori dalla palude.
Usiamo tutta la nostra capacità e le nostre mille risorse per reagire e metterci di nuovo in gioco!
Non ci lasciamo scoraggiare da un sistema ancora troppo maschilista.
Siamo sempre così impegnate nel vedere le altre donne come delle rivali.
Smettiamola! Anche questo ci penalizza.
Osserviamo invece i comportamenti solidali che l’altro sesso adotta con i propri simili.
Facciamo come fanno i maschi, che non mantengono la rabbia ma la stessa solidarietà di quando vanno a giocare a calcetto.
Annulliamo le diffidenze, le invidie e le rivalità e mettiamoci insieme, l’unione fa la DONNA.
Cara Elisa,
Care Amiche,
Care Donne,
Recentemente, come molte di noi, mi sono trovata nella condizione di cercarmi un lavoro, sia per ragioni economiche sia per ragioni puramente organizzative.
Senza un lavoro le giornate sono lunghe e si rischia spesso la depressione della casalinga. Durante la ricerca mi sono imbattuta nelle situazioni che tutte noi conosciamo bene: false promesse, ipotetiche assunzioni e anche proposte che nella realtà generalmente definiamo indecenti.
Ma la cosa che più mi ha fatto pensare è stata la paura che una donna alla ricerca di lavoro possa anche decidere di diventare madre e solo questo pensiero terrorizza i sedicenti datori di lavoro, maschi e femmine fa lo stesso, circa l'impossibilità di poter lavorare solo perché si voglia procreare.
Per mantenermi comunque impiegata e non volendo accettare la routine delle vane attese, ho iniziato a tenermi occupata facendo cose che prima non ritenevo possibili come collaborare con alcuni siti informatici con spiccate finalità giornalistiche e promozionali dando vita a delle interviste con personaggi politici e non della nostra Provincia e della nostra Regione. Ve lo confesso, ero spaventata, solo l'idea di formulare delle domande per poi pubblicarle su un sito mi metteva timore. Poi, come spesso accade, la cosa inizia a piacerci, affinando, intervista dopo intervista, il "mestiere" di intervistatrice. In questi contatti, che definisco "di lavoro", è emersa da parte di tutte queste persone, casualmente tutti maschi, il consiglio-invito di dar vita ad un’organizzazione che possa porsi come ausilio per ciò che riguarda l'ideazione e la realizzazione di eventi culturali. In sostanza un'Associazione Culturale con scopi e finalità definiti come da statuto ma con una caratteristica particolare: la possibilità che si dia vita ad una Associazione Culturale formata, almeno inizialmente, solo da donne, senza quella negatività che spesso siamo così brave a mettere in atto verso le nostre simili, dimostrando, che se volessimo, saremmo le migliori complici di noi stesse.
A mio avviso ci sono sia le premesse sia la possibilità di realizzare un'iniziativa del genere per la totale assenza di un’ Associazione similare con pari finalità ed identici scopi nel nostro territorio, ma anche perché c'è l’assoluta mancanza di una spinta ideativo-realizzativa relativamente gli eventi realizzabili in questa zona che venga direttamente dalle donne e dal loro mondo, e la presenza di manifestazioni generali alle quali manca quella componente femminile così determinante per il successo delle iniziative stesse.
Non solo dalle interviste, ma anche dalle conversazioni che ho avuto con tutta questa gente, sono più che certa che un'iniziativa del genere possa riscuotere un successo collettivo e allo stesso tempo riempire un vuoto sociale di cui la nostra Provincia e la nostra Regione non possono fare a meno offrendo altresì l'enorme opportunità di creare posti di lavoro, specialmente per le donne, ma non solo per loro, tramite la collaborazione tra la futura Associazione Culturale, che vorrei chiamare "Accento", e gli Enti Pubblici locali, ma anche con quelle aziende regionali che sono il nostro vanto produttivo a livello mondiale.
Spero che queste poche righe non ti abbiano annoiato ma incuriosito e mi piacerebbe che tu facessi parte di questa Associazione Culturale già dalla sua fondazione.
Laura
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domenica 8 agosto 2010
Laura Gioventù incontra l’Ing. Renato Vallesi
Intervista all’ing. Renato Vallesi, Assessore alla Tutela ambientale, Ecologia, Energia, Lavoro, Formazione Professionale, Progetti settore calzaturiero ed Attività produttive della Provincia di Fermo.
Lei è definito facilitatore ed ottimizzatore di processi e di sistemi complessi. Per cui lei di sicuro saprebbe come rendere la politica molto più facile di come adesso sia, ci dia la sua ricetta per semplificarla.
Mi sono definito facilitatore e ottimizzatore di processi e di sistemi complessi NON riguardo alla politica, ma alla gestione dei problemi di un Ente come il Comune o, nel caso specifico, della Provincia, perché tutte le questioni che si affrontano nell’amministrazione vanno ricondotte a un processo che come tale va inquadrato nel dominio giusto e nel contesto giusto per essere semplificato e ottimizzato. Quest’approccio può riguardare sia una procedura amministrativa sia un’autorizzazione, può essere un metodo legato al ciclo integrato dei rifiuti, oppure al ciclo integrato delle acque, ma anche a tutte le problematiche energetiche.
Se ogni amministratore facesse lo sforzo di inquadrare nel giusto dominio e per processi un problema certamente si potrebbero avviare anche delle forzature per una semplificazione amministrativa e normativa. A volte non si riesce a fare una facilitazione legislativa e normativa perché il problema non è bene inquadrato, ogni tema deve essere collocato correttamente sia dalla politica sia dall’amministrazione in genere prima di essere impostato. L’eccessivo tecnicismo oppure approcci troppo aziendalistici guastano le situazioni. È necessario anzitutto esaminare le varie situazioni con il giusto approccio e stratificare i problemi affinché si possa procedere a semplificazioni normative e legislative.
Definendomi “facilitatore e ottimizzatore di processi e di sistemi complessi”, la mia non è stata una presunzione, ci mancherebbe pure. Racconto solo quello che è il mio profilo: sono stato uno studente lavoratore. Ho frequentato l’Istituto Tecnico Industriale Montani di Fermo perché pensavo poi di andare a lavorare. Ero uno studente brillante per cui ho deciso di frequentare l’università. Mi sono laureato con il massimo dei voti e ho travato subito impiego nelle aziende. Ho lavorato all’Ariston, alla Farfisa, alla Bontempi negli anni d’oro, svolgendo attività legate ai sistemi di qualità, alla sicurezza, ai processi produttivi in generale, dall’arrivo dei materiali alla consegna del prodotto finito fino all’assistenza tecnica. Occupandomi per molto tempo di queste problematiche ho capito l’importanza del processo, di qualsiasi tipologia si tratti: sistemi complessi che spesso possono essere semplificati anche a costi zero. L’idea può venire da tutti, viene anche al lavoratore che ha trenta anni di esperienza. La soluzione può arrivare da tante persone come quando, negli anni ‘80, nei circoli della qualità, nei gruppi di lavoro e nei brainstorming ognuno metteva la propria. Oggi c’è la presunzione di insegnare agli altri ogni cosa e non si ascolta l’altro negando anche il più semplice contributo. Bisogna tenere sempre presente che anche piccole intuizioni possono portare a grandi risultati. A volte una buona idea, anche se sostenuta da una sola persona, senza avere necessariamente il consenso di tutti, può essere una valida idea! Purtroppo non si fa più tanta attenzione a questi aspetti ma si preferisce ricorrere a un eccessivo tecnicismo quando talvolta l’ottimizzazione di un problema può essere semplicissima. Faccio un esempio sull’urbanistica, anche se io non ho questa delega. Per impostare una qualsiasi situazione, l’Ente fa numerosissimi studi, quando invece sarebbe sufficiente produrre al massimo un paio di pagine, una sulla zonizzazione e una sulle destinazioni o su alcuni requisiti normativi essenziali. Poi arriva tutto il resto. Questo è quello che significa “collocare” un problema nel dominio giusto e poi cercare di ottimizzarlo. Spesso s’inquadra la questione in modo strano e complicato, si fanno progetti e consulenze molto costose e il problema più di tanto non decolla perché è stato inquadrato male. Non è che io abbia la presunzione di approcciare nella giusta maniera tutti i problemi, ma almeno nelle questioni nelle quali ho una certa conoscenza. Nei rifiuti, per esempio, il problema di base, prima di pensare a tutto il resto è l’impiantistica. Ogni Provincia deve avere la sua discarica da utilizzare in maniera residuale e deve avere l’impianto per la filiera dell’organico per essere autonoma.
Prima di arrivare all’ottimizzazione di un processo, si deve procedere alla “stratificazione” di un problema. Il problema va separato nelle sue specificità, nelle sue caratterizzazioni, per essere studiato, valorizzato e ottimizzato. Quando, trenta anni fa, nelle catene di montaggio si producevano cinque mila pezzi al giorno, arrivavano le grandi forniture si doveva eseguire il collaudo d’accettazione, il campionamento e le statistiche. Piuttosto che accettare o rifiutare per intero una grossa fornitura, avevo introdotto il concetto di stratificare la fornitura in sub forniture classificando i problemi in tre o quattro categorie secondo merci di prima scelta, di seconda e difettose. Nel momento di decidere di accettare parte della fornitura, con queste valutazioni, il problema era già stato stratificato. Anche in un territorio di vasta area come una Provincia, potremmo applicare lo stesso metodo di analisi dividendo le problematiche in diversi aspetti, alcuni dei quali saranno maturi solo fra pochi mesi, al massimo fra un anno, altri, invece, occorrerà lavorarci di più, e magari saranno maturi solo fra venti anni.
Stratificare e separare significa stabilire delle priorità secondo un criterio logico, in altre parole fare oggi quello che è possibile, tutto ciò che resta fuori per mancanza di possibilità lo faremo domani. Trovo necessario far ricordare che il territorio si valorizza anche per miglioramenti continui, ma anche a piccoli passi. Proprio dalle piccole intuizioni possono venire fuori grandi risultati come anche dell’ottimizzazione settoriale e dell’ottimizzare a piccoli passi.
In definitiva, non è detto che per risolvere delle situazioni bisogna spendere in chissà quanti studi. Allo stesso tempo, non sempre persone che possono dare dei contributi sono ascoltate o considerate. Non vorrei sembrare né presuntuoso né dare lezioni, ma c’è bisogno di riposizionare proprio tutto l’approccio. Oggi la politica ha abdicato da un certo punto di vista. Il confronto, il dibattito, la presenza nel territorio, la consapevolezza dei problemi dei cittadini vanno ulteriormente recuperati. La politica serve, c’è bisogno della sezione di partito, del circolo, del cittadino che partecipa. Le idee non calano dall’alto e quando uno crede di aver capito tutto nella vita e pensa di dare lezioni a tutti, la situazione è davvero grave!
I cambiamenti devono partire dal basso, dalla partecipazione alla vita istituzionale, dalla conoscenza dei problemi, dalla consapevolezza della quotidianità.
Certamente non è facile, e questi percorsi di medio e lungo termine non pagano nell’immediato, soprattutto in termini d’immagine. Si tratta di un lavoro silenzioso e sistematico. Bisogna essere consapevoli del fatto che se alcune cose accadono fra cinque o sei anni, non capitano a caso, ma perché qualcuno le ha pensate e ci ha lavorato sopra.
Tutta l’amministrazione provinciale sta facendo uno sforzo, e, insieme al Presidente, cerchiamo di essere sempre presenti nei problemi e nei territori. Ci proviamo. Speriamo di farcela in questo cambiamento di rotta!
