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domenica 16 gennaio 2011

“Attenti a quei due”

“Attenti a quei due”,
ovvero, cosa succede quando due artisti famosi affrontano delle domande fuori di testa messe in due Panama di Montappone.
 

Di Laura Gioventù




Venerdì 14 gennaio 2011

Abbiamo incontrato Neri Marcorè e Luca Barbarossa nei camerini del Palasport di Porto Sant’Elpidio (FM), a pochi minuti dalla loro esibizione per lo spettacolo che i due artisti hanno deciso di dedicare alla solidarietà, devolvendo i proventi del ricavato, a favore della Fondazione Paladini per il finanziamento di progetti a sostegno delle persone affette da patologie neuromuscolari….ed ora vi racconto cosa è accaduto.
Avevo portato con me alcune domande, due cappelli Panama di Sorbatti (Montappone) e l’idea di mischiare le domande per poi distribuirle equamente nei due cappelli, di modo che ognuno dei due “ragazzi” avesse le sue domande nel suo cappello ma  rigorosamente messe a casaccio, un gioco, e loro si sono prestati al gioco ben volentieri.

L. Gioventù: - Facciamo un gioco. Ragazzi, mi raccomando, siccome è una cosa seria, non mi fate troppo ridere … -

N. Marcorè: - Che cosa devo fare?-

L. Gioventù: - Lo vede il cappello? Le vede le domande dentro al cappello? Bene, ne prenda una, la legga e dia la risposta. Crede di poterci riuscire?-

L. Barbarossa: - (sbirciando come un monello all’interno del cappello qualche domanda) … ma sono tutte così provocatorie? -

L. Gioventù: - Dai, per favore, non cominciate a leggere prima. Ho detto che è un gioco, siate seri! (a me viene già da ridere). Marcorè, inizia tu! -

N. Marcorè (leggendo la sua domanda): -“Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai”. (Ligabue). Non mi azzarderei mai di darle del coglione ma..lei le ricorda quelle notti, quei locali o solo piazze, in cui era allegro, ingordo con il vizio di non smettere mai, oppure è sempre stato una persona, come si dice spesso, con la testa sulle spalle? Era uno di quei  ribelli che dopo troppe battaglie hanno messo la testa a posto? -

(R) - No, Io non sono mai stato troppo…purtroppo! Avrei sempre sognato una vita spericolata con “whiskey droga e rock’n roll” … ma no, in realtà non è che l’ho sognata veramente … sono sempre stato un tipo tranquillo, un po’ per indole, un po’ perché non mi attirava quel tipo di vita, un po’ anche perché nella provincia, come la nostra, non è che ci sia chissà che cosa…ma vuoi rispondere  pure tu (guardando Luca)? Oppure ognuno c’ha la sua di domanda? Comunque ero un ragazzo con la testa sulle spalle … un bravo ragazzo … -

L. Barbarossa: - No, no, io c’ho le mie! Infatti ora leggo la mia …“E' sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, per esempio, aveva degli amici irreprensibili.”(Marcello Marchesi). Se la dovessimo giudicare dalla persona con la quale si sta esibendo, secondo lei cosa dovremmo pensare?-

(R) - Beh, pensare bene, perché Neri è notoriamente una persona “da bene”, che tutti amano. Credo sia l’attore più amato dagli italiani e tra poco anche dai francesi perché è in uscita un film in Francia con Neri e Stefano Accorsi e presto sarà amato anche oltralpe. È una persona di enorme talento e mi onoro, anzi, mi pregio della sua amicizia!

N. Marcorè: - Dai, non farmi troppa promozione … mi fai arrossire! Adesso leggo la mia … “Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta”?-

(R) - (assumendo la posa dell’avvocato difensore) Questo lo dicono, esatto, quelli invidiosi delle Marche, perché nelle Marche, signori e signore, si vive bene e si conduce un’esistenza come dovrebbe DA essere (DA essere, DA essere!) ...tutto a misura d’uomo, e anche di donna, con una cucina meravigliosa. C’abbiamo, nella provincia di Macerata, ultracentenari come solo in Sardegna. Quindi, lor signori mi capiscano, un marchigiano alla porta è meglio di un morto in casa!-

L. Gioventù: - Bene, dopo l’arringa difensiva, adesso ci dica veramente un difetto dei marchigiani e quanto c’è di marchigiano in Luca?-

N. Marcorè: - I difetti dei marchigiani … no, no, no … questo lo devi chiedere a lui. E poi, quanto di marchigiano c’è in Luca?… in Luca c’è molto di marchigiano … -

L. Barbarossa: - dici? -

N. Marcorè: - … sì, perché è uno che dice pane al pane vino al vino... mi dispiace non dire un difetto dei marchigiani, ma questo è un altro pregio. Luca è una persona franca e schietta, è uno che apprezza le cose naturali così come stanno, quelle artefatte non le apprezza molto quindi…un bicchiere di vino con un panino … la felicità! (mentre canta la canzone di Al Bano) … una partita a tennis, un calcio anche al pallone, la famiglia, i figli, gli affetti … Luca è molto, molto marchigiano. Ha anche lui la testa sulle spalle marchigiane e poi, poi si esprime in dialetto marchigiano come nessun altro romano sa fare!-

E prima che Barbarossa legga la domanda successiva, è Neri che lo incalza.

