Vuoi diventare la nuova Nicole Kidman?
Di Laura Gioventù
Giovedì sera.
Il solito Porto San Giorgio.
La solita passeggiatina serale su e giù per le vie del centro e per il lungomare.
La solita fila per la solita consumazione al solito chalet.
Che fai, che non fai, come butta e cominciamo con i soliti discorsi.
Tutto come al solito! Anche la noia è la stessa.
-Sabato scorso sono stata alla festa di compleanno di Sara. Te la ricordi, la mia amica milanese? È stata una serata indimenticabile. Balli scatenati e musica fino all’alba…-
Mi racconta tutta entusiasta la mia amica Chiara.
- … e dove l’hanno fatta?- Le domando per fare un po’ di conversazione.
-SULLO chalet. Devi assolutamente andare un sabato sera … bella gente, bella musica… un posto stupendo!-
Chiara è una fanatica delle discoteche ed è sempre molto informata sui locali più “cool” di tutta la riviera adriatica.
-L’hanno fatta sul tetto?… caspita, originale!!! … una festa sul tetto mi manca proprio! - Le dico in tono stupito.
-Sul tetto? No, ma che dici, come fanno a farla sul tetto? L’hanno fatta SULLO chalet … ma perché mi guardi in quel modo? Che cosa ho detto di tanto strano?-
Chiara rimane perplessa e non riesce a capire se è solo uno scherzo oppure faccio sul serio.
-Laura, non cominciare a fare la sofisticata come sempre …- Si intromette la mia amica Serena, tanto cara, ma sempre un po’ impicciona.
Sinceramente non ho voglia di stare troppo a discutere con chi non vuol sentire, ma con Chiara ci conosciamo poco così cerco di spiegarmi meglio:
-….per l’italiano c’è poco da fare, certe lacune te le porti dietro a vita! Ma potresti sempre farti regalare una grammatica italiana invece del solito cellulare o del solito paio di scarpe! … per il dialetto invece la vedo un po’ più facile!-
-Tu sei marchiSCIana come me ma non parli in dialetto. Come mai?- Aggiunge Chiara incuriosita.
-Io, più che marchigiana sono una “donzelletta che vien dalla campagna” … ma a parte questo particolare...è l’italiano la lingua ufficiale e non il marchiSCIano e se il buongiorno si vede dal mattino, parlare decentemente è il primo “biglietto da visita” per la vita e per il lavoro in generale, anche se, molto probabilmente l’inflessione marchigiana si sentirà sempre.- le spiego.
-Proprio vero! Laura hai perfettamente ragione, il nostro modo di parlare lascia molto a desiderare. E quando ci intervistano alla tv noi marchigiani facciamo sempre una pessima figura … le T che diventano D…poi le Z le S e le G la Bicicletta diventa la Vicicletta…la Birra che diventa la Virra….e poi le O che si trasformano in U come Lu portU… insomma non è fra i dialetti migliori!
E che cosa dovrei fare per correggermi?- Mi chiede Chiara, sempre più interessata all’argomento.
-Se ti interessa migliorare il modo di esprimerti c’è un mio amico che ti potrebbe aiutare.
Si chiama Alessandro Maranesi ed insieme ad altre persone tiene dei corsi di “educazione all’espressione” per adulti e bambini in collaborazione con il Gruppo Teatrale Cretarola, l'Assessorato alla Cultura del Comune di Porto Sant'Elpidio ed il Comitato di quartiere Cretarola .
Il corso permette, attraverso lezioni teorico-pratiche di dizione e fonetica ed esercizi di respirazione e per la voce, di acquisire un italiano corretto non solo nello stile, ma anche dal punto di vista del suono e dell'intonazione, al fine di togliere le cadenze tipiche del dialetto.-
-E chi lo frequenta?- seguita la mia amica.
-Il corso è utile a tutti coloro che hanno l'esigenza di relazionarsi in pubblico, per gli studenti e per chiunque voglia migliorare il proprio modo di esprimersi ma è anche un buon punto di partenza per chi vuole intraprendere una carriera artistica di attore, cantante, speaker o presentatore. Magari, non solo ti appassioni, ma scopri di avere talento e diventi la Anna Magnani dei giorni nostri ! Nella vita non si può mai sapere …- Le dico sorridendo.
-E come no?!?... diventerò una star famosa come Nicole Kidman… ma dai …!!!! Piuttosto, come funziona esattamente? Fammi capire bene …- continua la mia amica.
-I corsi si terranno presso il Centro Sociale Cretarola di Porto Sant'Elpidio (FM) ed inizieranno quasi sicuramente a metà ottobre. Comunque è prevista una riunione preventiva, senza impegno, dove verrà spiegato il programma e verrà fatta una lezione di prova per poter capire meglio di che si tratta e si ti interessa realmente.
In ogni caso, per maggiori informazioni anche su costi ed orati ti puoi rivolgere a questi numeri 339.88.01.659 e/o 328.42.18.192 oppure puoi contattarli via mail all’indirizzo gtcretarola@gmail.com o su facebook al link www.facebook.com/gtcretarola.
... .hai scritto tutto????-
Si è fatto tardi e mentre mi alzo per tornare a casa la “futura” Kidman mi ringrazia e dice:
-Sì sì, perfetto, ho segnato tutto! Grazie. Domani mattina li contatterò! Sono rimasti pochi giorni e mi devo sbrigare. Ora metto queste informazione anche nella bacheca sullo chalet.... cioè … no …. volevo dire … la bacheca DELLO chalet, scusami, ahahahaah …. -
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giovedì 23 settembre 2010
CRONACA MARCHIsciANA.
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Provincia di Fermo
sabato 28 agosto 2010
Seconda intervista a Umberto Broccoli
“Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada."
di Laura Gioventù
Fermo, sabato 28 agosto 2010
Il penultimo giorno della parentesi Fermana, Umberto Broccoli torna a giocare ancora con me.
L’intervista è diversa dalla precedente ma sempre da me guidata.
Le domande sono diventate cinquanta. Mentre nella prima erano scritte su pezzi di carta piegati ed estratte senza la possibilità di leggerle, oggi invece sono stampate su pezzi di carte di tre differenti forme geometriche (quadrati, triangoli e cerchi) e sono aperte.
Ecco le 5 domande scelte dal Professor Broccoli in questo secondo appuntamento.
Domanda n. 1
“Quando certi uomini di teatro sollecitano la partecipazione viva del pubblico ai loro spettacoli dovrebbero meditare sui pericoli cui vanno incontro.” Ennio Flaiano
Anche in radio è pericoloso far partecipare troppo il pubblico per evitare inutili confusioni e spostamenti, oppure è proprio la partecipazione e il coinvolgimento del pubblico che determina il successo delle sue trasmissioni radiofoniche?
Innanzi tutto dobbiamo chiarirci le idee sul discorso del pubblico.