Mi auguro di aver reso l’idea; da ingegnere, con il tempo, sono diventato anche un po’ filosofo.…
La nostra Provincia ha ben 40 comuni ma non tutti viaggiano alla stessa velocità di sviluppo e di investimenti. Come si può cercare una velocità comune per tutti e quali condizioni sociali ed economiche possono permettere una situazione del genere per non ritrovarci con Comuni ricchi e con Comuni meno ricchi, sia per produzione sia per mentalità?
I Comuni sono 40, è vero, ma non tutti viaggiano alla stessa velocità perché non tutti sono delle stesse dimensioni. Ci sono 33 comuni sotto i cinque mila abitanti, 22 dei quali sotto i due mila abitanti. I più grandi sono solo sette. In ordine di grandezza Fermo, Porto Sant'Elpidio, Sant'Elpidio a Mare, Porto San Giorgio, Montegranaro, Monte Urano e Montegiorgio. La diversa dinamicità nello sviluppo è legata al differente contesto territoriale e alle estensioni stesse dei Comuni. Non so se oggi sia giusto guardare sempre a un certo modello di crescita e andrebbero ripensati sia il modello di sviluppo sia gli approcci economici allo stesso. Non sono più convinto che sia tutto riconducibile solo a un discorso di economia di scala e di grandi volumi. Si possono trovare equilibri anche in dimensioni molto più piccole e sotto tanti punti di vista.
Questa Provincia, insieme al Presidente, sta lavorando, con un atto d’indirizzo della Giunta, proprio al sostegno delle attività dei Comuni più piccoli. Quelli sotto i due mila abitanti saranno abbinati in coppie e gli saranno affidati, per un anno, undici ragazzi che si occuperanno dello sviluppo di progetti scelti dagli stessi Comuni offrendo, nello stesso tempo, ai giovani, una nuova occasione di occupazione. Anche nelle questioni legate al ciclo integrato delle acque e dei rifiuti, il coordinamento di aria vasta dell’Ente Provincia permetterà alle piccole realtà di essere sostenute in alcuni percorsi, in parte già iniziati, che dovranno essere ultimati. Un lavoro questo, che facciamo tra il mio assessorato, per quanto riguarda il lavoro, la formazione professionale e le attività produttive, e il Presidente per i progetti speciali.
Energia, ecologia, tutela dell’ambiente … a che punto siamo come Provincia circa le sorgenti alternative o nella ricerca di sorgenti diverse dal solito petrolio?… riusciremo a liberarci dalla dipendenza dell’oro nero a breve oppure solo quando anche l’ultima goccia di petrolio sarà estratta?
Il tema dell’energia non può prescindere dalla tutela dell’ambiente. I percorsi che intendiamo intraprendere in merito sono indirizzati alla valorizzazione del territorio e del paesaggio.
Siamo contrari al nucleare e alle biomasse almeno nei termini della combustione di oli vegetali, come quello di palma, che arrivano da lontano, con percorsi che non danno valorizzazione al luogo. La nostra amministrazione si schiera a favore delle energie alternative che creino opportunità e sviluppo per la nostra stessa Regione, e che valorizzino e garantiscano la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Da questi obiettivi scaturisce la posizione di fatto contraria anche alle biomasse e sulla quale svilupperemo ulteriori e alternative soluzioni insieme alla Regione Marche. Riguardo al fotovoltaico stiamo valutando diversi aspetti, perché, se da un lato l’Ente Provincia facilita questo tipo di risoluzioni, dall’altro, tuttavia, non posiamo permettere il consumo indiscriminato e incontrollato di tutte quelle aree che in prospettiva potrebbero ritornare interessanti da un punto di vista rurale nonostante oggi, l’agricoltura sia in sofferenza sia come risultati sia come rendite. La tecnologia sta facendo passi avanti e quello che attualmente sembra avere meno convenienza in un prossimo futuro potrebbe ritornare interesse.
La Provincia lavorerà per produrre e consumare energia con le risorse del territorio. Che cosa significa questo? Che un territorio come una o più Provincie oppure tutta la Regione Marche, in prospettiva, dovranno essere autonome per quanto riguarda la produzione e il consumo di energia. Significa porsi in un sistema di vita basato su un’economia sostenibile e sullo sviluppo di una nuova cultura per gli abitanti stessi. Sono percorsi difficili, certo, ma sono convinto che fra un certo numero di anni altre Nazioni non saranno più disposte a vendere l’energia prodotta. Ognuno cercherà e pretenderà l’autosufficienza.
L’autosufficienza sull’ecologia si sposa perfettamente anche nel ciclo integrato delle acque: ogni territorio deve essere completamente autonomo, sia nella depurazione sia nelle fognature, per recuperare a riutilizzo le acque nel loro completo ciclo. Questo ovviamente vale anche per il ciclo integrato dei rifiuti per cui ogni territorio deve essere autonomo sia nell’impiantistica, con una propria discarica, benché residuale, sia nell’attività. Ogni Provincia deve costruire la sua indipendenza organizzandosi autonomamente modificando l’impostazione di tutto un territorio e la vita stessa dei cittadini in un contesto di equilibrio delle varie attività nei percorsi dei rifiuti, delle energie, delle acque.
È questo il concetto che si deve trasmettere. In questi ultimi trenta anni siamo vissuti sopra le nostre possibilità sia economiche sia ambientali. Abbiamo consumato troppo e male. Ci dobbiamo muovere verso modelli di sviluppo che sono di molto riposizionati rispetto ai comportamenti degli ultimi anni. E’ l’idea stessa di sviluppo che va cambiata. Ho passato una vita nel privato ma sono per la gestione pubblica di alcuni beni primari essenziali. Tutto quello che può fare il pubblico, modificando e migliorando la gestione dei servizi di pubblica utilità, lo deve fare.
Non ci possiamo permettere più certe situazioni e l’istituzione Provincia, da questo punto di vista, può incardinare la gestione pubblica di alcuni servizi primari essenziali come l’acqua, i rifiuti e l’energia elettrica. Sosteniamo la necessita di garantire l’acqua come bene pubblico, e in questa battaglia ci siamo uniti alla Regione Marche, che, come altre Regioni, hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Tutti i ricorsi alle privatizzazioni cui abbiamo assistito hanno evidenziato vantaggi solo in un primo memento. Una volta persa la titolarità di questo bene primario, che cosa accadrà fra venti o trenta anni? Il rischio è di non avere più il controllo sulle tariffe e i costi per i cittadini. Perché le amministrazioni pubbliche non dovrebbero dare questa garanzia?
Il nostro presente è incentrato sulle scarpe e tutto ruota intorno alle scarpe al punto che i ragazzi come idea di vita sposano la fabbrica come identità lavorativa. Le possibili alternative, anche in funzione di una ipotetica crisi del settore, potrebbero essere il mondo del divertimento, dello spettacolo e degli eventi, oppure ci potrebbero essere altre ipotesi al vaglio del suo assessorato per creare le condizioni di un ricambio produttivo?
Noi pensiamo che comunque l’attività manifatturiera debba rimanere il più possibile sul territorio. Non mi riferisco solo alla calzatura, oppure alla produzione del cappello ma anche ad altre piccole realtà. Opportunità altresì importanti ma complementari che non possono sostituire del tutto il calzaturiero. Per mantenere i livelli di produzione locali deve essere fatto il massimo perché tutti i miraggi di “esternalizzare” le produzioni, soprattutto in Cina, nell’arco di quindici anni al massimo rientreranno poiché nasceranno problemi nuovi, energetici, ambientali e di trasposto. Ci saranno nuove situazioni e meccanismi che oggi non dominiamo. La Regione, ma anche la Provincia, ognuno deve fare la propria parte per dare supporto a questi percorsi. La Regione Marche farebbe bene almeno ad azzerare l’IRAP per le aziende delle zone dove il manifatturiero incide per una percentuale importante rispetto al prezzo di vendita del prodotto.
Favorire il manifatturiero si può anche attraverso la promozione del territorio. Perché se un territorio è conosciuto in Italia e nel mondo, il prodotto di quella zona è apprezzato maggiormente e viene anche meglio remunerato.
Manteniamo il più possibile il manifatturiero e acceleriamo, con il supporto delle Istituzioni ai vari livelli, la valorizzazione del territorio anche sotto un piano turistico e commerciale sviluppando tutte le attività che possano richiamare l’attenzione e fare turismo a vario titolo, che portino a valorizzare le nostre tipicità, la nostra cultura, il paesaggio e i nostri prodotti. Questo è un territorio dove è bello lavorare, è bello studiare, è bello venirci in vacanza, è bello passarci un periodo dell’anno. Si stanno affermando abitudini nuove e ci sono persone che per sei mesi lavorano nel Nord Europa per poi passare il resto dell’anno in un clima più gradevole e qui spesso si comprano anche una casa. Questa è una Provincia “a misura d’uomo”: ci sono spazi da tutti i punti di vista, anche per vivere la tradizione. Ci sono dei lavori che quasi non fa più nessuno e potremmo recuperare alcuni antichi mestieri. Gli italiani devono pensare che qualsiasi lavoro è dignitoso, e dovremmo far capire ai giovani che anche il lavoro manuale è un lavoro fatto con “mani pensanti”, eseguito con la testa e prodotto dalla creatività.
Il Made in Italy, più che di norme e leggi deve fare leva sul concetto di distretto produttivo come cultura, formazione, innovazione, creatività, fattore umano, qualità, identità di un territorio, riconoscibilità di un territorio, riconoscimento dei prodotti tipici di un territorio, l’essere nel fermano e nelle Marche, l’orgoglio di un territorio, capacità di lavoro, arti e mestieri, mani pensanti Dobbiamo recuperare il valore del lavoro manuale, a tutti i livelli e per qualsiasi mestiere. Già alcuni segnali sono stati avvertiti e lo abbiamo visto, per esempio, nelle assistenze familiari. Molte donne marchigiane che hanno perso il lavoro si sono rese disponibili su questi percorsi. La Provincia, con la scuola di Sant’Elpidio a Mare e di Amandola, ha attivato dei corsi per assistenti familiari. In una nuova ottica, il lavoro di badante non è più considerato un lavoro inferiore ma dignitoso al pari di altri. Noi dobbiamo restituire dignità al lavoro di qualsiasi tipo, anche quelli che fino a qualche anno fa erano rifiutati. Il concetto è che s’inizia con un lavoro poi si può pure cambiare, crescere e salire di grado. Il lavoro manuale va considerato allo stesso livello di qualsiasi altro lavoro. È questo il vero cambio di mentalità, e le Istituzioni possono dare attenzione proprio in questa direzione.
Per i nostri giovani, la situazione è difficile, la viviamo e ne siamo tutti consapevoli.
La Provincia di Fermo, già dal primo marzo scorso, ha impiegato alcuni giovani nei piccoli Comuni sotto i quattro mila abitanti. Un piccolo bando per il sostegno dell’occupazione giovanile a favore dei piccoli Comuni. Una sorta work experience finanziato dalla Provincia.
Nell’arco di qualche mese, entro ottobre al massimo, offriremo unici giovani laureati ai Comuni sotto i duemila abitanti e stiamo lavorando a un altro bando per centocinquanta giovani, diplomati e laureati. La Provincia fa il primo sforzo finanziario ma, rispetto al passato vogliamo una compartecipazione da parte dei privati per far si che la maggior parte di queste esperienze lavorative vadano poi a buon fine. Terminato il periodo lavorativo, le aziende si dovranno impegnare ad assumere il giovane per almeno altri sei mesi con un contratto a tempo determinato. L’azienda quindi s’impegna a un’ulteriore esperienza lavorativa oltre quella a carico della Provincia. Ci stiamo lavorando insieme al Presidente, questo è un primo passo e se avremo ulteriori risorse, le graduatorie che si formeranno potranno essere soddisfatte appieno.