N. Marcorè: - Dai romano, dimmene almeno uno … l’avremo un difetto almeno … oppure abbiamo tutti solo pregi? -

L. Barbarossa: - No. I marchigiani non hanno difetti. I marchigiani sanno vivere … beh, forse proprio vivere non direi, ma l’unica cosa che posso dire è che Neri, e non i marchigiani, è un po’ invidioso del fatto che io vivo a Roma, che sono nato a Roma, che sono stato ispirato dalla città perché lui non è che può scrivere canzoni sulle olive ascolane … è evidente che Roma ispira. -

N. Marcorè: - … forse un difetto è la lentezza …. la lentezza dei marchigiani.-

L. Barbarossa: - Aspetta, aspetta … Neri, mi è capitata una domanda cattivissima …”Non è mai troppo tardi per diventare un bravo artista....lei quando inizierà ad esserlo?...ha già iniziato?...e come mai non ce lo ha mai detto allora?”-

N. Marcorè: - Ma queste domande erano invertite o sono capitate così a caso? Posso pescare anche nel cappello di Luca? … è divertente sta cosa! –

L. Barbarossa: - No. Nel mio cappello non ci peschi! La risposta è … ma lei come si permette??? Noi le apriamo le porte del nostro camerino, e anche le nostre braccia, che solo alcune donne fortunatissime hanno avuto questo onore e lei, lei che fa, ci tratta così a pesci in faccia …?-

N. Marcorè (gli fa eco): - … a pesci in faccia … che pesci sono? Dell’Adriatico? Cara signorina, ma almeno sono i pesci della nostra riviera adriatica?-

L. Barbarossa: - … questa domanda, cara signorina, sarebbe potuta capitare al mio socio, che notoriamente è violento …-

N. Marcorè: -…e sensibile!-

L. Barbarossa: - … lei deve ringraziare che sia capitata a me, perché altrimenti avrebbe fatto una brutta fine … magari quello se la baciava pure.-

L. Gioventù: - (fra me e me….Ho il timore che questi due si stiano prendendo gioco di me.)

N. Marcorè: - Adesso tocca a me (e legge la domanda successiva) …“ Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore, non è mica da questi particolari che si giudica un calciatore..” (Francesco De Gregori). Nel caso….chi di voi due calcerebbe il rigore della vita?-

(R) - Toga! Che bella questa domanda! –

L. Barbarossa (intromettendosi): - Lui … lui … è lui, è lui, io segno sempre in corsa, non posso mica segnare da fermo…e poi siamo a Posto Sant’Elpidio mica a Fermo! –

N. Marcorè: - Allora … io sono uno che...punto. Boh, non lo so. Se c’è da prendersi una responsabilità me la prendo, quindi se c’è un rigore da calciare e se tutti indietreggiassero … lo tiro io … poi magari lo sbaglio … però lo tiro. Ma posso dire la stessa cosa anche del mio socio che c’ha gli attributi per dire “non mi si piegano le ginocchia quando devo affrontare una sfida” e forse litigheremo e ci picchieremo per battere entrambi il calcio di rigore. -

L. Barbarossa: - (leggendo una delle cinque domande che si era già letto mentre l’amico rispondeva) … “Con l’avvento del cinema e della fotografia si sta perdendo il senso della morte, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione e alla fine nessuno muore più veramente. Il gesto di Mario Monicelli è secondo voi un nuovo modo di “vivere” ancora o e una scorciatoia per l’eternità?”-

(R) - Il gesto di Mario Monicelli mi ha molto colpito e commosso pur nella sua drammaticità - perché comunque un uomo che si lancia da una finestra è un gesto drammatico - mi è sembrato il congedo più logico per un laico quale lui era. Uno che ha sempre vissuto come aveva desiderato vivere e che ha scelto, non di togliersi la vita e di morire di morte violenta, ma di non morire tutti i giorni perché la malattia a questo lo avrebbe portato, ad una lenta ed inesorabile agonia. Ad una degenerazione che lui non avrebbe meritato né sopportato come nessuno dovrebbe sopportare. Quindi credo che  il suo gesto, paradossalmente, anche alla fine dei suoi giorni, sia stato un gesto verso la vita.-

N. Marcorè: - (molto serio) … posso aggiungere che, dal momento che abbiamo fatto la domanda sul rigore della vita, Monicelli ha tirato il rigore della sua vita. Ha deciso che la vita era la propria ed avendola sempre vissuta ad accelerazione piena, non si avvedeva a viverla in altro modo e ha deciso che la media non andava abbassata ed ha preferito fare così.-

Barbarossa conta i foglietti nel suo cappello e vede che gliene manca uno.

N. Marcorè (guardandolo) : -  ... ho letto le tue domande e te ne ho fregata una … ma adesso tocca a me leggere …“Se A è uguale al successo, allora la formula è: A uguale a X + Y + Z, dove X è il lavoro, Y il gioco, Z il tenere la bocca chiusa”. (Albert Einstein). Eppure un cantante e un attore proprio della parola e della bocca hanno bisogno … Quale fattore cambia nella formula del successo di Marcorè?-

(R) - Ma di che ti droghi? Di ciabuscolo? … La domanda è difficile però è semplice la risposta … è l’ironia. Nella formula cambia l’ironia. L’ironia nella vita è fondamentale … -

L. Barbarossa: - Adesso tocca ancora a me, senti questa Neri … “Attenti a quei due” è una minaccia oppure una promessa? Il vostro spettacolo è un’istigazione a delinquere, ad uscire di casa o che cosa?”-

(R) - La vera istigazione a delinquere, secondo me, è restare a guardare la televisione a casa. Credo che uscire per andare a vedere uno spettacolo sia sempre un gesto di grande curiosità e di apertura verso gli altri. “Attenti a quei due” è una delle tante occasioni per uscire di casa e visto che ognuno di noi ha tanti cavoli per la testa trovo che la leggerezza di questo spettacolo sia ideale. Questo non è solo uno spettacolo comico, a tratti porta anche alla riflessione, ha dei momenti musicali ed è fatto anche di emozioni. La somma di tutti questi fattori porta in definitiva ad uno spettacolo leggero ed io, molto sinceramene, quando esco di casa, dopo giornate pesanti e molto intense, fatte di tanti impegni, gradisco molto chi mi regala due ore di leggerezza. Sono molto più grato, per esempio, a Checco Zalone rispetto a quelli che mi fanno dei film che torno a casa che sto peggio di quando sono uscito … -

N. Marcorè: - … allora … “Barbarossa … Ariete 1961 e Marcorè … Leone 1966. Come riescono a convivere sul palco due “fuochi” come voi?"-

L. Barbarossa (ironicamente): -… due cuochi? Ci ha dato dei cuochi? -

N. Marcorè: - … Sì, si, dei cuochi … Luca, tra l’altro, è un ottimo cuoco!-

L. Gioventù: - “Convivere con un Leone significa sempre dargli ragione?”-

N. Marcorè: -  Ma no, ma non è vero … -

L. Gioventù: - “Come fa a resistere un bambino viziato come l’Ariete?-

L. Barbarossa: - … sì infatti … siamo un po’ viziati …-

L. Gioventù: - “Il passatempo di un leone è impartire ordini. Vuole essere sempre al centro dell’attenzione, è prepotente, è egocentrico e dà ordini a chiunque gli stia intorno?”-