La radio è nata per il pubblico e la radio è l’evoluzione del teatro. Nel senso che mentre il cinema ha il suo corrispettivo nella televisione, la radio nasce per i lombi del teatro. La prima radio si faceva dentro i teatri, si andava con il microfono e si trasmettevano i grandi concerti. Partendo da questo presupposto, dobbiamo poi fare chiarezza sulla partecipazione del pubblico. Il pubblico deve fare il pubblico, stare lì e sentire, apprezzare o non apprezzare se la cosa non è meritevole. Ma che si possa fare uno spettacolo con il pubblico, su quello che era uno degli stilemi della grande improvvisazione degli anni settanta, dove io scendo in mezzo agli spettatori, faccio le cose con loro, ed il pubblico diventa il protagonista, questo è un eccesso. Eccesso che, secondo me, può avere senso solamente a livello sperimentale perché la realtà è un’altra. La realtà è che c’è uno spettacolo, il pubblico vede e partecipa, apprezza o non apprezza. Quel metro, settanta centimetri o due metri, insomma, la distanza che c’è dal palcoscenico al pubblico non sono superabili. Da una parte c’è chi fa lo spettacolo e dall’altra chi lo vede e lo vive.
Quello che dice Flaiano va interpretato in questa direzione. Da questo punto di vista lui era un accademico e un rigoroso del teatro.
Domanda n. 2
“Siamo figli di mondi diversi una sola memoria
Che cancella e disegna distratta la stessa storia”
Ti scatterò una foto – Tiziano Ferro
Con l’invenzione della fotografia e del cinema si sta perdendo il senso della morte come evento storico, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione. Questo strano fenomeno facilita le conclusioni degli storici oppure la fa diventare come un riassunto dell’eterno reality che è la vita di tutti noi?
Noi abbiamo perso il rapporto con la morte. Questo è verissimo, la domanda dice una cosa giustissima.
Faceva parte delle società primitive precedenti la nostra e lo abbiamo perduto negli ultimi ottant’anni. All’inizio del secolo scorso ed ancora oggi nelle società contadine la morte si accompagna. Non si lascia morire un vecchio in ospedale o da solo ma la morte viene vissuta come la fase finale della vita.
Nella società odierna questo valore è completamente perduto. Il compianto, che vuol dire appunto piangere insieme, partecipare, è un aspetto che è degenerato peggiorando ulteriormente negli ultimi anni televisivi.
Gli anni televisivi hanno plastificato tutto. Quello che si vede in televisione non è reale. Nel senso che nessuna delle icone televisive, uomo o donna che sia, si incontra per strada. Penso a determinati atteggiamenti clauneschi di gente che si veste e trucca in una certa maniera. Quello è veramente un barocchismo che non appartiene alla vita quotidiana. È fuori. È totale finzione. Del reato io dico sempre che per andare in televisione bisogna truccarsi, oppure tingersi i capelli. In teatro oppure in radio non ce n’è bisogno. Sei tu. Senz’altro la civiltà della fotografia è completamente differente da quella che è la civiltà delle immagini. Benché queste siano sempre figure, ma in movimento.
Non c’è del moralismo in questo, è semplicemente l’osservazione di un fatto.
Il fatto è che quello che si vede per strada non è quello che si vede in televisione. Punto.
Parlo di spettacolo, ovviamente.
Domanda n. 3
Non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto. La strada ci farà procedere.
E' Stato Molto Bello di Franco Battiato
Quale è la strada che sta seguendo?
Per altro è una poesia di Evtushenko. Franco Battiato e Mario Sgalambro hanno messo in canzone una poesia di Evgenij Evtushenko, se non ricordo male. La strada che sto seguendo è quella che dice il poeta russo e che cantano Battiato e Sgalandro. È la strada che mi porta da qualche parte. Tendenzialmente ho scoperto che più ci si prefigura un progetto, un percorso, un andare da un punto ad un altro, più diventa complicato. Non voglio certo dire che non ci si riesca, ma a volte si fa molta difficoltà. Spesso la strada della vita ti porta su percorsi completamente differenti che mai ti saresti aspettato di percorrere per cui non domandarti dove porta la strada, seguila e cammina soltanto! Trovo giustissima questa citazione.
Domanda n. 4
Se le dico Marche quale è la prima cosa che le viene in mente?
Il paesaggio. Penso al suo paesaggio che non è come quello umbro e toscano. È marchigiano, appunto.
Penso all’ordine quasi musicale del panorama, quell’ordine che il pittore Tullio Pericoli esprime perfettamente nei paesaggi e nei ritratti della mostra «Lineamenti. Volto e paesaggio» in esposizione presso il museo dell’Ara Pacis di Roma.
Se le dico Fermo?
Penso a sindaco Saturnino Di Ruscio. Sembra una stupidaggine, ma è così, e lo dico, con fermezza, perché il mio rapporto con Fermo è stato sempre mediato dal sindaco. All’inizio con molta diffidenza, adesso con una maggiore consapevolezza. Non la si può ancora chiamare un’amicizia, ma ci conosciamo da cinque anni. Lui per esempio è una persona che è quello che dice e devo riconoscere che è una qualità molto rara, non soltanto nella politica ma soprattutto nel panorama generale dei rapporti umani. Superando la persona, se penso a Fermo mi viene in mente il colore dei mattoni. Questa specie di grande forno nel quale siamo, un forno di mattoni, un forno nel quale si possono cuocere bene le pizze, dove in estate il caldo diventa caldissimo e d’inverno il freddo si fa temperato. Tutto questo sposato con una pulizia incredibile della cittadina. Non volendo prescindere dalla persona Saturnino, tutto il resto è mattone, mattone ovunque, bello, caldo, avvolgente. Siamo circondati dai mattoni ed è bellissimo perché siamo abituati a vedere le case intonacate. Qui invece mi sembra quasi di vedere i lavoratori che mettono uno sopra l’altro i mattoni per costruire palazzi e Chiese.
Se le dico Roma?
A Roma ci sono le mie radici. Paradossalmente mi viene in mente Roma 1960. Adesso sembra stantio, ma siamo stati i primi a parlarne in tempi non sospetti. Il 25 agosto del ’60 veniva inaugurata la XVII Olimpiade
di Roma. Recentemente mi è capitato di rivedere in televisione il film “La grande Olimpiade”di Romolo Marcellini proprio di quell’anno. Per motivi indipendenti dalla mia volontà, per il semplice fatto di essere nato prima, ricordo perfettamente quella Roma, i colori della città e gli autobus verdi e neri. Una città che stava vivendo un grandissimo sviluppo urbano e urbanistico accanto ad una campagna che poi sarebbe stata aggredita dalla speculazione edilizia, da uno sviluppo esagerato e disordinato di una urbanizzazione non studiata. È giusto urbanizzare, non è che possiamo cristallizzare tutto, ma non è giusto buttare cemento armato di qua e di là come se niente fosse creando queste periferie dormitorio che sono veramente una cosa sulla quale riflettere. Rispondendo in maniera banale, mi sarebbe potuto venir in mente i miei studi, il Colosseo e così via. Invece penso alla Roma del 1960, che era ancora la Roma del dopoguerra e che da quel momento in poi diventerà un’altra cosa, la Roma che poi ha portato a quella del giorno d’oggi.