Sapete com’è la situazione del sostegno al reddito da parte della Provincia per la cassa integrazione in deroga? Oggi le Provincie si fanno carico di cifre importanti, a spese del Fondo sociale europeo, per il sostegno di oltre quattromila domande di cassa integrazione in deroga. Lavoratori di piccole aziende con meno di quindici dipendenti, che in passato non avevano nessuna forma di ammortizzatore sociale. La Provincia assicura poi un percorso formativo agli stessi lavoratori per ricollocarli sul mercato del lavoro. È una cosa abbastanza complessa che richiede molte risorse. Stiamo anche cercando di rilanciare la scuola di formazione di Sant’Elpidio a Mare e la sede distaccata di Amandola e abbiamo avviato dei corsi sulla calzatura rivolti alle nuove generazioni per il taglio computerizzato, per l’orlatura di qualità legata ai campionari, perché, accanto alle problematiche per la riduzione dei livelli produttivi, ci sono anche difficoltà legate al ricambio generazionale per alcuni tipi di lavori. Per alcune particolari lavorazioni la sostituzione è sempre più difficile. Stiamo lavorando anche su quest’aspetto.
Secondo lei la nostra Provincia potrebbe riuscire a diventare un polo espositivo, oltre che produttivo, per il comparto calzaturiero, oppure resteremo per sempre quelli che producono le scarpe ma poi per farle vedere devono andare a Milano oppure in altre città per mancanza di spazi ed eventi locali, che porterebbero gli acquirenti da noi, con l’ovvio impulso anche di altri comparti, penso al turismo e all’agro-alimentare?
Mi sembra che anche la fiera della calzatura di Bologna sia stata spostata a Milano.
Oggi gli operatori del settore si concentrano su fiere internazionali interessanti sotto tanti punti di vista. Sinceramente la vedo molto difficile poter sviluppare nel nostro territorio una fiera.
Dando alla questione un taglio diverso, potrebbe essere invece molto interessante promuovere il territorio attraverso lo sviluppo degli outlet non solo calzaturieri. La promozione, la valorizzazione e la conoscenza di un territorio passa anche per gli spacci. E in tal senso si è mossa anche la nostra Provincia con la presenza a diversi eventi di rilevanza nazionale e internazionale come il Micam di Milano, il Cibus di Parma, e ad altri expo milanesi sull’artigianato. Sulla stessa linea, stiamo sostenendo anche la locale squadra di pallacanestro, la Sutor, che si trova a un livello di attenzione nazionale e che ci permette perciò di dare visibilità alla nostra Provincia. Più che concentrarci su una fiera si possono intraprendere strade per lo sviluppo degli outlet creando dei veri e propri poli territoriali. La gente si organizza, arriva da tutta Italia, compra i prodotti del territorio, e non solo le calzature, e contemporaneamente trascorre qualche giornata nelle nostre zone, quindi è l’offerta complessiva di turismo in generale, di cultura, di tradizioni, di produzione locale. Ci sono già delle concentrazioni a Montegranaro e a Casette D’Ete, ma, in prospettiva si potrebbero sviluppare nuovi spazi. Mi riferisco, per esempio, alla vasta area dell’ex Fim a Porto Sant’Elpidio, in fase di bonifica e riqualificazione, oppure in prossimità della realizzazione di una darsena. Veri e propri poli turistico-culturali di valorizzazione delle attività manifatturiere, ma penso anche alla Valdaso con i prodotti agro-alimentari. Più che a una fiera nella forma tradizionale, si tratterebbe di ottimizzare le opportunità territoriali già esistenti.
Da addetto alla Gestione delle aziende, lei che tipo di cambiamenti apporterebbe per correggere l’atavico senso di provincialismo socio-culturale della nostra regione, ed in particolare delle Marche sporche, così chiamate le Province a Sud di Ancona, a suo parere si possono avere risultati usando il buonsenso oppure è una battaglia persa è sarebbe meglio indirizzare le risorse su altri mutamenti possibili?
Le situazioni sono molto cambiate negli ultimi anni e le Provincie a Sud di Ancona hanno delle risorse e delle potenzialità che ne possono fare dei luoghi di eccellenza come già sono per alcune peculiarità. Quello che si può correggere nella gestione territoriale di aria vasta sono i modelli culturali, sociali e di vita in genere più consoni a un’economia sostenibile. Questo non significa rinunciare a tutto, ma riposizionarsi a tenori di vita, ad abitudini e situazioni che permettono meglio di vivere in sintonia con il territorio. Se pensate al contadino di cinquant’anni fa, che cosa andava a comprare? Poco o niente, eppure non è che facesse una vita terribile. Cercava, nella sua autonomia, di essere quasi completamente autosufficiente, valorizzando il più possibile quello che aveva a disposizione. Non dobbiamo ritornare a questi livelli, sarebbe improponibile per noi, ma dobbiamo sviluppare una maggiore sensibilità e consapevolezza di quello che si ha!
A livello nazionale stanno facendo una battaglia assurda contro le Provincie, in particolare quelle di piccole dimensioni che in realtà sono una virtuosità di governo di aria vasta: costano poco, sprecano nulla e funzionano! Basta vedere i numeri, da ogni punto di vista, anche dalle attribuzioni degli amministratori che sono chiamati a svolgere compiti che in passato erano demandati alle Regioni. Quello che dovrebbe essere fatto è invece una revisione e una semplificazione dei ruoli istituzionali e amministrativi dell’Ente Regione per fare l’essenziale, con meno formalità e meno burocrazia, destinando più risorse agli Enti locali direttamente a contatto con i cittadini: le Provincie e i Comuni. Se c’è da fare una riforma a livello nazionale è quella di alleggerire le Regioni e di destinare più risorse ai Comuni e alle Provincie, almeno per le piccole realtà.
A volte le problematiche da affrontare sono molto complesse e articolate. Prendendo ad esempio il piano tutela acque regionali, in parte migliorato su richiesta di Comuni e Province, ci impone compiti molto impegnativi quando ancora ci sono dei territori che non hanno nemmeno la depurazione. La Regione dovrebbe impegnarsi nel rendere le cose più semplici e prima della formulazione dei provvedimenti dovrebbe calare la teoria nel contesto pratico, formulare delle ipotesi e stilare una casistica di venti situazioni e simularle perché poi diventa difficoltoso ed esoso metterle in pratica. Semplificare significa concentrarsi sulle cose che effettivamente servono, sulla realizzazione di obiettivi primari. Le necessità essenziali - la tutela dell’ambiente e la viabilità - vanno soddisfatte per prime, strada facendo si realizzeranno le ottimizzazioni con il rischio, altrimenti, di complicarci enormemente e di non avere le risorse nemmeno per l’essenziale.
Immagino lei sia contento che Fermo abbia la sua provincia, ma non basta fare il tifo per la propria squadra se poi non vince neppure una partita, quali sono le vittorie che lei, da componente della Giunta Provinciale, si aspetta a breve e a lungo termine dalla nuova Provincia fermana?
Ho fatto il capogruppo nella Provincia unita e già la conquista dell’indipendenza è una vittoria, non per la burocrazia, ma per il territorio. Le piccole difficoltà che abbiamo, con la Provincia unita sicuramente non sarebbero state affrontate non con lo stesso valore con il quale lo sta facendo ora Fermo e questo si può vedere in tante azioni e in tutte le iniziative.
Da quando, nel 2004, è stata istituita la Provincia di Fermo, i consiglieri del fermano hanno iniziato a puntare i piedi, e hanno potuto pretendere un bilancio stratificato nei due territori, 43,57% un po’ su tutto, sulla viabilità, sulle scuole. Tutte le scuole superiori, tranne pochissime situazioni, sono state ampliate, ammodernate, riqualificate e ora la nostra Provincia è ospite nel nuovo polo scolastico fermano in pratica a costo zero. E non è poca cosa.
Io sono entrato come capogruppo PD ed ho potuto monitorare i piani di attuazione degli investimenti e le ripartizioni nei due territori, andando a controllare anche tutti i documenti pretendenti fino a cinque anni prima. Posso affermare che dal 2000/2001, dopo continue lotte, c’è stato un “equilibrio” territoriale nella suddivisione tra le due aree, ma prima del 2000 i due terzi delle risorse erano introitate dal contributo del fermano ed erano spese nel territorio della ridefinita Provincia di Ascoli. Questi erano i numeri su ogni cosa, dalla viabilità ai Fondi Sociali Europei!
Oggi abbiamo la certezza che le risorse sono investite e valorizzate in questo territorio e non dobbiamo guardare la situazione, difficile per tutti, del 2009-2010. Se non avessimo avuto la Provincia, ci saremo trovati ancora più in difficoltà; solo con il sostegno al reddito - più di quattro mila domande da dover istruire – qualsiasi altra Provincia con queste pratiche e con l’ufficio di Fermo sarebbe saltata! Siamo riusciti a tener testa in una situazione di emergenza come questa e abbiamo avviato percorsi d’intesa, convocando l’INPS e stipulato un accordo con le parti sociali, datoriali e sindacali. Questo territorio non poteva avere questo tipo di risposte se non avesse avuto la Provincia. E questo vale anche per la viabilità e altri servizi.
Sapete da dove arrivano le entrate principali dell’Ente? A parte i trasferimenti della Stato, arrivano dalle immatricolazioni, dalle assicurazioni, dall’addizionale dell’Enel. Oggi queste entrate sono in flessione visto il minor numero di auto registrate e il fermo delle attività produttive, e, nonostante questo, l’istituzione dell’Ente ha permesso di sostenere l’intero contesto del territorio.
Come mai molti ragazzi delle Marche, come lo è stato lei, sono dovuti andare in Università di Roma o Milano per ottenere il titolo di laurea necessario per poi lavorare nel settore calzaturiero come se noi, primi in assoluto, come produttori di scarpe, non avessimo le Università giuste. Succede per nostra mancanza strutturale ideologica, l’erba del vicino è sempre più verde, o per furbizia degli altri se siamo ridotti a emigrare per lavorare nelle nostre stesse fabbriche?
Un’osservazione a questo territorio va fatta già da lontano. Da studente ho frequentavo l’ITIS Montani negli anni d’oro e mi sono diplomato con il massimo dei voti. All’epoca tutti i periti industriali che uscivano dall’istituto hanno fatto le fortune delle aziende del nord perché qui non avevano un posto di lavoro. È stata una mortificazione per questo territorio e non si è riusciti a spingere su una serie di percorsi che ne potevano valorizzare le situazioni. Me se sono andato a Roma perché nel 1969, quando mi sono iscritto, Ancona ancora non aveva la facoltà d’ingegneria. Solo nel 1970 è stata istituita ingegneria edile e nel 1971 tutte le altre specializzazioni. Perugia aveva solo il biennio quindi potevo scegliere solamente tra Bologna o Roma. A Roma - per quattro anni sono stato alla casa dello studente – l’università era eccezionale! Avevamo come docenti dei luminari, abbiamo avuto Sett come professore di fisica, Gizzetti, Vaccaro, preside poi rettore, Amaldi di fisica che aveva lavorato con Fermi, abbiamo avuto Ruberti, che ha fatto anche il ministro, c’era Ossicini, Silvestroni per la chimica, anche lui un luminare in tutta Italia. C’era un livello di formazione straordinario. Oggi, tuttavia, il livello delle università marchigiane, soprattutto la Politecnica delle Marche ha una grande considerazione.