N. Marcorè: - Noi siamo due segni di “fuoco” però capaci anche di lasciare spazio. Tra noi ovviamente abbiamo delle metodologie diverse per arrivare ognuno al proprio obiettivo, però in effetti siamo entrambi abbastanza “capoccioni”. L’uno con l’altro -e questo è forse il segreto del fatto che “stiamo insieme” da parecchio tempo- non ci pestiamo i piedi perché poi nei segni di fuoco c’è sempre uno che vuole imporre la propria volontà. In questo senso siamo molto umili…forse avremo degli ascendenti che ci favoriscono…io sono Leone ascendente Bilancia…lui forse una cosa simile…-

L. Barbarossa: - … io, sono Ariete ascendente Leone …. ammesso che mia madre ricordi a che ora sono nato … -

L. Barbrossa (legge la domanda successiva): - …”Nel caso i suoi figli le confessassero di voler intraprendere una carriera artistica simile alla sua,  spenderebbe il suo tempo per dare loro le informazioni giuste per sfondare o spiegherebbe fino alla nausea che ci sono professioni meno dispendiose e più remunerate di quella che fa attualmente lei?”-

(R) - Nessuna delle due cose. Secondo me è sempre bene quando un figlio vuole intraprendere una carriera artistica, perché anche questo è un segno di grande sensibilità ed apertura ma, sostanzialmente i figli devono essere felici. Un genitore lotta per la felicità dei propri figli e non deve intromettersi più di tanto ma deve però passare ai propri figli l’informazione che qualsiasi strada sceglieranno, questa deve essere una strada portata avanti con serietà e sacrificio. Visto da fuori si può pensare che il mondo dello spettacolo sia una passeggiata di salute invece, come tutte le professioni, anche in questa bisogna essere pronti a studiare, a sacrificarsi, a mangiare pane e polvere per parecchio tempo e poi forse ad avere dei risultati. Quindi bisogna insegnare ai figli che questa non è una scorciatoia e che le scorciatoie nella vita non si devono mai prendere.-

N. Mercorè: -… c’è gente di spettacolo tristissima e depressa e ci sono metalmeccanici felici ed entusiasti! -

L. Gioventù: - Altro giro, altra corsa … tocca a Neri! -

N. Marcorè: - “Un attore fa di tutto per diventare celebre e poi, quando ci riesce, si mette un paio di occhiali scuri per non farsi riconoscere”.(Marcello Mastroianni). Lei cosa indosserebbe per passare inosservato? -

(R) - Io sono stato riconosciuto nonostante fossi bardato da sciatore, quindi con la cuffia, gli occhiali, il giubbotto. Sembrava la scena del film “Fantozzi è lei?”. Mi hanno riconosciuto in fila allo skilift quindici anni fa dicendomi “ah … lei è Marcorè, ma con questa “canappia” si riconosce…!” Insomma, il naso non mi permette di camuffarmi. Dovrei indossare un naso diverso ma le dimensioni non sarebbero credibili quindi comunque non passerei inosservato … -

L. Barbarossa: - Ora tocca a me, che bella questa canzone …“bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà: tu giri adesso con le tette al vento, io ci giravo già vent' anni fa!”(Eskimo - Francesco Guccini). A suo parere, potendo fare un azzardato paragone fra i giovani della sua generazione e i giovani di quella attuale, in cosa i giovani di oggi continuano a non essere propositivi, per una scelta sbagliata del tempo da vivere o per contrarietà?-

(R)
- Le contrarietà credo ci siano sempre state. La favola dei figli che oggi hanno una strada più difficile di quella dei loro padri o viceversa a me non ha mai convinto pienamente. Credo che nell’accezione proprio del termine “giovane” ci debba essere proprio la capacità di saper rischiare, di azzardare, di prendere e andare. Spesso sento dire “ma i giovani non escono da casa perché le case costano troppo… e perché questo...e perchè quello…”  ma noi quando siamo usciti da casa non cercavamo casa, cercavamo tutto, tranne la casa! Anche oggi consiglierei ai giovani di andare, di inseguire i loro sogni, di tentare e di mettersi in gioco, perché se non fanno questo da giovani non lo faranno mai più.-

N. Marcorè: - Ora la leggo io questa domanda (e provandosi il cappello allo specchio) … è dei nostri, vero? … “Se vi offrissero due ruoli in un film, chi vorreste essere: Bud Spencer e Terence Hill; Stansky e Hutch oppure Jack Lemmon e Walter Matthau nel film ...La strana coppia???”-

(R) - Nessuna delle tre coppie. Questo spettacolo si chiama “Attenti a quei due” quindi vorremmo essere Tony Curtis e Roger Moore …-

L. Barbarossa:  -…Franco e Ciccio…!  (ride)

N. Marcorè (ridendo): - …cicciuzzo!… io sono più “british” per cui interpreto Roger Moore, lui invece fa Tony Curtis, l’americano. Però queste sono tre coppie meravigliose. A me personalmente piacciono tutte. Bud Spencer e Terence Hill, per esempio, però … siccome Luca dovrebbe fare Terence Hill ed io Bud Spencer….no, allora preferisco fare Stansky e Hutch. Io faccio Hutch e lui Stansky, che era quello più veloce. Va bene Luca?-

L. Barbarossa: - Io preferisco Stanlio e Olio! -

N. Marcorè: - …la prossima domanda è una canzone di Barbarossa… Luca leggila un po’ tu! -

L. Barbarossa: - …“Quando diventerò grande,
sarò famoso e sarò pieno di grana,
tornerò qui nel mio quartiere,
con una macchina americana,
e comprerò fiori per tutti quanti,
scenderemo in strada come a carnevale…”(Quartiere)
Ascanio Celestini dice che in fondo un quartiere è come un paese di provincia, ma un paese di provincia non sarà mai un quartiere…come mai?
-