Quindi una data come segno di un passaggio?
Sì, io non credo alle date come segno di passaggio, ma in questo caso la data è il segno del cambiamento. Come anche il 476 d.C. quando Roma cade per la prima volta sotto i colpi dell’esercito invasore. I barbari, le popolazioni straniere, entrano a Roma e dal quel momento la città inizia una nuova vita.
E se le dico Italia, che cosa le viene in mente?
Pensando all’Italia non mi viene in mente niente di particolare fuorché tutto.
La conosco abbastanza bene e penso ad un aspetto un po’ più antico e nascosto. Penso a quando il nome stesso di questa nazione è stato una parola nella quale generazioni intere si sono riconosciute e, senza arrivare alla retorica di De Amicis, il tricolore era simbolo di unità. Credo, senza retorica appunto, ad un minimo di patriottismo. Pensando all’Italia mi viene in mente un’unica nazione con tutte le sue differenze -siamo unità tra differenze- che ha le Alpi come confine ed il mare come altro confine. Poi penso anche ad una forma di forte orgoglio nazionale, alla riscoperta delle nostre radici. Siamo italiani e siamo differenti dai francesi, dai tedeschi, dai nordafricani, dagli slavi. Siamo italiani e siamo abbastanza riconoscibili come ethos.
Domanda n. 5
Il vero viaggio di scoperta, non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.
Voltaire
Voltaire, padre dell’illuminismo. Mi riconosco perfettamente in tutto questo. Non avendo la passione di viaggiare, anzi, detestandolo, sono convinto che il viaggio si possa fare anche nel quartiere di fronte casa cambiando gli occhi. Il cambiamento siamo noi. Forse chi fa viaggi stupefacenti evidentemente non ha tranquillità interiore. Basterebbe immaginare di cambiare gli occhi che si scopre il bello anche a Passoscuro, una piccola località vicino Roma.
Ed infine una mia domanda per concludere il gioco.
Forma e sostanza: Lei ha scelto due domande racchiuse nei cerchi, due nei triangoli ed una nel quadrato; possiamo dire che nello scegliere una domanda piuttosto che un’altra c’è stata una piccola influenza sulla forma?
Quasi non c’ho prestato attenzione. Ho fatto caso ai tanti fogli di forma diversa sopra al tavolo ma non so se Voltaire sta sul rotondo o sul quadrato oppure Battiato sul triangolo. Nello scegliere, potendo leggere le domande, ho solo fatto caso alla sostanza.
“Il mezzo è il messaggio” diceva Marshall McLuhan
È possibile che nello studiare la storia siamo stati più suggestionati dalla “forma” esteriore (miti, eroi, battaglie) piuttosto che dalla sostanza storica degli avvenimenti accaduti?
Purtroppo la storia la fanno i vincitori. Da sempre.
Non la scrive chi ha perso e quindi, inevitabilmente chi scrive e fa la storia sono i vincitori.
Noi siamo tutti figli della storia scritta dai vincitori ed è chiaro che ne siamo anche influenzati.
Quando pensiamo per esempio a Napoleone Bonaparte pensiamo a chi ha scritto di Napoleone, pensiamo a quello che è stato detto e quindi creiamo quella che si chiama mitopoiesi, creiamo dentro di noi un mito. Dal greco μυθοποίησις, poie vuol dire “fare” e mithos è mito, quindi "creazione del mito". Noi creiamo un mito ed il più delle volte il mito non è realtà. La nostra operazione, in genere, anche nella vita quotidiana, dovrebbe essere quella di cercare di vedere qual è la sostanza reale delle cose, che cosa c’è dietro ad un fatto, una persona, un avvenimento. Capire dove si vuole andare a parare in sostanza. Credo sia questa la cosa più giusta.
Per quello che riguarda McLuhan, sulla questione che il mezzo possa diventare messaggio, sono state costruite intere biblioteche io però continuo a dire, che è il messaggio che governa e non il mezzo. Se si guarda il contorno, la cornice non sarà mai il quadro. È giusto che esista ma guardiamo il quadro. Ricordiamoci sempre che chi indica la luna con un dito, giusto un fesso guarda il dito e non la luna!
pubblicao su ... seratiamo.it
di Laura Gioventù
Fermo, sabato 28 agosto 2010
Il penultimo giorno della parentesi Fermana, Umberto Broccoli torna a giocare ancora con me.
L’intervista è diversa dalla precedente ma sempre da me guidata.
Le domande sono diventate cinquanta. Mentre nella prima erano scritte su pezzi di carta piegati ed estratte senza la possibilità di leggerle, oggi invece sono stampate su pezzi di carte di tre differenti forme geometriche (quadrati, triangoli e cerchi) e sono aperte.
Ecco le 5 domande scelte dal Professor Broccoli in questo secondo appuntamento.
Domanda n. 1
“Quando certi uomini di teatro sollecitano la partecipazione viva del pubblico ai loro spettacoli dovrebbero meditare sui pericoli cui vanno incontro.” Ennio Flaiano
Anche in radio è pericoloso far partecipare troppo il pubblico per evitare inutili confusioni e spostamenti, oppure è proprio la partecipazione e il coinvolgimento del pubblico che determina il successo delle sue trasmissioni radiofoniche?
Innanzi tutto dobbiamo chiarirci le idee sul discorso del pubblico.
La radio è nata per il pubblico e la radio è l’evoluzione del teatro. Nel senso che mentre il cinema ha il suo corrispettivo nella televisione, la radio nasce per i lombi del teatro. La prima radio si faceva dentro i teatri, si andava con il microfono e si trasmettevano i grandi concerti. Partendo da questo presupposto, dobbiamo poi fare chiarezza sulla partecipazione del pubblico. Il pubblico deve fare il pubblico, stare lì e sentire, apprezzare o non apprezzare se la cosa non è meritevole. Ma che si possa fare uno spettacolo con il pubblico, su quello che era uno degli stilemi della grande improvvisazione degli anni settanta, dove io scendo in mezzo agli spettatori, faccio le cose con loro, ed il pubblico diventa il protagonista, questo è un eccesso. Eccesso che, secondo me, può avere senso solamente a livello sperimentale perché la realtà è un’altra. La realtà è che c’è uno spettacolo, il pubblico vede e partecipa, apprezza o non apprezza. Quel metro, settanta centimetri o due metri, insomma, la distanza che c’è dal palcoscenico al pubblico non sono superabili. Da una parte c’è chi fa lo spettacolo e dall’altra chi lo vede e lo vive.
Quello che dice Flaiano va interpretato in questa direzione. Da questo punto di vista lui era un accademico e un rigoroso del teatro.