La scelta di andare fuori regione viene fatta per vivere il giusto ambiente universitario, poiché anche con lauree di prestigio la nostra situazione occupazionale locale non offre molto ai giovani. C’è un tessuto industriale a vario titolo che non riesce a soddisfare le potenzialità dei ragazzi. Chi va via pensa poi di rimanere e fare esperienze in altre realtà oppure all’estero, almeno per alcuni anni. Certamente va riconosciuto che il periodo di tirocinio è veramente eccessivo, e in questa società di ulteriore competizione anche gli studenti brillanti trovano difficoltà a emergere e ad avere prospettive importanti. Vorrei ricordare che la brillantezza delle persone non si misura solamente negli esseri prepotenti e competitivi, nell’essere bravi a vincere un concorso, bravi ad apparire ed a presentarsi, ci sono personalità più modeste, silenziose e più rispettose ugualmente valide ma che in questa società moderna sono ulteriormente mortificate. In passato, essendoci più spazio per tutti, anche questi potevano riuscire.
Questa è una società ingiusta che penalizza tante potenzialità che non riescono a esprimersi e a venir fuori perché non tutti hanno le stesse caratteristiche. Quello che condiziona una persona è il carattere. Ed il carattere dipende dalla natura, quindi dal dna. È un problema serio e preoccupante ed è di vitale importanza che le istituzioni pubbliche intervengano su tutta una serie di attenzioni e di percorsi rispetto a una competizione eccessiva di primo approccio, rispetto a lotte che vanno più a inficiare direttamente in prima battuta sul carattere della persona.
Se certi problemi non si affrontano sistematicamente, si corre il rischio che alcuni spiriti e qualche entusiasmo si perda un po’. Le potenzialità di una persona devono essere misurate periodicamente, altrimenti quelle qualità possono decadere nel tempo. Alcune situazioni vanno approcciate al momento giusto dedicandoci del tempo perché certe idee non vengono in prima battuta.
A me fa un po’ impressione quando mi consegnano un documento da leggere e poi mi dicono “dimmi tutto quello che pensi”. Questo è un affronto alla mente e alla creatività! Si può essere bravi quanto ti pare, ma un conto è leggere un documento e riuscire a dare una valutazione e un conto è che si è partecipato alla redazione dello sesso. L’idea è diversa. Anche le persone capaci, devono comunque vivere le situazioni, devono essere coinvolti perché non si è preparati e non si riesce a ingranare in poco tempo solo per il fatto di aver avuto una buona formazione. La professionalità la costruisce il lavoro, l’essere coinvolti, il partecipare, il vivere le situazioni e non solo un titolo di studio! Quando mi sento dire che i ragazzi non sanno fare niente, mi domando ma che discorso è questo? Ogni giovane ha una formazione e quindi una propria potenzialità, diamogli almeno sei mesi di tempo!
Io ero un tipo abbastanza riservato, timido, silenzioso, benché brillante, di studio e d’impegno e non lo so se in una società come quella odierna sarei potuto sopravvivere …. allora ho avuto un percorso abbastanza interessante …. oggi invece si resta subito indietro. La società si deve far carico di queste problematiche perché “siamo tutti diversamente abili”. Tutti sono capaci e meritevoli nelle diverse abilità e ci deve essere uno spazio e un’opportunità per tutti. Quello che è più adatto a fare l’attore, farà l’attore, quell’altro sarà più portato a fare il manager, oppure la ricerca, o invece le relazioni umane ma, purtroppo, non c’è lo spazio per tutti nelle diverse abilità, per questo la nostra è una società ingiusta.
Una persona che magari non riesce subito a svettare, ma messa a fare delle attività, sicuramente con un’adeguata formazione di base, ci arriva dopo sei mesi. Non si può pensare che una persona sia immediatamente preparata su tutto. In passato c’era più investimento nelle risorse umane. Le grandi aziende come l’IBM, l’Aristion, oppure l’allora Merloni elettrodomestici, oggi attuale Indesit - dove ho avuto il mio primo contratto di lavoro - per sei mesi, ogni fine settimana, spediva i propri dipendenti a Milano. Quando sono andato a lavorare alla Bontempi Farfisa, nei primi anni ottanta, ci sottoponevano a un piano formativo, per cui passavano almeno un mese all’anno alla Celos, una società di consulenza, alla Prisma, alla Orga a Milano. Perché ci mandavano là? Non è tanto per la formazione che si poteva fare anche in azienda, ma perché in queste situazioni si formavano gruppi di venti persone provenienti da differenti realtà aziendali e c’era uno scambio di esperienze. Insieme a queste persone si andava a pranzo e a cena insieme, e si usciva anche la sera.
Oggi il concetto di investire sulla potenzialità è scomparso, si guarda all’immediato piuttosto che nel medio e lungo termine. L’istituzione potrebbe, la Regione, o lo Stato, intervenire con iniziative e contributi per questo tipo di attività. Negli anni d’oro della Bontempi, moltissime persone si sono messe in proprio, creando altre aziende nel manifatturiero, nella meccanica, nell’elettronica, imprese per la progettazione degli stampi, per la plastica e così via.
Quando c’è un insediamento industriale importante e ci sono delle persone potenziali, si devono stimolare le competenze e cogliere le opportunità perché c’è gente che dopo dieci o quindici anni di lavoro alle dipendenze si “rassicura” pur essendo intraprendenti perché non hanno ancora sviluppato il carattere e la sicurezza per cambiare e fare qualcosa in proprio. È in questo modo che il territorio cresce e si sviluppa un’economia diffusa.
Torno a ripetere che non è facile ma le Istituzioni devono aiutare favorendo l’autonomia di un territorio, il percorso di un territorio ed anche alcune menti. La nostra Provincia non ha le risposte per tutto, ma almeno ci proviamo, veicolando questo messaggio.
Bisogna dare segnali di fiducia e anche lo “sporcarsi le mani” deve essere visto in un’ottica positiva. Non è possibile che un ragazzo è interessante agli occhi di una ragazza solo perché svolge un certo tipo di lavoro, mentre quello che lavora in catena di montaggio, o nel ciclo dei rifiuti, o nella manutenzione non è considerato allo stesso modo. Che cosa vogliamo fare? Le attività di un territorio sono queste e non possiamo pensare che debba venire chi sa chi a svolgerle. Le devono fare gli italiani, nella dignità dell’inquadramento normativo, anche retributivo, e anche nella considerazione sociale complessiva. Un problema è anche quello della considerazione sociale attribuita a una serie di lavori, va cambiata la mentalità, la cultura stessa! Tutte le attività devono essere dignitose e utili e importanti in egual modo per un territorio.
Recentemente alcuni ragazzi della nostra Provincia hanno festeggiato la laurea ed altri presto festeggeranno la maturità. Lei come festeggiò questi traguardi scolastici, con la solita bevuta fra amici oppure si sbizzarrì con fantasiose manifestazioni?
Intanto, quando ero studente, c’era ancora la festa della matricola! La laurea l’ho festeggiata quando sono rientrato a casa, sotto il periodo natalizio, con trenta quaranta persone circa. Una grande festa a casa dei miei genitori, cominciata nel pomeriggio e finita la sera. Allora si usava anche organizzare dei balli in casa, sto parlando del 1974, e sono venute persone e altri amici che avevano frequentato la scuola con me a Fermo, coetanei, amici dell’università, che hanno vissuto con me l’esperienza del diploma e della laurea.
Già a quel tempo era impegnato nella politica?
No, no, sono sempre stato di sinistra, ma solo nel 1993 ho cominciato a impegnarmi in politica.
Che tempi erano quelli della sua laurea?
Erano tempi di entusiasmo, vedevi davanti a te grandi prospettive, e alla peggio, con una laurea in ingegneria, l’insegnamento era garantito. Con una laurea di 110 e lode, presa in quattro anni, e assolto il servizio di leva a cavallo di due anni scolastici, che valeva il doppio del punteggio, terminati gli studi, avevo già una cattedra a Fermo con assunzione a tempo indeterminato. Era il 1975. Ma ho insegnato solo qualche mese. Ho rinunciato a fare il professore per andare a lavorare nel privato. Ero un fissato dell’industria, ero un patito della logica e della matematica, della statistica e dei sistemi. Sono un elettronico gestionale, con un piano di studi che dopo un esame di Stato ti rilasciava l’iscrizione all’albo degli ingegneri per esercitare la libera professione. Difatti ancora oggi ho la Partita Iva e ogni tanto faccio qualche piccola consulenza professionale. Piuttosto che l’insegnamento e la libera professione a me piaceva lavorare nell’industria e alla Merloni elettrodomestici ho maturato la mia prima esperienza lavorativa. A quel tempo non c’erano le calcolatrici, le avevano in pochissimi e costavano quanto cinque stipendi. Si andava con il regolo calcolatore, oppure a mano e quindi si era molto allenati mentalmente nella sintesi delle reti elettriche. Si lavorata con i diagrammi di gauss e con i diagrammi di flusso, si elaboravano gli istogrammi e le carte di controllo ed ho imparato, per esempio, che la media delle medie è sempre gaussiana, se si usano certe tecniche.
La mia scelta lavorativa era dettata soprattutto dalla volontà di misurarsi su problemi pratici. Sono l’ultimo di cinque figli maschi. Una famiglia numerosa, la mia. E l’unico figlio che ha studiato sono stato io, non perché gli altri non fossero capaci, ma perché erano nati prima, ed io ero l’ultimo. Da piccolo abitavo in campagna. La campagna t’insegnava a essere in un certo senso imprenditori, ti abituava a fare piccole esperienze, a sporcarti le mani, sviluppando l’attitudine a mettersi in gioco anche nell’operatività. Quando ero in azienda, molto spesso mi mettevo a fare insieme all’operaio o all’impiegato. Mi piaceva dare qualche dimostrazione di fattibilità nelle cose dove potevo misurarmi. Dare delle dimostrazioni pratiche oppure riuscire a coinvolgere il personale e far capire che tutti possono dare un contributo … questo fa la differenza!!!
Voglio raccontare una mia esperienza.
Quando ho cominciato a lavorare con la Bontempi, che produceva, insieme con la Farfisa, anche mobili per pianoforti, a soli 29 anni mi sono trovato responsabile del processo di produzione. Un giorno un operaio sui 55 anni aveva un problema, andai direttamente in reparto a controllare perché non mi facevo portare i problemi in ufficio, e gli chiesi da quanti anni lavorasse la. Ti davano del lei, per rispetto, ma non perché ci fosse una gerarchia, perché comunque era un’azienda con mille dipendenti. Mi rispose da 30 anni. Gli dissi di far conto come se io non ci fossi e di separarmi i mobili buoni da quelli difettosi …. e ripassai dopo un’ora. Sono ripassato, e gli dissi che se andava bene per lui andava bene anche per me …. chiuso il discorso. Bisogna dare fiducia!!! Bisogna valorizzare le persone! Erano operai responsabili, attaccati all’azienda, ci tenevano … una volta un operaio da Porto Potenza, aveva preso con me un impegno, ma gli si era rotta la macchina, e pur di presentarsi a lavoro è venuto con la bicicletta. Ci sono molti episodi di attaccamento, di disponibilità e di responsabilità sia dell’operaio sia dell’impiegato e con il passare degli anni sono diventato sensibile a queste situazioni. Si scoprono tante situazioni e bisogna avere anche una certa umanità, pur nel rispetto dei ruoli. Oggi le aziende sono molto cambiate, e l’opportunità non c’è per tutti … questo non è giusto. Tutti dovrebbero, nelle diverse abilità, poter avere un ruolo nella società.