(R) - Mammamia….ho i crampi al cervello con questa domanda…e questa perché l’hai data a me?-

N. Marcorè: - …perché è difficile no, mica sono fesso, te l’ho data apposta…-

L. Barbarossa: - Porto Sant’Elpidio oppure Porto San Giorgio non saranno mai un quartiere. Questo lo confermo, ma è ovvio anche che un quartiere, pure se vissuto come un paese, appartiene ad un insieme molto più grande e più complesso. Dal quartiere ci si può anche perdere e disperdere nei tanti vicoli e vie della città. Poi, tra me e Neri, c’è un’antica disputa sui vantaggi di essere romani o di essere di Porto Sant’Elpidio. Ognuno di noi tira l’acqua al proprio mulino: io sono, tutto sommato, contento di essere nato e vissuto a Roma perché è una città che aveva il fascino del paese e nel contempo aveva l’attrazione di una grande metropoli … di un grande crocevia di storia, di racconti e di persone. -

N. Marcorè: - Io sono contento di aver vissuto l’infanzia in un paese come Porto Sant’Elpidio dove tutto è a dimensione riconoscibile. Dopo di che, quando si cresce, quando ci si ingrandisce (ride) e si ha bisogno di avere stimoli diversi... poi … insomma, sono felice di aver passato l’infanzia e l’adolescenza in provincia, e sono felice anche che la vita poi mi abbia dato l’opportunità di passare in una grande città con stimoli diversi. Ciò non toglie che Sant’Elpidio ha sempre qualche cosa in più rispetto a Roma….ecco…c’ha più lettere per esempio….P o r t o S a n t’ E l p i d i o…(ride) -

N. Marcorè: - Vabbè, dopo questa superiorità di Sant’Elpidio passiamo alla prossima domanda …“Quando certi uomini di teatro sollecitano la partecipazione viva del pubblico ai loro spettacoli dovrebbero meditare sui pericoli cui vanno incontro.” (Ennio Flaiano) …Grande saggezza, ma la domanda qual è? Ah … eccola! …”A Sant'Elpidio a Mare il mare non c'è, a Porto Sant'Elpidio il porto non c'è, al Teatro delle Api sperate di trovare il miele oppure avete paura delle punture degli spettatori?”-

(R) - Domanda curiosa, se permetti, ma anche un po’ birichina. Al Teatro delle Api non abbiamo mai paura degli spettatori ed è un teatro che da quando ha aperto i battenti sta andando benissimo. È diventato un polo culturale importante per questa zona, non soltanto di questa città, se così può essere definita. Insomma, il miele in qualche modo lo abbiamo già trovato e gli spettatori direi che pure si dichiarano sempre molto contenti e lo si vede dalle partecipazioni con cui affluiscono al teatro. Anche la tua bella faccina viene spesso a teatro, vero? Brava, fai bene! -

L. Barbarossa: - Senti questa invece, qui c’è il nostro amico Giorgio…”Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me.” (Giorgio Gaber). Sinceramente, lei teme più Berlusconi o se stesso?-

(R) - Secondo me questo paese è diviso tra persone che amano troppo Berlusconi e persone che lo odiano troppo. Io vorrei semplicemente prescindere da Berlusconi.

N. Marcorè: - Berlusconi eh … ignorarlo!-

N. Marcorè:  - Luca senti questa, adesso qui ci si stringe il cuore …”Non è Francesca” (Lucio Battisti) E allora chi era la ragazzina per la quale avevate perso la testa?-

(R) - Ho avuto amori folli a partire dell’infanzia in poi, bambine e poi ragazze per le quali avrei dato braccia, arti e tutto poi, dopo qualche mese o anno, è tutto passato quindi nell’ordine…Maria…Sonia…Catia….ecct…ecct.-

L. Barbarossa: -… anche io ho avuto un amore folle ... perché mi ero dimenticato di mettere la marcia … siamo andati a sbattere sull’albero di cedro …-

N. Marcorè: - Quante ce ne stanno di domande ancora?-

L. Barbarossa:  - Dai Neri, sbrighiamoci, dobbiamo andare! Questa è l’ultima… è l’ultima per tutti … dobbiamo proprio andare … si è fatto tardi. Io sono il cattivo dei due, non so se l’ha capito… (manca veramente poco all’inizio dello spettacolo ) …”È tutto un rivisitare, tutto una cover con novità rare ma con molte rielaborazioni, l’utilizzo ed il recupero del passato nell’arte, nella musica, nel cinema sta diventando una necessità, una moda o paura per il futuro?”-

(R) - È un momento di grande crisi creativa internazionale, non solo Italiana. Non arrivano grandi idee. Questo è secondo me frutto di una società del benessere che crea poche “necessità interiori”. Se la gente sta bene, “non soffre” … non è ispirata … sono tutti molto soddisfatti materialmente. Siamo tutti dei grandi compratori di cose ...-

L. Gioventù: - …Compri cose di cui non hai bisogno…-

L. Barbarossa:  - Esatto, ci convincono che senza queste cose non si possa vivere. Non è così. La ricerca di queste cose e la lettura del manuale per utilizzarle -perché in genere si tratta di tecnologia- prende quasi tutta la nostra giornata e poi, l’impiego stesso di queste cose, ci porta via altro tempo ... vedi computer, televisioni, videogiochi e tutto il resto. È ovvio che questo sistema non produca grande ricerca interiore e quindi grandi idee per l’arte. Credo quindi che, tutto sommato, non sia da disprezzare la rivisitazione dei classici perché, come dice la domanda, almeno è una certezza di qualità e di contenuto della proposta.-

N. Marcorè: - Ultima domanda, questa è seria … possiamo rispondere anche insieme ...-

Luca Barbarossa inizia a prepararsi per lo spettacolo provando il suo Panama.