Domanda n. 2
“Siamo figli di mondi diversi una sola memoria
Che cancella e disegna distratta la stessa storia”
Ti scatterò una foto – Tiziano Ferro
Con l’invenzione della fotografia e del cinema si sta perdendo il senso della morte come evento storico, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione. Questo strano fenomeno facilita le conclusioni degli storici oppure la fa diventare come un riassunto dell’eterno reality che è la vita di tutti noi?
Noi abbiamo perso il rapporto con la morte. Questo è verissimo, la domanda dice una cosa giustissima.
Faceva parte delle società primitive precedenti la nostra e lo abbiamo perduto negli ultimi ottant’anni. All’inizio del secolo scorso ed ancora oggi nelle società contadine la morte si accompagna. Non si lascia morire un vecchio in ospedale o da solo ma la morte viene vissuta come la fase finale della vita.
Nella società odierna questo valore è completamente perduto. Il compianto, che vuol dire appunto piangere insieme, partecipare, è un aspetto che è degenerato peggiorando ulteriormente negli ultimi anni televisivi.
Gli anni televisivi hanno plastificato tutto. Quello che si vede in televisione non è reale. Nel senso che nessuna delle icone televisive, uomo o donna che sia, si incontra per strada. Penso a determinati atteggiamenti clauneschi di gente che si veste e trucca in una certa maniera. Quello è veramente un barocchismo che non appartiene alla vita quotidiana. È fuori. È totale finzione. Del reato io dico sempre che per andare in televisione bisogna truccarsi, oppure tingersi i capelli. In teatro oppure in radio non ce n’è bisogno. Sei tu. Senz’altro la civiltà della fotografia è completamente differente da quella che è la civiltà delle immagini. Benché queste siano sempre figure, ma in movimento.
Non c’è del moralismo in questo, è semplicemente l’osservazione di un fatto.
Il fatto è che quello che si vede per strada non è quello che si vede in televisione. Punto.
Parlo di spettacolo, ovviamente.
Domanda n. 3
Non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto. La strada ci farà procedere.
E' Stato Molto Bello di Franco Battiato
Quale è la strada che sta seguendo?
Per altro è una poesia di Evtushenko. Franco Battiato e Mario Sgalambro hanno messo in canzone una poesia di Evgenij Evtushenko, se non ricordo male. La strada che sto seguendo è quella che dice il poeta russo e che cantano Battiato e Sgalandro. È la strada che mi porta da qualche parte. Tendenzialmente ho scoperto che più ci si prefigura un progetto, un percorso, un andare da un punto ad un altro, più diventa complicato. Non voglio certo dire che non ci si riesca, ma a volte si fa molta difficoltà. Spesso la strada della vita ti porta su percorsi completamente differenti che mai ti saresti aspettato di percorrere per cui non domandarti dove porta la strada, seguila e cammina soltanto! Trovo giustissima questa citazione.
Domanda n. 4
Se le dico Marche quale è la prima cosa che le viene in mente?
Il paesaggio. Penso al suo paesaggio che non è come quello umbro e toscano. È marchigiano, appunto.
Penso all’ordine quasi musicale del panorama, quell’ordine che il pittore Tullio Pericoli esprime perfettamente nei paesaggi e nei ritratti della mostra «Lineamenti. Volto e paesaggio» in esposizione presso il museo dell’Ara Pacis di Roma.
Se le dico Fermo?
Penso a sindaco Saturnino Di Ruscio. Sembra una stupidaggine, ma è così, e lo dico, con fermezza, perché il mio rapporto con Fermo è stato sempre mediato dal sindaco. All’inizio con molta diffidenza, adesso con una maggiore consapevolezza. Non la si può ancora chiamare un’amicizia, ma ci conosciamo da cinque anni. Lui per esempio è una persona che è quello che dice e devo riconoscere che è una qualità molto rara, non soltanto nella politica ma soprattutto nel panorama generale dei rapporti umani. Superando la persona, se penso a Fermo mi viene in mente il colore dei mattoni. Questa specie di grande forno nel quale siamo, un forno di mattoni, un forno nel quale si possono cuocere bene le pizze, dove in estate il caldo diventa caldissimo e d’inverno il freddo si fa temperato. Tutto questo sposato con una pulizia incredibile della cittadina. Non volendo prescindere dalla persona Saturnino, tutto il resto è mattone, mattone ovunque, bello, caldo, avvolgente. Siamo circondati dai mattoni ed è bellissimo perché siamo abituati a vedere le case intonacate. Qui invece mi sembra quasi di vedere i lavoratori che mettono uno sopra l’altro i mattoni per costruire palazzi e Chiese.
Se le dico Roma?
A Roma ci sono le mie radici. Paradossalmente mi viene in mente Roma 1960. Adesso sembra stantio, ma siamo stati i primi a parlarne in tempi non sospetti. Il 25 agosto del ’60 veniva inaugurata la XVII Olimpiade
di Roma. Recentemente mi è capitato di rivedere in televisione il film “La grande Olimpiade”di Romolo Marcellini proprio di quell’anno. Per motivi indipendenti dalla mia volontà, per il semplice fatto di essere nato prima, ricordo perfettamente quella Roma, i colori della città e gli autobus verdi e neri. Una città che stava vivendo un grandissimo sviluppo urbano e urbanistico accanto ad una campagna che poi sarebbe stata aggredita dalla speculazione edilizia, da uno sviluppo esagerato e disordinato di una urbanizzazione non studiata. È giusto urbanizzare, non è che possiamo cristallizzare tutto, ma non è giusto buttare cemento armato di qua e di là come se niente fosse creando queste periferie dormitorio che sono veramente una cosa sulla quale riflettere. Rispondendo in maniera banale, mi sarebbe potuto venir in mente i miei studi, il Colosseo e così via. Invece penso alla Roma del 1960, che era ancora la Roma del dopoguerra e che da quel momento in poi diventerà un’altra cosa, la Roma che poi ha portato a quella del giorno d’oggi.
Quindi una data come segno di un passaggio?
Sì, io non credo alle date come segno di passaggio, ma in questo caso la data è il segno del cambiamento. Come anche il 476 d.C. quando Roma cade per la prima volta sotto i colpi dell’esercito invasore. I barbari, le popolazioni straniere, entrano a Roma e dal quel momento la città inizia una nuova vita.
E se le dico Italia, che cosa le viene in mente?
Pensando all’Italia non mi viene in mente niente di particolare fuorché tutto.
La conosco abbastanza bene e penso ad un aspetto un po’ più antico e nascosto. Penso a quando il nome stesso di questa nazione è stato una parola nella quale generazioni intere si sono riconosciute e, senza arrivare alla retorica di De Amicis, il tricolore era simbolo di unità. Credo, senza retorica appunto, ad un minimo di patriottismo. Pensando all’Italia mi viene in mente un’unica nazione con tutte le sue differenze -siamo unità tra differenze- che ha le Alpi come confine ed il mare come altro confine. Poi penso anche ad una forma di forte orgoglio nazionale, alla riscoperta delle nostre radici. Siamo italiani e siamo differenti dai francesi, dai tedeschi, dai nordafricani, dagli slavi. Siamo italiani e siamo abbastanza riconoscibili come ethos.