Nella sua vita privata lei è organizzato come lo esige il suo lavoro, oppure si lascia volentieri andare all’improvvisazione in fatto di scelta di eventi culturali e spettacolari?
Organizzo poco e improvviso molto. Siamo già molto organizzati nel lavoro e nella politica!
Sono sposato da 32 anni e ringrazio la moglie di sopportarmi ancora con tutti i miei impegni e gli orari strani. Ho due figli grandicelli, il primo di 30 anni e l’altra è più piccola ….
Che dire …. faccio una vita un po’ da “frate” … nel senso che non faccio grandi cose nel poco tempo libero che ho! Mi permetto davvero poco perché sono comunque sempre molto impegnato e perché mi sono abituato con gli anni a tarare molto con il lavoro e gli impegni istituzionali, che ho trascurato gli hobby. In effetti mi dovrei concedere qualche vacanza e qualche tempo in più per me dopo tanti anni di lavoro…
Cerco di essere a casa almeno nel fine settimana. Un po’ mi riposo, poi mi dedico al giardinaggio. Qualche volta mi faccio aiutare anche da mio figlio. Sono anche un cicloamatore. Andavo in bicicletta …. ora non vado più tanto spesso … ma sono attrezzato! Mi godo lo spazio libero … dedico qualche ora alla famiglia e alla casa … ma non è facile … nonostante tutte le volontà della famiglia.
Oggi la famiglia per quanto voglia fare - questo riguarda anche i ragazzi più giovani - non incide più di tanto su tutta una serie di abitudini. Le abitudini le fanno il mondo esterno, sono dettate dalla vita lavorativa con tutte le ricadute positive e negative …
Pubblicato sul sito:
http://www.seratiamo.it/serate/soft-13/laura-gioventu-incontra-l-ing-renato-vallesi-41/redazionale/
Lei è definito facilitatore ed ottimizzatore di processi e di sistemi complessi. Per cui lei di sicuro saprebbe come rendere la politica molto più facile di come adesso sia, ci dia la sua ricetta per semplificarla.
Mi sono definito facilitatore e ottimizzatore di processi e di sistemi complessi NON riguardo alla politica, ma alla gestione dei problemi di un Ente come il Comune o, nel caso specifico, della Provincia, perché tutte le questioni che si affrontano nell’amministrazione vanno ricondotte a un processo che come tale va inquadrato nel dominio giusto e nel contesto giusto per essere semplificato e ottimizzato. Quest’approccio può riguardare sia una procedura amministrativa sia un’autorizzazione, può essere un metodo legato al ciclo integrato dei rifiuti, oppure al ciclo integrato delle acque, ma anche a tutte le problematiche energetiche.
Se ogni amministratore facesse lo sforzo di inquadrare nel giusto dominio e per processi un problema certamente si potrebbero avviare anche delle forzature per una semplificazione amministrativa e normativa. A volte non si riesce a fare una facilitazione legislativa e normativa perché il problema non è bene inquadrato, ogni tema deve essere collocato correttamente sia dalla politica sia dall’amministrazione in genere prima di essere impostato. L’eccessivo tecnicismo oppure approcci troppo aziendalistici guastano le situazioni. È necessario anzitutto esaminare le varie situazioni con il giusto approccio e stratificare i problemi affinché si possa procedere a semplificazioni normative e legislative.
Definendomi “facilitatore e ottimizzatore di processi e di sistemi complessi”, la mia non è stata una presunzione, ci mancherebbe pure. Racconto solo quello che è il mio profilo: sono stato uno studente lavoratore. Ho frequentato l’Istituto Tecnico Industriale Montani di Fermo perché pensavo poi di andare a lavorare. Ero uno studente brillante per cui ho deciso di frequentare l’università. Mi sono laureato con il massimo dei voti e ho travato subito impiego nelle aziende. Ho lavorato all’Ariston, alla Farfisa, alla Bontempi negli anni d’oro, svolgendo attività legate ai sistemi di qualità, alla sicurezza, ai processi produttivi in generale, dall’arrivo dei materiali alla consegna del prodotto finito fino all’assistenza tecnica. Occupandomi per molto tempo di queste problematiche ho capito l’importanza del processo, di qualsiasi tipologia si tratti: sistemi complessi che spesso possono essere semplificati anche a costi zero. L’idea può venire da tutti, viene anche al lavoratore che ha trenta anni di esperienza. La soluzione può arrivare da tante persone come quando, negli anni ‘80, nei circoli della qualità, nei gruppi di lavoro e nei brainstorming ognuno metteva la propria. Oggi c’è la presunzione di insegnare agli altri ogni cosa e non si ascolta l’altro negando anche il più semplice contributo. Bisogna tenere sempre presente che anche piccole intuizioni possono portare a grandi risultati. A volte una buona idea, anche se sostenuta da una sola persona, senza avere necessariamente il consenso di tutti, può essere una valida idea! Purtroppo non si fa più tanta attenzione a questi aspetti ma si preferisce ricorrere a un eccessivo tecnicismo quando talvolta l’ottimizzazione di un problema può essere semplicissima. Faccio un esempio sull’urbanistica, anche se io non ho questa delega. Per impostare una qualsiasi situazione, l’Ente fa numerosissimi studi, quando invece sarebbe sufficiente produrre al massimo un paio di pagine, una sulla zonizzazione e una sulle destinazioni o su alcuni requisiti normativi essenziali. Poi arriva tutto il resto. Questo è quello che significa “collocare” un problema nel dominio giusto e poi cercare di ottimizzarlo. Spesso s’inquadra la questione in modo strano e complicato, si fanno progetti e consulenze molto costose e il problema più di tanto non decolla perché è stato inquadrato male. Non è che io abbia la presunzione di approcciare nella giusta maniera tutti i problemi, ma almeno nelle questioni nelle quali ho una certa conoscenza. Nei rifiuti, per esempio, il problema di base, prima di pensare a tutto il resto è l’impiantistica. Ogni Provincia deve avere la sua discarica da utilizzare in maniera residuale e deve avere l’impianto per la filiera dell’organico per essere autonoma.
Prima di arrivare all’ottimizzazione di un processo, si deve procedere alla “stratificazione” di un problema. Il problema va separato nelle sue specificità, nelle sue caratterizzazioni, per essere studiato, valorizzato e ottimizzato. Quando, trenta anni fa, nelle catene di montaggio si producevano cinque mila pezzi al giorno, arrivavano le grandi forniture si doveva eseguire il collaudo d’accettazione, il campionamento e le statistiche. Piuttosto che accettare o rifiutare per intero una grossa fornitura, avevo introdotto il concetto di stratificare la fornitura in sub forniture classificando i problemi in tre o quattro categorie secondo merci di prima scelta, di seconda e difettose. Nel momento di decidere di accettare parte della fornitura, con queste valutazioni, il problema era già stato stratificato. Anche in un territorio di vasta area come una Provincia, potremmo applicare lo stesso metodo di analisi dividendo le problematiche in diversi aspetti, alcuni dei quali saranno maturi solo fra pochi mesi, al massimo fra un anno, altri, invece, occorrerà lavorarci di più, e magari saranno maturi solo fra venti anni.
Stratificare e separare significa stabilire delle priorità secondo un criterio logico, in altre parole fare oggi quello che è possibile, tutto ciò che resta fuori per mancanza di possibilità lo faremo domani. Trovo necessario far ricordare che il territorio si valorizza anche per miglioramenti continui, ma anche a piccoli passi. Proprio dalle piccole intuizioni possono venire fuori grandi risultati come anche dell’ottimizzazione settoriale e dell’ottimizzare a piccoli passi.
In definitiva, non è detto che per risolvere delle situazioni bisogna spendere in chissà quanti studi. Allo stesso tempo, non sempre persone che possono dare dei contributi sono ascoltate o considerate. Non vorrei sembrare né presuntuoso né dare lezioni, ma c’è bisogno di riposizionare proprio tutto l’approccio. Oggi la politica ha abdicato da un certo punto di vista. Il confronto, il dibattito, la presenza nel territorio, la consapevolezza dei problemi dei cittadini vanno ulteriormente recuperati. La politica serve, c’è bisogno della sezione di partito, del circolo, del cittadino che partecipa. Le idee non calano dall’alto e quando uno crede di aver capito tutto nella vita e pensa di dare lezioni a tutti, la situazione è davvero grave!
I cambiamenti devono partire dal basso, dalla partecipazione alla vita istituzionale, dalla conoscenza dei problemi, dalla consapevolezza della quotidianità.
Certamente non è facile, e questi percorsi di medio e lungo termine non pagano nell’immediato, soprattutto in termini d’immagine. Si tratta di un lavoro silenzioso e sistematico. Bisogna essere consapevoli del fatto che se alcune cose accadono fra cinque o sei anni, non capitano a caso, ma perché qualcuno le ha pensate e ci ha lavorato sopra.
Tutta l’amministrazione provinciale sta facendo uno sforzo, e, insieme al Presidente, cerchiamo di essere sempre presenti nei problemi e nei territori. Ci proviamo. Speriamo di farcela in questo cambiamento di rotta!
Mi auguro di aver reso l’idea; da ingegnere, con il tempo, sono diventato anche un po’ filosofo.…
La nostra Provincia ha ben 40 comuni ma non tutti viaggiano alla stessa velocità di sviluppo e di investimenti. Come si può cercare una velocità comune per tutti e quali condizioni sociali ed economiche possono permettere una situazione del genere per non ritrovarci con Comuni ricchi e con Comuni meno ricchi, sia per produzione sia per mentalità?
I Comuni sono 40, è vero, ma non tutti viaggiano alla stessa velocità perché non tutti sono delle stesse dimensioni. Ci sono 33 comuni sotto i cinque mila abitanti, 22 dei quali sotto i due mila abitanti. I più grandi sono solo sette. In ordine di grandezza Fermo, Porto Sant'Elpidio, Sant'Elpidio a Mare, Porto San Giorgio, Montegranaro, Monte Urano e Montegiorgio. La diversa dinamicità nello sviluppo è legata al differente contesto territoriale e alle estensioni stesse dei Comuni. Non so se oggi sia giusto guardare sempre a un certo modello di crescita e andrebbero ripensati sia il modello di sviluppo sia gli approcci economici allo stesso. Non sono più convinto che sia tutto riconducibile solo a un discorso di economia di scala e di grandi volumi. Si possono trovare equilibri anche in dimensioni molto più piccole e sotto tanti punti di vista.
Questa Provincia, insieme al Presidente, sta lavorando, con un atto d’indirizzo della Giunta, proprio al sostegno delle attività dei Comuni più piccoli. Quelli sotto i due mila abitanti saranno abbinati in coppie e gli saranno affidati, per un anno, undici ragazzi che si occuperanno dello sviluppo di progetti scelti dagli stessi Comuni offrendo, nello stesso tempo, ai giovani, una nuova occasione di occupazione. Anche nelle questioni legate al ciclo integrato delle acque e dei rifiuti, il coordinamento di aria vasta dell’Ente Provincia permetterà alle piccole realtà di essere sostenute in alcuni percorsi, in parte già iniziati, che dovranno essere ultimati. Un lavoro questo, che facciamo tra il mio assessorato, per quanto riguarda il lavoro, la formazione professionale e le attività produttive, e il Presidente per i progetti speciali.