L. Gioventù: - Vi faccio io la domanda…”Ritornate sul palco per una serata di beneficienza a favore della fondazione marchigiana Paladini. Il ricavato della serata sarà utilizzato per finanziare progetti a favore di persone affette da patologie neuromuscolari. La solidarietà è spesso confusa con la beneficenza, o peggio con l'elemosina, come riconoscerne la differenza e come spiegare a chi pratica il disinteresse che di solidarietà non ce ne sta mai abbastanza???”-

N. Marcorè: - La differenza tra elemosina “brutta” e solidarietà è che l’elemosina si fa per liberasi da uno scocciatore o per sistemarsi la coscienza, la solidarietà invece è un percorso interiore molto più profondo che parte dal prendere coscienza del fatto che c’è chi nella vita ha avuto più opportunità e chi ne ha avute meno. Non sempre questo dipende dalla propria volontà, ma anche da un fatto casuale. Chi è fortunato dovrebbe pensare che se si fosse dall’altra parte sarebbe bello non essere dimenticato. La solidarietà fa si che chi può non smetta di guardare agli altri con l’obiettivo di livellare, nel suo piccolo, le piccole e grandi disuguaglianze che vivere in questa società moderna e liberista composta. Se i governi, ma anche questo governo, avessero fatto delle politiche sociali che tendessero a livellare queste sperequazioni non ci sentiremo giorno dopo giorno chiamati come cittadini a fare il numero verde per donare tramite sms due euro. C’è sempre molto bisogno di solidarietà perché evidentemente qualcosa non funziona anche a livello di politiche sociali e governative. Ci sono due aspetti. Uno, quello personale e privato che è quello di guardare sempre agli altri e dall’altro, sopperire a qualche mancanza istituzionale.-

L. Barbarossa: - Concordo…concordo…però ora dobbiamo proprio scappare …domande molto carine….-

N. Marcorè: - …davvero … alcune molto belle.-
 
A questo punto bussano alla porta ed entra un tecnico per avvisare che è a breve ci sarà l’inizio dello spettacolo: - Ma che state facendo ancora qui, ci sono 1300 persone che vi stanno aspettando là fuori!!!-

L. Gioventù: - …accidenti, avrei voluto avere più tempo! Grazie ragazzi, siete stati molto gentili, anche se un po’ “cattivelli” nel giocare con me … ma  in pratica, tra voi due, chi è il buono e chi è il cattivo….oppure vi scambiate i ruoli?-

N. Marcorè: - Luca è il cattivo. Però il cattivo vero sono io, ma faccio passare per cattivo lui. Cattivi siamo tutti e due. Però Luca interpreta meglio la parte del cattivo, è lui che caccia le giornaliste dai camerini, è lui che dice “adesso andiamo” quando i fans stanno in fila. Io dico che purtroppo è lui che mi richiama, faccio finta … e invece … alla fine … -

L. Gioventù: - Per cui alla fine Neri Marcorè è quello più disponibile…-

N. Marcorè: -… questo è quello che appare! -

L. Barbarossa: - Voglio rispondere all’ultima domanda come i condannati a morte…-

L. Gioventù: - Va bene, l’ultima domanda … “Queste sono le “Marche Sporche”…-

L. Barbarossa: - … Ma queste quali, scusa ? –

N. Marcorè: - Questa zona qua, da Macerata ad Ascoli Piceno, sono le Marche Sporche. -

L. Barbarossa: - Ah, ora ho capito, è la zona che si chiama così… -

L. Gioventù: - Bene … “queste sono le Marche Sporche … avete paura di sporcarvi oppure vi siete lavati le mani?”-

L. Barbarossa: - Ma questa domanda neanche Marzullo la farebbe…è una domanda terribile. Mi rifiuto di rispondere…ahahahaah -

Nel frattempo Luca Barbarossa continua a guardarsi allo specchio con il Panama in testa. Caspita quant’è vanitoso! E mentre mi stanno spingendo fuori dalla porta mi giro per l’ultima domanda …”E visto che siamo nel distretto calzaturiero più importante del mondo, ditemi a chi vorreste fare le scarpe e a chi dareste una sòla…???

E finalmente i due ragazzi irresistibili restano a bocca aperta.

N. Marcorè: - … a chi vorrei fare le scarpe boh…che ne so…. a Ibrahimović. Vorrei avere i piedi di Ibra… -

L. Gioventù: - …e dare una sòla…?-

L. Barbarossa: - Al nostro impresario e … alle giornaliste ficcanaso che non se ne vogliono mai andare! - (ride)

L. Gioventù: - … grazie ragazzi, siete stati molto carini…ah…dimenticavo, i cappelli sono un nostro pensiero, perché noi non facciamo solo le scarpe.-

N. Marcorè: - Vorrei aggiungere una cosa! Posso? A me non piace dare sòle. Preferisco dire sempre quello che penso in faccia alle persone. … Grazie per l’intervista! -

L. Barbarossa: - Sinceramente io una bella sòla la darei…-

N. Marcorè: -… a chi la daresti?-

L. Barbarossa: … alle banche, alle assicurazioni, alle compagnie telefoniche. A tutti quelli che le danno regolarmente tutti i giorni a noi …-

N. Marcorè: - … ammazza che bella risposta!-


E su questa frase hanno chiuso la porta e sono andati a prepararsi per lo spettacolo che da lì a qualche munito avrebbero messo in scena facendo contente più di 1300 persone accorse per vederli sul palco.
Veramente due ragazzi irresistibili, dei professionisti in gamba, due persone squisite. È vero, uscire di casa per certi spettacoli è gratificante.

(Proprietà letteraria riservata)

Pubblicato su ... seratiamo.it
Pubblicato su ... informazione.tv

sabato 20 novembre 2010

INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI

Laura Gioventù incontra Ascanio Celestini.

Giovedì 18 novembre presso il cine-teatro Alecchino di Monte Urano, in occasione della VII edizione del premio letterario nazionale "Paolo Volponi", Ascanio Celestini ha messo in scena per il suo spettacolo "Racconti"  e noi, poco prima che salisse sul palcoscenico, lo abbiamo preso in ostaggio e ci siamo fatti raccontare cosa pensasse su gioventù, memoria, tempo, monologhi, provincia e teatro con sincerità e simpatica timidezza.





Che cosa le viene in mente se le dicessi gioventù, penserebbe solo al mio cognome oppure a qualcosa che sfugge anche se tutti lo hanno avuto nelle mani?