Domanda n. 5
Il vero viaggio di scoperta, non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.
Voltaire
Voltaire, padre dell’illuminismo. Mi riconosco perfettamente in tutto questo. Non avendo la passione di viaggiare, anzi, detestandolo, sono convinto che il viaggio si possa fare anche nel quartiere di fronte casa cambiando gli occhi. Il cambiamento siamo noi. Forse chi fa viaggi stupefacenti evidentemente non ha tranquillità interiore. Basterebbe immaginare di cambiare gli occhi che si scopre il bello anche a Passoscuro, una piccola località vicino Roma.
Ed infine una mia domanda per concludere il gioco.
Forma e sostanza: Lei ha scelto due domande racchiuse nei cerchi, due nei triangoli ed una nel quadrato; possiamo dire che nello scegliere una domanda piuttosto che un’altra c’è stata una piccola influenza sulla forma?
Quasi non c’ho prestato attenzione. Ho fatto caso ai tanti fogli di forma diversa sopra al tavolo ma non so se Voltaire sta sul rotondo o sul quadrato oppure Battiato sul triangolo. Nello scegliere, potendo leggere le domande, ho solo fatto caso alla sostanza.
“Il mezzo è il messaggio” diceva Marshall McLuhan
È possibile che nello studiare la storia siamo stati più suggestionati dalla “forma” esteriore (miti, eroi, battaglie) piuttosto che dalla sostanza storica degli avvenimenti accaduti?
Purtroppo la storia la fanno i vincitori. Da sempre.
Non la scrive chi ha perso e quindi, inevitabilmente chi scrive e fa la storia sono i vincitori.
Noi siamo tutti figli della storia scritta dai vincitori ed è chiaro che ne siamo anche influenzati.
Quando pensiamo per esempio a Napoleone Bonaparte pensiamo a chi ha scritto di Napoleone, pensiamo a quello che è stato detto e quindi creiamo quella che si chiama mitopoiesi, creiamo dentro di noi un mito. Dal greco μυθοποίησις, poie vuol dire “fare” e mithos è mito, quindi "creazione del mito". Noi creiamo un mito ed il più delle volte il mito non è realtà. La nostra operazione, in genere, anche nella vita quotidiana, dovrebbe essere quella di cercare di vedere qual è la sostanza reale delle cose, che cosa c’è dietro ad un fatto, una persona, un avvenimento. Capire dove si vuole andare a parare in sostanza. Credo sia questa la cosa più giusta.
Per quello che riguarda McLuhan, sulla questione che il mezzo possa diventare messaggio, sono state costruite intere biblioteche io però continuo a dire, che è il messaggio che governa e non il mezzo. Se si guarda il contorno, la cornice non sarà mai il quadro. È giusto che esista ma guardiamo il quadro. Ricordiamoci sempre che chi indica la luna con un dito, giusto un fesso guarda il dito e non la luna!
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Intervista,
Umberto Broccoli
mercoledì 11 agosto 2010
Laura Gioventù intervista Umberto Broccoli. Sfida alla Storia, 5 domande su 30 per capire se la storia cambierà.
Umberto Broccoli è autore di diversi programmi di approfondimento della Rai, collaboratore di diverse testate giornalistiche nazionali, conduttore televisivo italiano e conduttore radiofonico per Radiouno Rai. Da luglio 2008, Sovrintendente ai Beni culturali del Comune di Roma e Direttore del Dipartimento di Archeologia medievale.
Per la quinta estate consecutiva, torna a Fermo, dal 10 al 29 agosto, con le sue trasmissione storiche “Con parole mie” e “In Europa”. Dall’aula magna della facoltà dei Beni Culturali di Fermo, Broccoli racconterà insieme ai suoi ospiti, il Fermano nella cultura, nella musica e nelle tradizioni.
10 agosto 2010.
La telefonata alle cinque del pomeriggio mi conferma l’intervista per le 18. Non immaginavo mi ricevessero così subito tanto che me ne ero quasi dimenticata. Allora sposto un impegno precedente e mi precipito, come al solito, temendo di ritardare l’appuntamento, ma arrivo, come sempre, just in time!
Che cosa domandare al nostro intervistato? Sarà la sorte a deciderlo!
Sì, perché questa volta ho scelto di impostare la mia intervista in maniera del tutto insolita.
Faccio un gioco con Umberto Broccoli!
Ho trenta domande diverse ma anche simili, alcune originali, altre un po’ meno pertinenti, stampate su fogli di carta, ritagliate e piegate. Dalla busta di plastica le vuoto tutte sul tavolo, le mischio e le faccio estrarre a caso al mio intervistato. Solo 5 domande su 30 … ed ecco che cosa ne è uscito fuori!
PRIMA ESTRAZIONE
“…Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi
quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.” Certe Notti – Luciano Ligabue
Non mi azzarderei mai a darle del coglione ma..lei le ricorda quelle notti, quei locali o solo piazze, in cui era allegro, ingordo con il vizio di non smettere mai, oppure è sempre stato una persona, come si dice spesso, con la testa sulle spalle?
-No, non sono stato mai una persona con la testa sulle spalle nel senso tradizionale del termine. Certo, quando ero molto giovane, dai 14 ai 27 anni è stato un inferno per me, in senso positivo, certo, perché con il fatto che ero un atleta comunque sia, avevo una vita abbastanza movimentata. Certo, non bevo, non fumo e non faccio altro. Non assumo sostanze stupefacenti però, effettivamente, tirar tardi, gli amici, il mare insomma nella vita non mi sono mai risparmiato!-
Ed ora?
-Ora è un po’ diverso, ho 56 anni, faccio sempre tardi con il tipo di impegni che ho. Le notti sono sempre sfrenate ma in un altro senso. Amo il legame con la notte, perché di notte si scrive, di notte si pensa. E quei mondi, che oramai sono abbastanza lontani, li riassumo con la fantasia nel senso che di notte produco quello che poi va in onda, più o meno, e poi scrivo. Sostanzialmente, scrivo. Per cui, se vogliamo la liaison esiste sempre, il legame esiste sempre perché c’era una fantasia materiale da toccarsi allora, quando ero ragazzo, e adesso c’è lo stesso tipo di fantasia però evidentemente incanalata in un onirico che poi diventa qualcos’altro. -
SECONDA ESTRAZIONE.
Cartografare è la passione per l’arabesco letterario da elaborare in un labirinto geografico oppure la semplice perdita di orizzonti mentre cerchiamo, come tanti Ulisse nella tempesta, la nostra Itaca interiore?