Energia, ecologia, tutela dell’ambiente … a che punto siamo come Provincia circa le sorgenti alternative o nella ricerca di sorgenti diverse dal solito petrolio?… riusciremo a liberarci dalla dipendenza dell’oro nero a breve oppure solo quando anche l’ultima goccia di petrolio sarà estratta?
Il tema dell’energia non può prescindere dalla tutela dell’ambiente. I percorsi che intendiamo intraprendere in merito sono indirizzati alla valorizzazione del territorio e del paesaggio.
Siamo contrari al nucleare e alle biomasse almeno nei termini della combustione di oli vegetali, come quello di palma, che arrivano da lontano, con percorsi che non danno valorizzazione al luogo. La nostra amministrazione si schiera a favore delle energie alternative che creino opportunità e sviluppo per la nostra stessa Regione, e che valorizzino e garantiscano la tutela dell’ambiente e del paesaggio. Da questi obiettivi scaturisce la posizione di fatto contraria anche alle biomasse e sulla quale svilupperemo ulteriori e alternative soluzioni insieme alla Regione Marche. Riguardo al fotovoltaico stiamo valutando diversi aspetti, perché, se da un lato l’Ente Provincia facilita questo tipo di risoluzioni, dall’altro, tuttavia, non posiamo permettere il consumo indiscriminato e incontrollato di tutte quelle aree che in prospettiva potrebbero ritornare interessanti da un punto di vista rurale nonostante oggi, l’agricoltura sia in sofferenza sia come risultati sia come rendite. La tecnologia sta facendo passi avanti e quello che attualmente sembra avere meno convenienza in un prossimo futuro potrebbe ritornare interesse.
La Provincia lavorerà per produrre e consumare energia con le risorse del territorio. Che cosa significa questo? Che un territorio come una o più Provincie oppure tutta la Regione Marche, in prospettiva, dovranno essere autonome per quanto riguarda la produzione e il consumo di energia. Significa porsi in un sistema di vita basato su un’economia sostenibile e sullo sviluppo di una nuova cultura per gli abitanti stessi. Sono percorsi difficili, certo, ma sono convinto che fra un certo numero di anni altre Nazioni non saranno più disposte a vendere l’energia prodotta. Ognuno cercherà e pretenderà l’autosufficienza.
L’autosufficienza sull’ecologia si sposa perfettamente anche nel ciclo integrato delle acque: ogni territorio deve essere completamente autonomo, sia nella depurazione sia nelle fognature, per recuperare a riutilizzo le acque nel loro completo ciclo. Questo ovviamente vale anche per il ciclo integrato dei rifiuti per cui ogni territorio deve essere autonomo sia nell’impiantistica, con una propria discarica, benché residuale, sia nell’attività. Ogni Provincia deve costruire la sua indipendenza organizzandosi autonomamente modificando l’impostazione di tutto un territorio e la vita stessa dei cittadini in un contesto di equilibrio delle varie attività nei percorsi dei rifiuti, delle energie, delle acque.
È questo il concetto che si deve trasmettere. In questi ultimi trenta anni siamo vissuti sopra le nostre possibilità sia economiche sia ambientali. Abbiamo consumato troppo e male. Ci dobbiamo muovere verso modelli di sviluppo che sono di molto riposizionati rispetto ai comportamenti degli ultimi anni. E’ l’idea stessa di sviluppo che va cambiata. Ho passato una vita nel privato ma sono per la gestione pubblica di alcuni beni primari essenziali. Tutto quello che può fare il pubblico, modificando e migliorando la gestione dei servizi di pubblica utilità, lo deve fare.
Non ci possiamo permettere più certe situazioni e l’istituzione Provincia, da questo punto di vista, può incardinare la gestione pubblica di alcuni servizi primari essenziali come l’acqua, i rifiuti e l’energia elettrica. Sosteniamo la necessita di garantire l’acqua come bene pubblico, e in questa battaglia ci siamo uniti alla Regione Marche, che, come altre Regioni, hanno fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Tutti i ricorsi alle privatizzazioni cui abbiamo assistito hanno evidenziato vantaggi solo in un primo memento. Una volta persa la titolarità di questo bene primario, che cosa accadrà fra venti o trenta anni? Il rischio è di non avere più il controllo sulle tariffe e i costi per i cittadini. Perché le amministrazioni pubbliche non dovrebbero dare questa garanzia?
Il nostro presente è incentrato sulle scarpe e tutto ruota intorno alle scarpe al punto che i ragazzi come idea di vita sposano la fabbrica come identità lavorativa. Le possibili alternative, anche in funzione di una ipotetica crisi del settore, potrebbero essere il mondo del divertimento, dello spettacolo e degli eventi, oppure ci potrebbero essere altre ipotesi al vaglio del suo assessorato per creare le condizioni di un ricambio produttivo?
Noi pensiamo che comunque l’attività manifatturiera debba rimanere il più possibile sul territorio. Non mi riferisco solo alla calzatura, oppure alla produzione del cappello ma anche ad altre piccole realtà. Opportunità altresì importanti ma complementari che non possono sostituire del tutto il calzaturiero. Per mantenere i livelli di produzione locali deve essere fatto il massimo perché tutti i miraggi di “esternalizzare” le produzioni, soprattutto in Cina, nell’arco di quindici anni al massimo rientreranno poiché nasceranno problemi nuovi, energetici, ambientali e di trasposto. Ci saranno nuove situazioni e meccanismi che oggi non dominiamo. La Regione, ma anche la Provincia, ognuno deve fare la propria parte per dare supporto a questi percorsi. La Regione Marche farebbe bene almeno ad azzerare l’IRAP per le aziende delle zone dove il manifatturiero incide per una percentuale importante rispetto al prezzo di vendita del prodotto.
Favorire il manifatturiero si può anche attraverso la promozione del territorio. Perché se un territorio è conosciuto in Italia e nel mondo, il prodotto di quella zona è apprezzato maggiormente e viene anche meglio remunerato.
Manteniamo il più possibile il manifatturiero e acceleriamo, con il supporto delle Istituzioni ai vari livelli, la valorizzazione del territorio anche sotto un piano turistico e commerciale sviluppando tutte le attività che possano richiamare l’attenzione e fare turismo a vario titolo, che portino a valorizzare le nostre tipicità, la nostra cultura, il paesaggio e i nostri prodotti. Questo è un territorio dove è bello lavorare, è bello studiare, è bello venirci in vacanza, è bello passarci un periodo dell’anno. Si stanno affermando abitudini nuove e ci sono persone che per sei mesi lavorano nel Nord Europa per poi passare il resto dell’anno in un clima più gradevole e qui spesso si comprano anche una casa. Questa è una Provincia “a misura d’uomo”: ci sono spazi da tutti i punti di vista, anche per vivere la tradizione. Ci sono dei lavori che quasi non fa più nessuno e potremmo recuperare alcuni antichi mestieri. Gli italiani devono pensare che qualsiasi lavoro è dignitoso, e dovremmo far capire ai giovani che anche il lavoro manuale è un lavoro fatto con “mani pensanti”, eseguito con la testa e prodotto dalla creatività.
Il Made in Italy, più che di norme e leggi deve fare leva sul concetto di distretto produttivo come cultura, formazione, innovazione, creatività, fattore umano, qualità, identità di un territorio, riconoscibilità di un territorio, riconoscimento dei prodotti tipici di un territorio, l’essere nel fermano e nelle Marche, l’orgoglio di un territorio, capacità di lavoro, arti e mestieri, mani pensanti Dobbiamo recuperare il valore del lavoro manuale, a tutti i livelli e per qualsiasi mestiere. Già alcuni segnali sono stati avvertiti e lo abbiamo visto, per esempio, nelle assistenze familiari. Molte donne marchigiane che hanno perso il lavoro si sono rese disponibili su questi percorsi. La Provincia, con la scuola di Sant’Elpidio a Mare e di Amandola, ha attivato dei corsi per assistenti familiari. In una nuova ottica, il lavoro di badante non è più considerato un lavoro inferiore ma dignitoso al pari di altri. Noi dobbiamo restituire dignità al lavoro di qualsiasi tipo, anche quelli che fino a qualche anno fa erano rifiutati. Il concetto è che s’inizia con un lavoro poi si può pure cambiare, crescere e salire di grado. Il lavoro manuale va considerato allo stesso livello di qualsiasi altro lavoro. È questo il vero cambio di mentalità, e le Istituzioni possono dare attenzione proprio in questa direzione.
Per i nostri giovani, la situazione è difficile, la viviamo e ne siamo tutti consapevoli.
La Provincia di Fermo, già dal primo marzo scorso, ha impiegato alcuni giovani nei piccoli Comuni sotto i quattro mila abitanti. Un piccolo bando per il sostegno dell’occupazione giovanile a favore dei piccoli Comuni. Una sorta work experience finanziato dalla Provincia.
Nell’arco di qualche mese, entro ottobre al massimo, offriremo unici giovani laureati ai Comuni sotto i duemila abitanti e stiamo lavorando a un altro bando per centocinquanta giovani, diplomati e laureati. La Provincia fa il primo sforzo finanziario ma, rispetto al passato vogliamo una compartecipazione da parte dei privati per far si che la maggior parte di queste esperienze lavorative vadano poi a buon fine. Terminato il periodo lavorativo, le aziende si dovranno impegnare ad assumere il giovane per almeno altri sei mesi con un contratto a tempo determinato. L’azienda quindi s’impegna a un’ulteriore esperienza lavorativa oltre quella a carico della Provincia. Ci stiamo lavorando insieme al Presidente, questo è un primo passo e se avremo ulteriori risorse, le graduatorie che si formeranno potranno essere soddisfatte appieno.
Sapete com’è la situazione del sostegno al reddito da parte della Provincia per la cassa integrazione in deroga? Oggi le Provincie si fanno carico di cifre importanti, a spese del Fondo sociale europeo, per il sostegno di oltre quattromila domande di cassa integrazione in deroga. Lavoratori di piccole aziende con meno di quindici dipendenti, che in passato non avevano nessuna forma di ammortizzatore sociale. La Provincia assicura poi un percorso formativo agli stessi lavoratori per ricollocarli sul mercato del lavoro. È una cosa abbastanza complessa che richiede molte risorse. Stiamo anche cercando di rilanciare la scuola di formazione di Sant’Elpidio a Mare e la sede distaccata di Amandola e abbiamo avviato dei corsi sulla calzatura rivolti alle nuove generazioni per il taglio computerizzato, per l’orlatura di qualità legata ai campionari, perché, accanto alle problematiche per la riduzione dei livelli produttivi, ci sono anche difficoltà legate al ricambio generazionale per alcuni tipi di lavori. Per alcune particolari lavorazioni la sostituzione è sempre più difficile. Stiamo lavorando anche su quest’aspetto.
Secondo lei la nostra Provincia potrebbe riuscire a diventare un polo espositivo, oltre che produttivo, per il comparto calzaturiero, oppure resteremo per sempre quelli che producono le scarpe ma poi per farle vedere devono andare a Milano oppure in altre città per mancanza di spazi ed eventi locali, che porterebbero gli acquirenti da noi, con l’ovvio impulso anche di altri comparti, penso al turismo e all’agro-alimentare?
Mi sembra che anche la fiera della calzatura di Bologna sia stata spostata a Milano.