Non perché lo dica io prima di qualcun altro, ma perché la strada che è stata imboccata in questi ultimi anni, è l’idea che il Paese intero sia più che giovane…sia una sorta di “adolescente”.
Lo disse Berlusconi qualche tempo fa dicendo che l’italiano medio è come un bambino della seconda media che non siede nemmeno nei primi banchi.
Però effettivamente è vero, la cultura che si esprime in maniera più diffusa, ovviamente  parlo dei prodotti culturali più diffusi, per la massa, così come è organizzata l’informazione piuttosto che la politica, in generale sembra come se si rivolgesse esclusivamente ad un gruppo di adolescenti.
Ma anche banalmente nella moda, è come se i vestiti fossero tagliati esclusivamente per adolescenti. Come se anche la sfera sessuale è vissuta come se il popolo fosse tutto adolescente, ma anche nel lavoro, l’idea del lavoro flessibile appartiene ad un ragazzo che ha sedici /diciassette anni, che fa il lavoretto estivo per pagarsi le vacanze insomma per cui …dall’altra parte tutto questo ritorno alla cultura giovanilistica poi ricorda molto quella del fascismo. A parte la canzone goliardica “giovinezza giovinezza” che non nasce con il fascismo ma identificava chiaramente quella che era la cultura del tempo: bisognava essere giovani, efficienti, spensierati.
È un po’ quello che viviamo oggi.
Se accendiamo la televisione vediamo persone di cinquanta sessant’anni, uomini e donne indifferentemente, che si comportano e parlano come ragazzetti di quindici.
Non è un caso che il calcio abbia così tanto successo perché poi la tifoseria esprime proprio la rabbia insensata che ha un giovane.
C’è un sociologo filosofo spagnolo, che si chiama Santiago Lopez Petit, che dice questo, è il dire niente con rabbia. Questo è quello un po’ quello che vedo….anche la Lega è un po’ così…dire niente con rabbia, molta rabbia per poi in realtà non dire quasi niente.

Proviamo a spiegare le nuove forme di poesia dei giovani, le canzoni per esempio. “Siamo figli di mondi diversi, una sola memoria che cancella e disegna distratta la stessa storia” Tiziano Ferro

Secondo me non significa quasi niente, è solo una maniera per mettere in fila le parole.
La memoria non è una sola, noi stessi, ognuno di noi personalmente ha tante memorie differenti e spesso non sappiamo neanche bene cosa realmente è accaduto, che cosa ricordiamo e cosa realmente abbiamo dimenticato, per cui, tanto meno io, penso che ce ne sia una sola che riguardi non mille ma anche solo due persone. Facciamo un viaggio insieme e ci ricordiamo cose diverse oppure le stesse cose hanno prodotto impressioni differenti. La realtà è una deduzione rispetto a quello che viviamo realmente e anzi si avvicina di più al concetto di realtà il racconto di quello che viviamo piuttosto che quello che viviamo davvero, perché finché lo stiamo vivendo è un po’ come, tornando al calcio di prima, la telecronaca di una partita, non sappiamo come va a finire per cui non riusciamo neanche a delimitarla e mondi diversi….non lo so…è una canzone…

Con l’avvento del cinema e della fotografia si sta perdendo il senso della morte, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione e alla fine nessuno muore più veramente. Facilitano il ricordo e la memoria…

Vero, ma prima ancora che il cinema e la fotografia questo lo ha fatto in maniera anche più potente la stampa….oramai l’impressione rispetto a Gutenberg è andata scemando nei secoli, però è la riproducibilità tecnica che produce questo effetto, il fatto che tu puoi continuare a confrontarti con qualcuno o con qualcosa a prescindere dal fatto che questa persona ci sia o non ci sia, esista o non esista.
Allora, fin quanto l’oggetto passa attraverso un’altra persona per cui fin quanto sono io che racconto una storia di mio nonno, che sia morto oppure ancora vivo a te in fin dei conti interessa poco, perché è viva la sua storia.
Nel momento in cui vedi l’immagine filmica televisiva o una fotografia piuttosto che un suo oggetto personale o una cosa scritta da lui chiaramente si salta un passaggio, non c’è più una mediazione e l’oggetto è percepito in maniera diretta.
Però credo che in questi ultimi anni stia succedendo una cosa molto più affascinante e forse anche più pericolosa, ovvero sia l’accesso alle diverse stratificazioni temporali, quindi la possibilità di vedere una fotografia di Mazzini piuttosto che un film degli anni trenta oppure degli anni sessanta, rivedere in televisione una trasmissione che andava in onda negli anni ottanta, questo fa si che noi abbiamo una lettura del tempo passato che è tutto il tempo, chiaramente come se tutto fosse recuperabile. Siamo passati da un idea del tempo ciclico, tipico delle culture orali che vedevano nella ciclicità il ritorno dei giorni, l’alba, il tramonto, le stagioni e quindi l’idea di un tempo che torna sempre, ad un tempo lineare che è quello storico, adesso siamo finiti in un tempo che è una sorta di griglia dalla quale noi possiamo pescare un po’ quello che vogliamo. Il problema poi è che il tempo non è né ciclico né lineare…né una griglia, ma è sempre il nostro interiore, però è sempre a nostra percezione…

Il tempo è un nemico o un alleato, che cos’è il tempo e come lo percepisce un attore che recita anche commedie senza tempo?

