Ovvero, la triste realtà del neorealismo mostrografico.
di Laura Gioventù
Ora immaginate una mostra fotografica con diverse foto in bianco e nero.
Tutte della stessa dimensione.
Tutte montate su cornice nera quadrata con passe-partout avorio.
Che cosa vi dicono queste informazioni?
Esattamente nulla, vero?
Bene.
E se vi dicessi ...Dipinto ad olio su tavola di pioppo.
Dimensioni 77 × 53 cm.
Ancora niente, vero?
Bene, molto bene, anzi malissimo!
A Montegranaro (FM) c’è una mostra fotografica.
Si intitola “Luigi Crocenzi: Borgate Romane” ed è composta da una serie di stampe che documentano la vita delle periferie Romane nel 1947, anno in cui l’autore frequentava gli studi di cinematografia nella capitale.
E sabato pomeriggio è stato il giorno dell’inaugurazione.
Arrivo, come al solito, un’ora dopo i saluti delle autorità e la galleria è ancora piena di gente.
Vedo le foto appese alla parete e comincio ad osservarle una ad una facendo tutto il giro della stanza.
Sono tutte foto in bianco e nero e riproducono istanti di vita vissuta, strade di terra battuta, piccole case, vecchi tram sullo sfondo di grandi palazzi, panni stesi ad asciugare, volti di gente comune, donne, vecchi, e bambini che giocano. Testimoniano la povertà, testimoniano i segni dalle difficoltà della vita dell’epoca. Immagini tristi ma vere di un tempo non troppo lontano ma spesso dimenticato.
Molto interessante!
Ma quali sono le Borgate Romane fotografate?
Non lo so.
Le foto non mi dicono nient’altro.
Credevo di trovare delle didascalie, come si fa in ogni mostra che rispetti e che rispetti il pubblico, ma sotto quelle fotografie non c’è scritto nulla.
Non c’è l’autore.
Non c’è il luogo né la data dello scatto.
Non è dato sapere il tipo di pellicola.
Non è dato sapere il tipo di stampa.
E nemmeno la dimensione della foto è importante.
Da visitatrice deduco siano tutti scatti dello stesso autore. Va bene.
Ma di quali Borgate Romane sto vedendo le immagini?
Il titolo della mostra non specifica nulla.
Borgate Romane potrebbe indicare un solo quartiere ma anche luoghi diversi.
Gli aspetti del degrado urbano, sempre esistito e mai definitivamente scomparso, sono uguali in ogni città di ogni angolo della terra. E tutte le istantanee in mostra non presentano alcun particolare che permetta di identificare in maniera inequivocabile la città impressa nella fotografia.
Potrebbe essere Roma, ma potrebbe essere qualsiasi altra periferia di qualsiasi altra città italiana del dopoguerra. Le foto potrebbero essere state scattate ovunque.
Come faccio a capire se non c’è scritto niente?
Forse gli organizzatori vogliono far giocare ad indovinello i loro visitatori.
Un indovinello rivolto però solo ai cittadini romani. Ma anche se fossi stata Romana piuttosto che Fermana per me sarebbe stato comunque impossibile riconoscere i luoghi di quelle immagini. Solo chi nel 1947 era un ragazzo e viveva a Roma potrebbe individuare quelle zone e confrontarle con quello che sono diventate oggi. Ed io, come molti visitatori, non solo non sono Romana ma non ero nata nel 1947!
Hanno dato per scontato che i visitatori non fossero marchigiani, oppure la mostra è stata allestita pensando solo ai turisti romani che arrivano nella nostra provincia a fare shopping?
È evidente che i responsabili dell’evento hanno ritenuto superfluo e persino una perdita di tempo comunicare queste informazioni.
Ma allora mi chiedo, come mai sotto la Primavera di Botticelli c’è scritto il nome, l’autore, l’anno, le dimensioni, il tipo di legno e la tempera utilizzata se quel quadro è talmente famoso che lo conosce il mondo intero?
Il giorno dopo, domenica, a Fermo, c’è una seconda mostra dello stesso autore, ma non solo. È una collettiva sul neorealismo della fotografia italiana e comprende immagini che vanno dal 1945 al 1965.
Ed è sempre il giorno dell’inaugurazione.
Tra le immagini ne riconosco alcune uguali a quelle presenti alla mostra del giorno prima. Chissà, magari saranno state inserite per far numero, ma in questa le didascalie alle foto almeno le hanno messe.
Le fotografie mi piacciono molto, così, viste entrambe le mostre decido di acquistare il catalogo fotografico.
Ma non posso farlo. Il catalogo è terminato e se voglio averlo devo tornare alcuni giorni dopo … forse.