Oggi gli operatori del settore si concentrano su fiere internazionali interessanti sotto tanti punti di vista. Sinceramente la vedo molto difficile poter sviluppare nel nostro territorio una fiera.
Dando alla questione un taglio diverso, potrebbe essere invece molto interessante promuovere il territorio attraverso lo sviluppo degli outlet non solo calzaturieri. La promozione, la valorizzazione e la conoscenza di un territorio passa anche per gli spacci. E in tal senso si è mossa anche la nostra Provincia con la presenza a diversi eventi di rilevanza nazionale e internazionale come il Micam di Milano, il Cibus di Parma, e ad altri expo milanesi sull’artigianato. Sulla stessa linea, stiamo sostenendo anche la locale squadra di pallacanestro, la Sutor, che si trova a un livello di attenzione nazionale e che ci permette perciò di dare visibilità alla nostra Provincia. Più che concentrarci su una fiera si possono intraprendere strade per lo sviluppo degli outlet creando dei veri e propri poli territoriali. La gente si organizza, arriva da tutta Italia, compra i prodotti del territorio, e non solo le calzature, e contemporaneamente trascorre qualche giornata nelle nostre zone, quindi è l’offerta complessiva di turismo in generale, di cultura, di tradizioni, di produzione locale. Ci sono già delle concentrazioni a Montegranaro e a Casette D’Ete, ma, in prospettiva si potrebbero sviluppare nuovi spazi. Mi riferisco, per esempio, alla vasta area dell’ex Fim a Porto Sant’Elpidio, in fase di bonifica e riqualificazione, oppure in prossimità della realizzazione di una darsena. Veri e propri poli turistico-culturali di valorizzazione delle attività manifatturiere, ma penso anche alla Valdaso con i prodotti agro-alimentari. Più che a una fiera nella forma tradizionale, si tratterebbe di ottimizzare le opportunità territoriali già esistenti.
Da addetto alla Gestione delle aziende, lei che tipo di cambiamenti apporterebbe per correggere l’atavico senso di provincialismo socio-culturale della nostra regione, ed in particolare delle Marche sporche, così chiamate le Province a Sud di Ancona, a suo parere si possono avere risultati usando il buonsenso oppure è una battaglia persa è sarebbe meglio indirizzare le risorse su altri mutamenti possibili?
Le situazioni sono molto cambiate negli ultimi anni e le Provincie a Sud di Ancona hanno delle risorse e delle potenzialità che ne possono fare dei luoghi di eccellenza come già sono per alcune peculiarità. Quello che si può correggere nella gestione territoriale di aria vasta sono i modelli culturali, sociali e di vita in genere più consoni a un’economia sostenibile. Questo non significa rinunciare a tutto, ma riposizionarsi a tenori di vita, ad abitudini e situazioni che permettono meglio di vivere in sintonia con il territorio. Se pensate al contadino di cinquant’anni fa, che cosa andava a comprare? Poco o niente, eppure non è che facesse una vita terribile. Cercava, nella sua autonomia, di essere quasi completamente autosufficiente, valorizzando il più possibile quello che aveva a disposizione. Non dobbiamo ritornare a questi livelli, sarebbe improponibile per noi, ma dobbiamo sviluppare una maggiore sensibilità e consapevolezza di quello che si ha!
A livello nazionale stanno facendo una battaglia assurda contro le Provincie, in particolare quelle di piccole dimensioni che in realtà sono una virtuosità di governo di aria vasta: costano poco, sprecano nulla e funzionano! Basta vedere i numeri, da ogni punto di vista, anche dalle attribuzioni degli amministratori che sono chiamati a svolgere compiti che in passato erano demandati alle Regioni. Quello che dovrebbe essere fatto è invece una revisione e una semplificazione dei ruoli istituzionali e amministrativi dell’Ente Regione per fare l’essenziale, con meno formalità e meno burocrazia, destinando più risorse agli Enti locali direttamente a contatto con i cittadini: le Provincie e i Comuni. Se c’è da fare una riforma a livello nazionale è quella di alleggerire le Regioni e di destinare più risorse ai Comuni e alle Provincie, almeno per le piccole realtà.
A volte le problematiche da affrontare sono molto complesse e articolate. Prendendo ad esempio il piano tutela acque regionali, in parte migliorato su richiesta di Comuni e Province, ci impone compiti molto impegnativi quando ancora ci sono dei territori che non hanno nemmeno la depurazione. La Regione dovrebbe impegnarsi nel rendere le cose più semplici e prima della formulazione dei provvedimenti dovrebbe calare la teoria nel contesto pratico, formulare delle ipotesi e stilare una casistica di venti situazioni e simularle perché poi diventa difficoltoso ed esoso metterle in pratica. Semplificare significa concentrarsi sulle cose che effettivamente servono, sulla realizzazione di obiettivi primari. Le necessità essenziali - la tutela dell’ambiente e la viabilità - vanno soddisfatte per prime, strada facendo si realizzeranno le ottimizzazioni con il rischio, altrimenti, di complicarci enormemente e di non avere le risorse nemmeno per l’essenziale.
Immagino lei sia contento che Fermo abbia la sua provincia, ma non basta fare il tifo per la propria squadra se poi non vince neppure una partita, quali sono le vittorie che lei, da componente della Giunta Provinciale, si aspetta a breve e a lungo termine dalla nuova Provincia fermana?
Ho fatto il capogruppo nella Provincia unita e già la conquista dell’indipendenza è una vittoria, non per la burocrazia, ma per il territorio. Le piccole difficoltà che abbiamo, con la Provincia unita sicuramente non sarebbero state affrontate non con lo stesso valore con il quale lo sta facendo ora Fermo e questo si può vedere in tante azioni e in tutte le iniziative.
Da quando, nel 2004, è stata istituita la Provincia di Fermo, i consiglieri del fermano hanno iniziato a puntare i piedi, e hanno potuto pretendere un bilancio stratificato nei due territori, 43,57% un po’ su tutto, sulla viabilità, sulle scuole. Tutte le scuole superiori, tranne pochissime situazioni, sono state ampliate, ammodernate, riqualificate e ora la nostra Provincia è ospite nel nuovo polo scolastico fermano in pratica a costo zero. E non è poca cosa.
Io sono entrato come capogruppo PD ed ho potuto monitorare i piani di attuazione degli investimenti e le ripartizioni nei due territori, andando a controllare anche tutti i documenti pretendenti fino a cinque anni prima. Posso affermare che dal 2000/2001, dopo continue lotte, c’è stato un “equilibrio” territoriale nella suddivisione tra le due aree, ma prima del 2000 i due terzi delle risorse erano introitate dal contributo del fermano ed erano spese nel territorio della ridefinita Provincia di Ascoli. Questi erano i numeri su ogni cosa, dalla viabilità ai Fondi Sociali Europei!
Oggi abbiamo la certezza che le risorse sono investite e valorizzate in questo territorio e non dobbiamo guardare la situazione, difficile per tutti, del 2009-2010. Se non avessimo avuto la Provincia, ci saremo trovati ancora più in difficoltà; solo con il sostegno al reddito - più di quattro mila domande da dover istruire – qualsiasi altra Provincia con queste pratiche e con l’ufficio di Fermo sarebbe saltata! Siamo riusciti a tener testa in una situazione di emergenza come questa e abbiamo avviato percorsi d’intesa, convocando l’INPS e stipulato un accordo con le parti sociali, datoriali e sindacali. Questo territorio non poteva avere questo tipo di risposte se non avesse avuto la Provincia. E questo vale anche per la viabilità e altri servizi.
Sapete da dove arrivano le entrate principali dell’Ente? A parte i trasferimenti della Stato, arrivano dalle immatricolazioni, dalle assicurazioni, dall’addizionale dell’Enel. Oggi queste entrate sono in flessione visto il minor numero di auto registrate e il fermo delle attività produttive, e, nonostante questo, l’istituzione dell’Ente ha permesso di sostenere l’intero contesto del territorio.
Come mai molti ragazzi delle Marche, come lo è stato lei, sono dovuti andare in Università di Roma o Milano per ottenere il titolo di laurea necessario per poi lavorare nel settore calzaturiero come se noi, primi in assoluto, come produttori di scarpe, non avessimo le Università giuste. Succede per nostra mancanza strutturale ideologica, l’erba del vicino è sempre più verde, o per furbizia degli altri se siamo ridotti a emigrare per lavorare nelle nostre stesse fabbriche?
Un’osservazione a questo territorio va fatta già da lontano. Da studente ho frequentavo l’ITIS Montani negli anni d’oro e mi sono diplomato con il massimo dei voti. All’epoca tutti i periti industriali che uscivano dall’istituto hanno fatto le fortune delle aziende del nord perché qui non avevano un posto di lavoro. È stata una mortificazione per questo territorio e non si è riusciti a spingere su una serie di percorsi che ne potevano valorizzare le situazioni. Me se sono andato a Roma perché nel 1969, quando mi sono iscritto, Ancona ancora non aveva la facoltà d’ingegneria. Solo nel 1970 è stata istituita ingegneria edile e nel 1971 tutte le altre specializzazioni. Perugia aveva solo il biennio quindi potevo scegliere solamente tra Bologna o Roma. A Roma - per quattro anni sono stato alla casa dello studente – l’università era eccezionale! Avevamo come docenti dei luminari, abbiamo avuto Sett come professore di fisica, Gizzetti, Vaccaro, preside poi rettore, Amaldi di fisica che aveva lavorato con Fermi, abbiamo avuto Ruberti, che ha fatto anche il ministro, c’era Ossicini, Silvestroni per la chimica, anche lui un luminare in tutta Italia. C’era un livello di formazione straordinario. Oggi, tuttavia, il livello delle università marchigiane, soprattutto la Politecnica delle Marche ha una grande considerazione.
La scelta di andare fuori regione viene fatta per vivere il giusto ambiente universitario, poiché anche con lauree di prestigio la nostra situazione occupazionale locale non offre molto ai giovani. C’è un tessuto industriale a vario titolo che non riesce a soddisfare le potenzialità dei ragazzi. Chi va via pensa poi di rimanere e fare esperienze in altre realtà oppure all’estero, almeno per alcuni anni. Certamente va riconosciuto che il periodo di tirocinio è veramente eccessivo, e in questa società di ulteriore competizione anche gli studenti brillanti trovano difficoltà a emergere e ad avere prospettive importanti. Vorrei ricordare che la brillantezza delle persone non si misura solamente negli esseri prepotenti e competitivi, nell’essere bravi a vincere un concorso, bravi ad apparire ed a presentarsi, ci sono personalità più modeste, silenziose e più rispettose ugualmente valide ma che in questa società moderna sono ulteriormente mortificate. In passato, essendoci più spazio per tutti, anche questi potevano riuscire.
Questa è una società ingiusta che penalizza tante potenzialità che non riescono a esprimersi e a venir fuori perché non tutti hanno le stesse caratteristiche. Quello che condiziona una persona è il carattere. Ed il carattere dipende dalla natura, quindi dal dna. È un problema serio e preoccupante ed è di vitale importanza che le istituzioni pubbliche intervengano su tutta una serie di attenzioni e di percorsi rispetto a una competizione eccessiva di primo approccio, rispetto a lotte che vanno più a inficiare direttamente in prima battuta sul carattere della persona.
Se certi problemi non si affrontano sistematicamente, si corre il rischio che alcuni spiriti e qualche entusiasmo si perda un po’. Le potenzialità di una persona devono essere misurate periodicamente, altrimenti quelle qualità possono decadere nel tempo. Alcune situazioni vanno approcciate al momento giusto dedicandoci del tempo perché certe idee non vengono in prima battuta.