Volgarmente è anche un nemico, perché se stai in tournee devi arrivare in orario e il tempo diventa più quello misurato dall’orologio che non quello percepito. Il tempo è sicuramente una delle risorse che di più ci sta sfuggendo dalle mani. È un oggetto che ancora non possiamo comprare ma che stiamo, che vorremo controllare, però lo confondiamo molto con l’orario, con i tempi del lavoro.
Per dire. Marchionne si lamenta del fatto che i suoi operai in Italia non producono abbastanza e che negli stessi tempi in Brasile producono di più, e nelle fabbriche fino a qualche anno fa c’èra un ufficio tempi e metodi per ottimizzare un lavoro che non significa, poi migliorare la vita dell’operaio, anzi, significa avvicinarlo sempre di più da una macchina che funziona bene, il problema è che noi non siamo delle macchine anche volendo  e quindi abbiamo bisogno di un tempo, di un tempo assolutamente flessibile e non dare flessibilità al lavoro. Perché in tal caso è il lavoro che diventa flessibile e il tempo non lo è più. In qualsiasi momento cerco di metterci dentro un lavoretto perché devo pagare l’affitto e tutte le altre cose… noi abbiamo proprio bisogno di recuperare il tempo. Il tempo del non lavoro. Abbiamo bisogno di una casa ma abbiamo anche bisogno del tempo per starci dentro, abbiamo bisogno  di un tempo pubblico mentre invece abbiamo sempre di più un tempo che compriamo… due ore in pizzeria. Un tempo nel quale non siamo clienti. Un tempo pubblico nel senso che quando esco dalla mia casa privata normalmente vado a passare del tempo in un altro luogo privato…ristorante, trattoria, un cinema, un teatro e allora sembra che la differenza sia tra un consumo di qualità e un consumo che non lo è, e allora chi va a teatro è una persona intelligente mentre chi invece va a vedere un filmaccio di sparatorie americane è uno scemo, però in realtà entrambi stanno spendono dei soldi per occupare uno spazio privato in un luogo privato. Mentre invece noi abbiamo bisogno proprio della piazza del muretto al limite, della strada, della scuola pubblica, ma non perché quella pubblica sia migliore della privata, ma perché la scuola pubblica è nostra e alle 4 e mezza del pomeriggio, quando mio figlio esce da scuola, io dovrei poter dire… beh passiamo  altre due ore in questo luogo perché è pubblico… e quindi non ha un limite. Questa è un’idea che noi stiamo perdendo quasi completamente …

Lei si candiderebbe in un partito, semmai un giorno le venisse in mente di farlo, perché sente di dare una mano oppure perché in teatro ai suoi spettacoli non va più nessuno?

Come alternativa al lavoro preferirei andare a fare il cameriere piuttosto che candidarmi.
Prima cosa credo che ci sia una grossa differenza tra gli amministratori locali, il sindaco di un piccolo centro per esempio, rispetto alla politica dei partiti. In un piccolo Comune o una circoscrizione romana trovi una pulizia nella politica che nei partiti normalmente non trovi. Non mi candiderei in politica così come non diventerei sindacalista. Penso che la delega sia un male minore. Delegare qualcuno in parlamento, il voto e mandare qualcuno al senato credo sia un male minore indispensabile, però penso che sia molto meglio se ognuno si prendesse le proprie responsabilità, ci si auto organizzasse, ci si auto governasse insomma, e non mi piace in generale l’idea e il concetto stesso di governo, di qualcuno che si occupa degli altri e gli altri non si possono occupare più di se stessi. Occuparsi degli altri significa aiutare qualcuno ma il governante non aiuta qualcuno evidentemente.
Detto questo è chiaro che anche io faccio la distinzione tra un politico migliore e un politico mafioso, solo che se la faccio sugli altri non vorrei farla su di me, per cui potrei fare l’assessore in un piccolo comune, e lo farei come volontariato per un’organizzazione non governativa per il resto penso, come dice Luciano Canfora, che il politico sia sempre un bugiardo per cui preferisco stare dalla parte di chi inventa, per motivi letterari, piuttosto che dalla parte di chi inventa per motivi istituzionali.

Il Monologo, lo Stand-up teatrale, lo dobbiamo considerare un virtuosismo psico-fisico dell’istrione che vuole mostrare al mondo il suo talento oppure è solo un modo, tipo, forma di fare spettacolo?

Forse entrambe le cose. L’attore monologante senza lo spettatore è solo uno che parla da solo e nel migliore dei casi fa un esercizio che serve a se stessi. Penso però che faccia esercizio anche chi racconta storie a qualcun altro in una dimensione non teatrale. Gerardo Guccini, che è un amico, insegna a Bologna, dice che esistono attori che fanno narrazione, ma non sono dei narratori,ed esistono dei narratori, che raccontano, ma non sono attori, nel senso che esistono attori che vanno in scena e recitano i loro monologhi, ma non stanno facendo narrazione, hanno imparato a memoria un testo e lo interpretano , interpretando un personaggio, mentre ci sono attori narratori che vanno in scena e raccontano delle storie. Magari sono meno bravi degli attori però vanno in scena e raccontano la loro storia. Ecco, io faccio parte di questa seconda categoria, di attori forse meno bravi che però narrano, raccontano storie. Poi ci sono delle persone che non fanno teatro e che forse nemmeno vanno a teatro ma che provano soddisfazione nel raccontare delle storie. E Gerardo dice che certe volte questa gente fa pure tanti figli per avere qualcuno a cui raccontarle, e queste sono le persone che noi conosciamo al bar, incontriamo a scuola, oppure alcuni insegnanti, oppure è il nostro collega di lavoro anche se lavoriamo in fabbrica. Insomma, persone che in qualche maniera provano,come me, soddisfazione nel raccontare delle storie e per questa gente quindi significa anche fare un esercizio mentale. Raccontare il mondo significa non crearlo come ha fatto Dio, ma come ha fatto Adamo, noi raccontiamo per dare un nome alla nostra identità, agli oggetti a quello che succede,  alle cose che ci circondano.

Ed il famoso monologo di Marco Paolini sul Vajont come lo classifica? Dopo tanti anni stanno ancora pensando a farci una centrale idroelettrica da quelle parti.

Il Vajont è una cosa abbastanza particolare se non unica. Prima di allora Marco Paolini aveva fatto degli spettacoli molto teatrali quindi molto poco narrati, interpretando tutta una serie di personaggi in una dimensione di interpretazione leggera cioè senza grandi scenografie, però non è un caso che dei suoi quattro album, la regia dei due album come il monologo del Vajont sono di Gabriele Vacis quindi di un regista molto regista, molto presente  e il monologo sul Vajont  è stato un po’ un cambio di registro che ha segnato il cambiamento della sua scrittura successiva. Io credo che lui sia un grande attore drammaturgo che con gli strumenti che ha a disposizione riesce a rendere al meglio sulla scena, e che il Vajont sia stato un caso unico nella sua produzione perché lui non ha semplicemente costruito una drammaturgia, ma l’ha costruita a partire da elementi straordinari che è la storia stessa del Vajont. Io probabilmente sono un attore meno bravo di Marco, e forse anche meno bravo come drammaturgo, ma faccio un lavoro diverso di ricerca spesso più lungo e complicato , lui è molto più bravo di me se gli danno un libro in mano. È molto bravo a portarlo in scena, riesce a raccontare qualsiasi cosa. 