-Ho risposto un attimo fa. In realtà è questo: pensare e scrivere, anche se negli ultimi vent’anni è diventato un mestiere, sostanzialmente significa andare a riprendere delle cose nei cassetti più profondi della tua memoria e metterli in un ordine che sia ascoltabile, cioè che possano comunque interessare. Anche perché poi, alla fine, i cassetti della nostra memoria sono simili a tutte le latitudini, a tutte le età, a tutte le circostanze, a quelli degli altri. E quindi è facile, da questo punto di vista, andare a riprendere certe cose che possano poi servire per costruirci qualcos’altro … un grande psicologo tedesco che si chiama Carl Gustav Jung parlava di archetipi, gli archetipi Junghiani. Ma spieghiamo anche che cosa vuol dire. Significa che in ognuno di noi c’è un qualche cosa che è simile ad ogn’uno di noi. Quindi magari andando a ripescare un’esperienza antica, provando a cucire intorno delle sensazioni provate allora, andando a riscoprire cose che avevo scritto quando avevo vent’anni, inevitabilmente si parla a quegli archetipi Junghiani perché quelle stesse cose le ha vissute qualcun altro nello stesso identico momento e nella stessa identica situazione, quindi in realtà è un raccontare noi stessi per gli altri. -
La gente ha voglia di identificarsi …
-Sì, la gente cerca l’identificazione e credo che alla fine, senza io essere mai stato modello di nessuno, in realtà cerca anche dei modelli. Ma questo non perché adesso ne manchino, da sempre! L’uomo è sempre stato in crisi. L’uomo vive continuamente momenti di crisi. Crisi vuol dire cambiamento e gli anni sono sempre anni critici, quindi anni di cambiamento. Di fatto, raccontare delle cose accadute anche nel micro cosmo di noi stessi vuol dire parlare comunque a quei noi stessi che sono di fronte a noi e altrove.-
TERZA ESTRAZIONE.
Come vive Lei la sua sera, impegnato com’ è tra l’incarico di sovraintendente ai Beni Culturali di Roma e la radio, è all’ insegna della produzione ulteriore di responsabilità, oppure è impostata sullo “staccare la spina” per fare cose che gratificano l’ uomo? Come si diverte Umberto Broccoli?
-Facendo quello che faccio. Le passioni le ho sempre avute, da ragazzo avevo la pallavolo e quella mi assorbiva moltissimo, adesso la mia vita pubblica si identifica molto con quella privata. Io non sono un personaggio, sono una persona, da sempre, sia in radio che in televisione. Non rappresento nulla. Faccio la mia vita e trovo un grosso piacere nel realizzare le cose che faccio, sia quelle che svolgo dagli ultimi due anni come sovraintendente al comune di Roma, ma soprattutto per questa fase radiofonica creativa. Poi magari mi stufo pure, però in realtà la spinta iniziale è già il mio divertimento, è già il mio trastullo, la mia evasione, la mia emozione. Se provo un’emozione facendo una cosa, inevitabilmente questa verrà percepita anche da chi mi sta ascoltando e questo mi basta e mi avanza. Non ho bisogno di altro tipo di stimoli ed emozioni. E poi io non stacco la spina, ce l’ho sempre attaccata oppure ce l’ho sempre staccata. Non credo che esista una dimensione per cui si dice “adesso io non faccio più niente”. Poi, forse questo sì, da quando sono nati questi canali satellitari, mi incuriosisce il mondo della televisione. Mi ha sempre incuriosito molto. Perché anche quando facevo la trasmissione per la tv “Tele sogni”, io non la guardavo. In realtà parlavo di televisione senza guardarla! Invece adesso mi diverte andare a vedere trasmissioni e filmati di repertorio, cose antiche, riproposte in questi canali, ma è sempre un interesse collaterale al lavoro che faccio … -
QUARTA ESTRAZIONE.
“ D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Italo Calvino
Fermo a quale domanda potrebbe essere la risposta?
E Roma, la sua città?
-Secondo me in tutti i nostri luoghi cerchiamo sempre noi stessi. Il paragone che mi viene immediato è quando andiamo in Cina e diciamo “ma questo assomiglia tanto a Torino”e si cerca sempre un punto di somiglianza, oppure quello che troviamo è completamente difforme e vedi una città completamente distante da Torino. Noi abbiamo sempre un porto da cui partiamo e inevitabilmente nella città dove andiamo portiamo noi stessi. Non sono io ma è Jacques Prévert, un poeta francese, che diceva che non siamo noi, ma è l’occhio che guarda male, quindi bisognerebbe, citando tra l’altro una frase del Vangelo, cambiare l’occhio.
A Fermo ci sono arrivato per caso, poi è stato un momento, nel 2005, dove avevo messo a frutto tutta una serie di fantasie che poi sono diventate spettacolo proprio qui! Quindi, inevitabilmente, la dimensione del sogno è legata a Fermo e la dimensione di una storia che non si è interrotta è legata a Fermo, che cosa c’è di meglio? Un sogno e una storia che vivi continuamente ogni volta che ci ritorni. Questa città, Fermo, potrebbe essere proprio la quinta essenza del bene.
Roma invece è la mia radice, è il porto da cui parto. Parlare di Roma è fin troppo semplice e banale. C’è una definizione di Ennio Flaiano, che è meravigliosa! Roma, diceva, è come un grande minestrone con tanti ingredienti e non ti devi fare troppe domande. Devi infilare il cucchiaio, tirare su e mangiare. Questo è Roma!-
QUINTA ESTRAZIONE.
La nostra Regione ha molte bellezze nascoste che lentamente gli altri stanno scoprendo, nella Provincia di Fermo secondo lei quale sarà la sorpresa paesaggistico-culturale che presto avrà la giusta consacrazione nazionale, la bellezza delle “Rolling Hills” oppure un paesino scoperto per puro caso, come avvenne per Capalbio in Maremma, solo perché qualche personaggio famoso lo nominerà nelle interviste? Lei che nome farebbe?
-Mi limiterei a Fermo. Perché tutti i paesi della Valle dell’Aso sono inflazionatissimi, e già, volendo, sono diventati tutti delle piccole Capalbio. È diventato molto “in” andare a Pedaso, oppure a Campofilone. Però, io prenderei Fermo come punto di riferimento perché c’è questo uso del mattone che ci richiama alle costruzioni ancestrali. All’inizio sembra duro. Vedere il paesaggio di Fermo da lontano sembra quasi aggressivo, questo mattone arcigno che ti guarda da lontano, la cattedrale che sembra incombere, pare un rapace che si è fermato sulla collina. In realtà poi entri dentro e trovi il colore rosso che ti avvolge. Il colore rosso che ti fa sembrare tutto quanto naturale. Quindi io direi senz’altro Fermo. E poi diffiderei largamente delle mode. Io a Capalbio sono andato una volta e non certamente per vedere la città e quando le cose diventano di moda è quello il momento di fuggire via rapidamente.-
Che cosa contengono le altre 25 domande? Lo scopriremo solo … intervistando …. se il nostro caro Umberto vorrà giocare ancora con me!