A me fa un po’ impressione quando mi consegnano un documento da leggere e poi mi dicono “dimmi tutto quello che pensi”. Questo è un affronto alla mente e alla creatività! Si può essere bravi quanto ti pare, ma un conto è leggere un documento e riuscire a dare una valutazione e un conto è che si è partecipato alla redazione dello sesso. L’idea è diversa. Anche le persone capaci, devono comunque vivere le situazioni, devono essere coinvolti perché non si è preparati e non si riesce a ingranare in poco tempo solo per il fatto di aver avuto una buona formazione. La professionalità la costruisce il lavoro, l’essere coinvolti, il partecipare, il vivere le situazioni e non solo un titolo di studio! Quando mi sento dire che i ragazzi non sanno fare niente, mi domando ma che discorso è questo? Ogni giovane ha una formazione e quindi una propria potenzialità, diamogli almeno sei mesi di tempo!
Io ero un tipo abbastanza riservato, timido, silenzioso, benché brillante, di studio e d’impegno e non lo so se in una società come quella odierna sarei potuto sopravvivere …. allora ho avuto un percorso abbastanza interessante …. oggi invece si resta subito indietro. La società si deve far carico di queste problematiche perché “siamo tutti diversamente abili”. Tutti sono capaci e meritevoli nelle diverse abilità e ci deve essere uno spazio e un’opportunità per tutti. Quello che è più adatto a fare l’attore, farà l’attore, quell’altro sarà più portato a fare il manager, oppure la ricerca, o invece le relazioni umane ma, purtroppo, non c’è lo spazio per tutti nelle diverse abilità, per questo la nostra è una società ingiusta.
Una persona che magari non riesce subito a svettare, ma messa a fare delle attività, sicuramente con un’adeguata formazione di base, ci arriva dopo sei mesi. Non si può pensare che una persona sia immediatamente preparata su tutto. In passato c’era più investimento nelle risorse umane. Le grandi aziende come l’IBM, l’Aristion, oppure l’allora Merloni elettrodomestici, oggi attuale Indesit - dove ho avuto il mio primo contratto di lavoro - per sei mesi, ogni fine settimana, spediva i propri dipendenti a Milano. Quando sono andato a lavorare alla Bontempi Farfisa, nei primi anni ottanta, ci sottoponevano a un piano formativo, per cui passavano almeno un mese all’anno alla Celos, una società di consulenza, alla Prisma, alla Orga a Milano. Perché ci mandavano là? Non è tanto per la formazione che si poteva fare anche in azienda, ma perché in queste situazioni si formavano gruppi di venti persone provenienti da differenti realtà aziendali e c’era uno scambio di esperienze. Insieme a queste persone si andava a pranzo e a cena insieme, e si usciva anche la sera.
Oggi il concetto di investire sulla potenzialità è scomparso, si guarda all’immediato piuttosto che nel medio e lungo termine. L’istituzione potrebbe, la Regione, o lo Stato, intervenire con iniziative e contributi per questo tipo di attività. Negli anni d’oro della Bontempi, moltissime persone si sono messe in proprio, creando altre aziende nel manifatturiero, nella meccanica, nell’elettronica, imprese per la progettazione degli stampi, per la plastica e così via.
Quando c’è un insediamento industriale importante e ci sono delle persone potenziali, si devono stimolare le competenze e cogliere le opportunità perché c’è gente che dopo dieci o quindici anni di lavoro alle dipendenze si “rassicura” pur essendo intraprendenti perché non hanno ancora sviluppato il carattere e la sicurezza per cambiare e fare qualcosa in proprio. È in questo modo che il territorio cresce e si sviluppa un’economia diffusa.
Torno a ripetere che non è facile ma le Istituzioni devono aiutare favorendo l’autonomia di un territorio, il percorso di un territorio ed anche alcune menti. La nostra Provincia non ha le risposte per tutto, ma almeno ci proviamo, veicolando questo messaggio.
Bisogna dare segnali di fiducia e anche lo “sporcarsi le mani” deve essere visto in un’ottica positiva. Non è possibile che un ragazzo è interessante agli occhi di una ragazza solo perché svolge un certo tipo di lavoro, mentre quello che lavora in catena di montaggio, o nel ciclo dei rifiuti, o nella manutenzione non è considerato allo stesso modo. Che cosa vogliamo fare? Le attività di un territorio sono queste e non possiamo pensare che debba venire chi sa chi a svolgerle. Le devono fare gli italiani, nella dignità dell’inquadramento normativo, anche retributivo, e anche nella considerazione sociale complessiva. Un problema è anche quello della considerazione sociale attribuita a una serie di lavori, va cambiata la mentalità, la cultura stessa! Tutte le attività devono essere dignitose e utili e importanti in egual modo per un territorio.
Recentemente alcuni ragazzi della nostra Provincia hanno festeggiato la laurea ed altri presto festeggeranno la maturità. Lei come festeggiò questi traguardi scolastici, con la solita bevuta fra amici oppure si sbizzarrì con fantasiose manifestazioni?
Intanto, quando ero studente, c’era ancora la festa della matricola! La laurea l’ho festeggiata quando sono rientrato a casa, sotto il periodo natalizio, con trenta quaranta persone circa. Una grande festa a casa dei miei genitori, cominciata nel pomeriggio e finita la sera. Allora si usava anche organizzare dei balli in casa, sto parlando del 1974, e sono venute persone e altri amici che avevano frequentato la scuola con me a Fermo, coetanei, amici dell’università, che hanno vissuto con me l’esperienza del diploma e della laurea.
Già a quel tempo era impegnato nella politica?
No, no, sono sempre stato di sinistra, ma solo nel 1993 ho cominciato a impegnarmi in politica.
Che tempi erano quelli della sua laurea?
Erano tempi di entusiasmo, vedevi davanti a te grandi prospettive, e alla peggio, con una laurea in ingegneria, l’insegnamento era garantito. Con una laurea di 110 e lode, presa in quattro anni, e assolto il servizio di leva a cavallo di due anni scolastici, che valeva il doppio del punteggio, terminati gli studi, avevo già una cattedra a Fermo con assunzione a tempo indeterminato. Era il 1975. Ma ho insegnato solo qualche mese. Ho rinunciato a fare il professore per andare a lavorare nel privato. Ero un fissato dell’industria, ero un patito della logica e della matematica, della statistica e dei sistemi. Sono un elettronico gestionale, con un piano di studi che dopo un esame di Stato ti rilasciava l’iscrizione all’albo degli ingegneri per esercitare la libera professione. Difatti ancora oggi ho la Partita Iva e ogni tanto faccio qualche piccola consulenza professionale. Piuttosto che l’insegnamento e la libera professione a me piaceva lavorare nell’industria e alla Merloni elettrodomestici ho maturato la mia prima esperienza lavorativa. A quel tempo non c’erano le calcolatrici, le avevano in pochissimi e costavano quanto cinque stipendi. Si andava con il regolo calcolatore, oppure a mano e quindi si era molto allenati mentalmente nella sintesi delle reti elettriche. Si lavorata con i diagrammi di gauss e con i diagrammi di flusso, si elaboravano gli istogrammi e le carte di controllo ed ho imparato, per esempio, che la media delle medie è sempre gaussiana, se si usano certe tecniche.
La mia scelta lavorativa era dettata soprattutto dalla volontà di misurarsi su problemi pratici. Sono l’ultimo di cinque figli maschi. Una famiglia numerosa, la mia. E l’unico figlio che ha studiato sono stato io, non perché gli altri non fossero capaci, ma perché erano nati prima, ed io ero l’ultimo. Da piccolo abitavo in campagna. La campagna t’insegnava a essere in un certo senso imprenditori, ti abituava a fare piccole esperienze, a sporcarti le mani, sviluppando l’attitudine a mettersi in gioco anche nell’operatività. Quando ero in azienda, molto spesso mi mettevo a fare insieme all’operaio o all’impiegato. Mi piaceva dare qualche dimostrazione di fattibilità nelle cose dove potevo misurarmi. Dare delle dimostrazioni pratiche oppure riuscire a coinvolgere il personale e far capire che tutti possono dare un contributo … questo fa la differenza!!!
Voglio raccontare una mia esperienza.
Quando ho cominciato a lavorare con la Bontempi, che produceva, insieme con la Farfisa, anche mobili per pianoforti, a soli 29 anni mi sono trovato responsabile del processo di produzione. Un giorno un operaio sui 55 anni aveva un problema, andai direttamente in reparto a controllare perché non mi facevo portare i problemi in ufficio, e gli chiesi da quanti anni lavorasse la. Ti davano del lei, per rispetto, ma non perché ci fosse una gerarchia, perché comunque era un’azienda con mille dipendenti. Mi rispose da 30 anni. Gli dissi di far conto come se io non ci fossi e di separarmi i mobili buoni da quelli difettosi …. e ripassai dopo un’ora. Sono ripassato, e gli dissi che se andava bene per lui andava bene anche per me …. chiuso il discorso. Bisogna dare fiducia!!! Bisogna valorizzare le persone! Erano operai responsabili, attaccati all’azienda, ci tenevano … una volta un operaio da Porto Potenza, aveva preso con me un impegno, ma gli si era rotta la macchina, e pur di presentarsi a lavoro è venuto con la bicicletta. Ci sono molti episodi di attaccamento, di disponibilità e di responsabilità sia dell’operaio sia dell’impiegato e con il passare degli anni sono diventato sensibile a queste situazioni. Si scoprono tante situazioni e bisogna avere anche una certa umanità, pur nel rispetto dei ruoli. Oggi le aziende sono molto cambiate, e l’opportunità non c’è per tutti … questo non è giusto. Tutti dovrebbero, nelle diverse abilità, poter avere un ruolo nella società.
Nella sua vita privata lei è organizzato come lo esige il suo lavoro, oppure si lascia volentieri andare all’improvvisazione in fatto di scelta di eventi culturali e spettacolari?
Organizzo poco e improvviso molto. Siamo già molto organizzati nel lavoro e nella politica!
Sono sposato da 32 anni e ringrazio la moglie di sopportarmi ancora con tutti i miei impegni e gli orari strani. Ho due figli grandicelli, il primo di 30 anni e l’altra è più piccola ….
Che dire …. faccio una vita un po’ da “frate” … nel senso che non faccio grandi cose nel poco tempo libero che ho! Mi permetto davvero poco perché sono comunque sempre molto impegnato e perché mi sono abituato con gli anni a tarare molto con il lavoro e gli impegni istituzionali, che ho trascurato gli hobby. In effetti mi dovrei concedere qualche vacanza e qualche tempo in più per me dopo tanti anni di lavoro…
Cerco di essere a casa almeno nel fine settimana. Un po’ mi riposo, poi mi dedico al giardinaggio. Qualche volta mi faccio aiutare anche da mio figlio. Sono anche un cicloamatore. Andavo in bicicletta …. ora non vado più tanto spesso … ma sono attrezzato! Mi godo lo spazio libero … dedico qualche ora alla famiglia e alla casa … ma non è facile … nonostante tutte le volontà della famiglia.
Oggi la famiglia per quanto voglia fare - questo riguarda anche i ragazzi più giovani - non incide più di tanto su tutta una serie di abitudini. Le abitudini le fanno il mondo esterno, sono dettate dalla vita lavorativa con tutte le ricadute positive e negative …
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Renato Vallesi
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