Lei è il vincitore del premio Volponi della precedente edizione (2009). È tornato nelle Marche per ricambiare il favore che le hanno fatto oppure perché è innamorato della nostra terra? Che cosa le piace delle Marche?

In maniera molto meno poetica sono tornato perché mi hanno chiamato, ma sono tornato molto volentieri. Passare per le Marche mi fa sempre una strana impressione. Quando si passa in tournée normalmente si percorre l’autostrada e si vive questa dimensione antimarchigiana del territorio costiero balneare che fa impressione. Queste tonnellate di cemento che arrivano fino ad un palmo dall’acqua mostrano come non ci sia stata, nel secolo passato, un minimo di attenzione alla costa, per cui si vedono questi terribili grattacieli in mezzo alle villette poi però basta andare cinquecento metri all’interno per trovare immediatamente un altro paesaggio. Si passa da una specie di Rimini spalmata su tutta la costa che si stende oltre le Marche ed arriva fino all’Abruzzo ai paesaggi dell’Ariosto. Paesaggi meno visti e meno conosciuti, più rurali rispetto alla Toscana. Vedi un paesaggio spaventosamente bello e completamente distanti dall’idea di un turismo facile che si avverte lungo la costa. Non tutta la costa è così…però… autostrada e ferrovia passano l’uno accanto all’altra e ti mostrano sempre lo stesso mare cementificato….

La nostra è una bella terra, dove si vive tanto bene, tutti ce lo dicono ma noi non sembriamo crederci abbastanza… ci dica un difetto dei marchigiani…

Questo non lo so….

…e quanto di marchigiano c’è in Ascanio Celestini?

…io vivo nella stessa periferia dove sono nato per cui la vita di provincia in qualche maniera se non degenera nell’isolamento si avvicina molto di più ad un idea di decrescita che dovremmo imboccare. L’idea del piccolo centro, della comunità che si conosce, se non diventa chiusa, se non controlla e non si trasforma in un ghetto imbocca una strada interessante anche dal punto di vista dell’auto organizzazione. È curioso vedere che nei piccoli centri marchigiani ci siano dei teatri. Significa che nel tempo si è sentito il bisogno di avere un luogo pubblico - anche se poi spesso i palchetti erano acquistati da privati che se li tenevano per generazioni – dove la comunità si incontra.
Io non vengo dalla provincia ma da una borgata ma insomma si fa una vita molto simile con tutta la degenerazione della provincia, del fatto che nel momento in cui esce fuori dalla condizione di estrema povertà si chiude, nel momento in cui il borgataro c’ha due lire da spendere tira su il muro della propria baracca e si costruisce la propria villetta, appena può si compra il Suv esce di casa solo con il fuoristrada.
Di marchigiano ho la cultura della provincia, del cercare dei riferimenti minimi. Non mi piace vivere la città fatta di cento impegni al giorno. Vivo nel comune di Roma ma la frequento come uno che vive a Rieti o a Tivoli. Vado per una mostra, per il cinema, ma per il resto del tempo sto nella piccola comunità che è la borgata  in cui vivo.

Noi abbiamo il Teatro delle Api e il direttore artistico è Neri Marcorè. A lei in quale teatro piacerebbe fare il direttore artistico?

Nessun teatro, io non potrei diventare il direttore artistico di nessun teatro anche perché chiedo molto ad un direttore artistico sia come spettatore sia come artista. Quando 11 anni fa incontrai per la prima volta Mario Martone, che era il direttore del teatro stabile di Roma, il teatro “Argentina”, Mario si occupava pure delle sedie da portare nello spazio in “India”, si preoccupava di visionare tutti i progetti, andare  in giro a visionare gli spettacoli. Un direttore del teatro per me deve essere sempre presente. Un direttore del teatro deve essere uno che al massimo fa una sola produzione propria in un anno ma per il resto non può fare altre cose, altrimenti è solo un prestanome e questa è una brutta cosa. In quel caso non devi fare il direttore ma il presidente. un presidente è una carica onorifica, la tessera numero uno dell’associazione.
Io non potrei fare il direttore artistico.
Quando mi è stato proposto per un teatro lo avrei fatto volentieri. Avrei cambiato casa e per tre anni mi sarei stabilito fuori regione ed avrei fatto un lavoro sul territorio. Ma non hanno accettato la mia proposta perché a loro non serviva una figura del genere perché già c’erano i funzionari comunali che se ne occupavano. Avevano solo bisogno di uno che mettesse il nome e la firma e andasse a far spettacoli, solo come “richiamo”. Posso richiamare gente se vado ad una manifestazione politica dai No-TAV in Val di Susa e se la mia presenta può essere utile per portare cinquecento persone ad un presidio umanistico lo faccio volentieri, ma non lo faccio per avere decine di migliaia di euro al mese e mettere il mio nome su un cartellone.
Fare il direttore è una cosa molto bella ma bisogna avere tempo perché poi li vedi quando arrivi nei teatri, vedi subito se c’è una passione dietro. Per prima cosa ti fanno fare tutto il giro, ti fanno vedere i camerini, ti fanno vedere come hanno messo a posto i bagni, se c’è una foresteria sopra, ti dicono dove si mangia, ti raccontano le battaglie che hanno fatto per tenere in piedi il teatro….ecco io quello farei ma certo non da un giorno all’altro. Se me lo chiedessero oggi risponderei nel 2015…o qualcosa del genere…se fai il direttore di un teatro ti ci devi dedicare, ci si deve dedicare come si dedica il gestore di un ristorante…si può essere il titolare di un ristorante e  non andare mai nel proprio ristorante e non sapere nemmeno quello che cucinano oppure dare una letta al menù una volta al mese….insomma il cartellone di una stagione teatrale è almeno quanto un menù per cui devi essere almeno il cuoco del ristorante…

di Laura Gioventù

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