Di Laura Gioventù
Pubblicato su seratiamo.it seratiamo.it
Per la quinta estate consecutiva, torna a Fermo, dal 10 al 29 agosto, con le sue trasmissione storiche “Con parole mie” e “In Europa”. Dall’aula magna della facoltà dei Beni Culturali di Fermo, Broccoli racconterà insieme ai suoi ospiti, il Fermano nella cultura, nella musica e nelle tradizioni.
10 agosto 2010.
La telefonata alle cinque del pomeriggio mi conferma l’intervista per le 18. Non immaginavo mi ricevessero così subito tanto che me ne ero quasi dimenticata. Allora sposto un impegno precedente e mi precipito, come al solito, temendo di ritardare l’appuntamento, ma arrivo, come sempre, just in time!
Che cosa domandare al nostro intervistato? Sarà la sorte a deciderlo!
Sì, perché questa volta ho scelto di impostare la mia intervista in maniera del tutto insolita.
Faccio un gioco con Umberto Broccoli!
Ho trenta domande diverse ma anche simili, alcune originali, altre un po’ meno pertinenti, stampate su fogli di carta, ritagliate e piegate. Dalla busta di plastica le vuoto tutte sul tavolo, le mischio e le faccio estrarre a caso al mio intervistato. Solo 5 domande su 30 … ed ecco che cosa ne è uscito fuori!
PRIMA ESTRAZIONE
“…Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi
quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.” Certe Notti – Luciano Ligabue
Non mi azzarderei mai a darle del coglione ma..lei le ricorda quelle notti, quei locali o solo piazze, in cui era allegro, ingordo con il vizio di non smettere mai, oppure è sempre stato una persona, come si dice spesso, con la testa sulle spalle?
-No, non sono stato mai una persona con la testa sulle spalle nel senso tradizionale del termine. Certo, quando ero molto giovane, dai 14 ai 27 anni è stato un inferno per me, in senso positivo, certo, perché con il fatto che ero un atleta comunque sia, avevo una vita abbastanza movimentata. Certo, non bevo, non fumo e non faccio altro. Non assumo sostanze stupefacenti però, effettivamente, tirar tardi, gli amici, il mare insomma nella vita non mi sono mai risparmiato!-
Ed ora?
-Ora è un po’ diverso, ho 56 anni, faccio sempre tardi con il tipo di impegni che ho. Le notti sono sempre sfrenate ma in un altro senso. Amo il legame con la notte, perché di notte si scrive, di notte si pensa. E quei mondi, che oramai sono abbastanza lontani, li riassumo con la fantasia nel senso che di notte produco quello che poi va in onda, più o meno, e poi scrivo. Sostanzialmente, scrivo. Per cui, se vogliamo la liaison esiste sempre, il legame esiste sempre perché c’era una fantasia materiale da toccarsi allora, quando ero ragazzo, e adesso c’è lo stesso tipo di fantasia però evidentemente incanalata in un onirico che poi diventa qualcos’altro. -
SECONDA ESTRAZIONE.
Cartografare è la passione per l’arabesco letterario da elaborare in un labirinto geografico oppure la semplice perdita di orizzonti mentre cerchiamo, come tanti Ulisse nella tempesta, la nostra Itaca interiore?
-Ho risposto un attimo fa. In realtà è questo: pensare e scrivere, anche se negli ultimi vent’anni è diventato un mestiere, sostanzialmente significa andare a riprendere delle cose nei cassetti più profondi della tua memoria e metterli in un ordine che sia ascoltabile, cioè che possano comunque interessare. Anche perché poi, alla fine, i cassetti della nostra memoria sono simili a tutte le latitudini, a tutte le età, a tutte le circostanze, a quelli degli altri. E quindi è facile, da questo punto di vista, andare a riprendere certe cose che possano poi servire per costruirci qualcos’altro … un grande psicologo tedesco che si chiama Carl Gustav Jung parlava di archetipi, gli archetipi Junghiani. Ma spieghiamo anche che cosa vuol dire. Significa che in ognuno di noi c’è un qualche cosa che è simile ad ogn’uno di noi. Quindi magari andando a ripescare un’esperienza antica, provando a cucire intorno delle sensazioni provate allora, andando a riscoprire cose che avevo scritto quando avevo vent’anni, inevitabilmente si parla a quegli archetipi Junghiani perché quelle stesse cose le ha vissute qualcun altro nello stesso identico momento e nella stessa identica situazione, quindi in realtà è un raccontare noi stessi per gli altri. -
La gente ha voglia di identificarsi …
-Sì, la gente cerca l’identificazione e credo che alla fine, senza io essere mai stato modello di nessuno, in realtà cerca anche dei modelli. Ma questo non perché adesso ne manchino, da sempre! L’uomo è sempre stato in crisi. L’uomo vive continuamente momenti di crisi. Crisi vuol dire cambiamento e gli anni sono sempre anni critici, quindi anni di cambiamento. Di fatto, raccontare delle cose accadute anche nel micro cosmo di noi stessi vuol dire parlare comunque a quei noi stessi che sono di fronte a noi e altrove.-
TERZA ESTRAZIONE.
Come vive Lei la sua sera, impegnato com’ è tra l’incarico di sovraintendente ai Beni Culturali di Roma e la radio, è all’ insegna della produzione ulteriore di responsabilità, oppure è impostata sullo “staccare la spina” per fare cose che gratificano l’ uomo? Come si diverte Umberto Broccoli?
-Facendo quello che faccio. Le passioni le ho sempre avute, da ragazzo avevo la pallavolo e quella mi assorbiva moltissimo, adesso la mia vita pubblica si identifica molto con quella privata. Io non sono un personaggio, sono una persona, da sempre, sia in radio che in televisione. Non rappresento nulla. Faccio la mia vita e trovo un grosso piacere nel realizzare le cose che faccio, sia quelle che svolgo dagli ultimi due anni come sovraintendente al comune di Roma, ma soprattutto per questa fase radiofonica creativa. Poi magari mi stufo pure, però in realtà la spinta iniziale è già il mio divertimento, è già il mio trastullo, la mia evasione, la mia emozione. Se provo un’emozione facendo una cosa, inevitabilmente questa verrà percepita anche da chi mi sta ascoltando e questo mi basta e mi avanza. Non ho bisogno di altro tipo di stimoli ed emozioni. E poi io non stacco la spina, ce l’ho sempre attaccata oppure ce l’ho sempre staccata. Non credo che esista una dimensione per cui si dice “adesso io non faccio più niente”. Poi, forse questo sì, da quando sono nati questi canali satellitari, mi incuriosisce il mondo della televisione. Mi ha sempre incuriosito molto. Perché anche quando facevo la trasmissione per la tv “Tele sogni”, io non la guardavo. In realtà parlavo di televisione senza guardarla! Invece adesso mi diverte andare a vedere trasmissioni e filmati di repertorio, cose antiche, riproposte in questi canali, ma è sempre un interesse collaterale al lavoro che faccio … -
QUARTA ESTRAZIONE.