Ma come, la sera dell’inaugurazione hanno terminato tutti i cataloghi?
È incredibile!
E se non avessi più modo di ripassare?
Ma quanti ne avevano portati? Una decina mi dice qualcuno. Ma il giorno di apertura è sempre quello di massima affluenza perciò come minimo ne avrebbero dovuti avere trecento di cataloghi. Come minimo.
Non li avevano pronti oppure avranno preso tutti quelli avanzati dall’altra esposizione? Che fanno, tra una mostra e l’altra, se li scambiano a vicenda in base alle richieste? Oppure sanno già che non venderanno altri libri all’infuori delle giornate inaugurali per cui trecento pezzi non li hanno prodotti per paura di non venderli?
Anche questa esposizione, come l’altra, resta un mese e in un mese non credono di vendere almeno trecento cataloghi?
Ma l’addetto comunale non sa darmi una spiegazione.
Allora, prima di andarmene, chiedo di poter lasciare un commento nel libro delle presenze.
Ma non posso perché non c’è nessun quaderno.
Il quaderno manca perché hanno finito tutte le pagine e non c’è più spazio disponibile nemmeno per un autografo, oppure perché lo hanno perso?
Caspita, ma dalle 17, ora dei saluti istituzionali, alle 19 quanta gente è andata?
Se hanno terminato i cataloghi ed hanno riempito tutto il quaderno di autografi devo proprio essermi persa un evento memorabile. Eppure è molto strano, quando sono andata io ho trovato solo tre persone ed erano da poco passate le 19.
Il messo comunale ammette candidamente che il libro non c’è mai stato e che anche altre persone hanno fatto la mia stessa osservazione.
Saranno i soliti rompiscatole, ma la gente perché non se ne sta a casa la domenica?
Ma se l’ingresso è libero come fa l’amministrazione comunale oppure gli stessi organizzatori a fare una stima del numero dei visitatori se non hanno manco un libro presenze?
Forse, oltre che sui cataloghi, vogliono risparmiare anche sul libro ed hanno deciso di far contare il numero delle persone che entrano all’addetto alla reception e poi a fine giornata tireranno le somme.
Certo, così è anche più facile mentire sui numeri, altrimenti come fanno a dire che ci sono stati tre mila visitatori?
Eppure l’evento è stato finanziato anche dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo. Questi enti che elargiscono soldi non sono interessati ai numeri oppure danno il contributo agli eventi che giudicano interessanti anche se poi hanno un successo incerto?
Con quale criterio si patrocinano e si sponsorizzano queste manifestazioni?
Per una mostra si spendono anche i soldi dei cittadini quindi si dovrebbe render conto delle spese sostenute e dei riscontri avuti anche in termini di visite.
La mancanza di un costo del biglietto non vuol dire automaticamente che l’evento sia gratuito. Alla fine paghiamo sempre noi cittadini attraverso i fondi degli assessorati.
Ma chi organizza la mostra che lavoro fa?
Che senso ha spendere soldi pubblici se poi le mostre sono così male organizzate?
Se la mostra non ha affluenza significa che qualcosa non funziona. Non piace, non interessa oppure non è stata promossa adeguatamente. E se non funziona non sarebbe meglio direzionare le risorse su altri tipi di interventi culturali? Perché altrimenti queste iniziative hanno la puzza della solita propaganda politica per compiacersi ed autocelebrasi con la solita cerchia di elettori.
Pensate siano solo dettagli? Pensate che queste cose siano solo sottigliezze?
Non credo.
No. Sono dei segnali importanti.
Dimostrano che le amministrazioni, le associazioni locali e gli stessi organizzatori sottovalutano erroneamente la capacità critica dei loro visitatori.
Dimostrano che in qualità di fruitori di cultura non contiamo nulla per loro, ma solo come contribuenti.
Dimostrano che non serve saper organizzare bene mostre fotografiche e questo mi dispiace profondamente.
Ma se non sono in grado allora credo sia il caso di farle organizzare a chi è più competente. Perché la promozione turistica di questo territorio passa anche per queste manifestazioni culturali e non solo per gli outlet calzaturieri, le verdi colline o il ciabuscolo.
Ah già, è vero, scusatemi, me ne stavo dimenticando, volete sapere a chi appartengono le misure del dipinto ad olio su tavola di pioppo, vero? Ebbene sono della Gioconda di Leonardo Da Vinci!
Ma siete proprio sicuri che le misure della Gioconda siano effettivamente 77 x 53 cm? Forse sono giuste, ma andatelo a controllare di persona, tanto Parigi è dietro l’angolo.
Buona mostra a tutti!
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