“ D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Italo Calvino
Fermo a quale domanda potrebbe essere la risposta?
E Roma, la sua città?
-Secondo me in tutti i nostri luoghi cerchiamo sempre noi stessi. Il paragone che mi viene immediato è quando andiamo in Cina e diciamo “ma questo assomiglia tanto a Torino”e si cerca sempre un punto di somiglianza, oppure quello che troviamo è completamente difforme e vedi una città completamente distante da Torino. Noi abbiamo sempre un porto da cui partiamo e inevitabilmente nella città dove andiamo portiamo noi stessi. Non sono io ma è Jacques Prévert, un poeta francese, che diceva che non siamo noi, ma è l’occhio che guarda male, quindi bisognerebbe, citando tra l’altro una frase del Vangelo, cambiare l’occhio.
A Fermo ci sono arrivato per caso, poi è stato un momento, nel 2005, dove avevo messo a frutto tutta una serie di fantasie che poi sono diventate spettacolo proprio qui! Quindi, inevitabilmente, la dimensione del sogno è legata a Fermo e la dimensione di una storia che non si è interrotta è legata a Fermo, che cosa c’è di meglio? Un sogno e una storia che vivi continuamente ogni volta che ci ritorni. Questa città, Fermo, potrebbe essere proprio la quinta essenza del bene.
Roma invece è la mia radice, è il porto da cui parto. Parlare di Roma è fin troppo semplice e banale. C’è una definizione di Ennio Flaiano, che è meravigliosa! Roma, diceva, è come un grande minestrone con tanti ingredienti e non ti devi fare troppe domande. Devi infilare il cucchiaio, tirare su e mangiare. Questo è Roma!-
QUINTA ESTRAZIONE.
La nostra Regione ha molte bellezze nascoste che lentamente gli altri stanno scoprendo, nella Provincia di Fermo secondo lei quale sarà la sorpresa paesaggistico-culturale che presto avrà la giusta consacrazione nazionale, la bellezza delle “Rolling Hills” oppure un paesino scoperto per puro caso, come avvenne per Capalbio in Maremma, solo perché qualche personaggio famoso lo nominerà nelle interviste? Lei che nome farebbe?
-Mi limiterei a Fermo. Perché tutti i paesi della Valle dell’Aso sono inflazionatissimi, e già, volendo, sono diventati tutti delle piccole Capalbio. È diventato molto “in” andare a Pedaso, oppure a Campofilone. Però, io prenderei Fermo come punto di riferimento perché c’è questo uso del mattone che ci richiama alle costruzioni ancestrali. All’inizio sembra duro. Vedere il paesaggio di Fermo da lontano sembra quasi aggressivo, questo mattone arcigno che ti guarda da lontano, la cattedrale che sembra incombere, pare un rapace che si è fermato sulla collina. In realtà poi entri dentro e trovi il colore rosso che ti avvolge. Il colore rosso che ti fa sembrare tutto quanto naturale. Quindi io direi senz’altro Fermo. E poi diffiderei largamente delle mode. Io a Capalbio sono andato una volta e non certamente per vedere la città e quando le cose diventano di moda è quello il momento di fuggire via rapidamente.-
Che cosa contengono le altre 25 domande? Lo scopriremo solo … intervistando …. se il nostro caro Umberto vorrà giocare ancora con me!
Di Laura Gioventù
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Umberto Broccoli
domenica 8 agosto 2010
CRONACHE CATANE
Cronache Catane,
ovvero, come cucirsi addosso un abito fuori misura.
di Laura Gioventù
Tra le tante proposte culturali (e di divertimento?) della nostra Provincia, vorrei riflettere sulla rassegna Sangiorgese di letteratura e musica dal titolo “Di Villa in Villa”,
ed in particolare sul secondo appuntamento che, causa tempo incerto, ha avuto luogo presso il teatro Comunale di Porto San Giorgio, per cui neppure nel luogo scelto si è rispettato il titolo della rassegna.
L’evento era incentrato sul tema:
Libri & libertà, importanza della lettura e dello studio per formare autonomamente la propria coscienza critica ed intellettuale. Titolo ambizioso e forse anche arrogante, e per meritarsi l’attenzione del pubblico si era pensato di presentare stralci di un testo del poeta Spagnolo Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936) tradotto dallo scrittore marchigiano Lucilio Santoni.
Oltre ai testi di Lorca sono stati letti in lingua originale ( Spagnolo ) alcune poesie di
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo
(Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986)
e di Pablo Neruda
(Parral, 12 luglio 1904 – Santiago, 23 settembre 1973).
A concludere il tutto, il concerto di chitarra classica di Christian Lavenier.
Adesso che abbiamo presentato la forma “Ufficiale” della proposta culturale, veniamo alla sua realizzazione pratica. Ma se vi aspettate la cronaca di una manifestazione intellettualmente onesta vi avviso subito che di “marchetta” si è trattato, ed anche di una delle peggiori riuscite.
“Marchetta” non è un film, qualcuno la vede come una commedia di insuccessi comunque andati in scena, altri ci vedono dentro la solita prepotenza dei potenti, fatto è che sempre di agevolazioni autorizzate si tratta ed in questo caso i fatti dicono che un Assessorato pubblico finanzia iniziative ad uso ed abuso del suo diretto responsabile, l’Assessore alla Cultura del comune di Porto San Giorgio, PSG per i vitelloni del posto.
L’intellettuale Catà Cesare, come direbbe Marcantonio “è uomo d’onore”, tanto d’onore che ha pensato bene di elargire contributi a se stesso in forma trina, autore, presentatore e commentatore, altro che malattia da protagonismo, qui siamo di fronte ad un caso di culto della im-personalità dirompente, persino i comunicati stampa recano la sua firma.
Costui sarebbe ben raffigurato con le parole …“El purtava i scarp de tennis”… come il protagonista della canzone di Enzo Jannaci e come una signora in preda alle “vampate” della menopausa per quanto si sia “sventagliato” con il libro della presentazione per buona parte della serata.
Tra il pubblico …. se non ricordo male …. c’erano gli assenti (ingiustificati?) e fra tutti il sindaco di PSG, Andrea Agostini che a fare le sue veci ha spedito la sua mamma, la Prof.ssa Fioretti, sempre elegantissima e soprattutto truccatissima!
Tra i presenti anche la Prof.ssa Nanda Anibaldi insieme ad Elisa Ravanese dell’Associazione Culturale Armonica-mente.
Assenti giustificatissimi invece i giovani, praticamente sconosciuti come fruitori di cultura dagli organizzatori, anzi … dall’Assessore, visto che ha fatto praticamente tutto da solo!
Sicuramente esiste una strategia precisa dell’Assessorato in merito alla partecipazione del pubblico agli eventi che propone, altrimenti non si spiegherebbe la scelta del luogo, del programma e del clima filosofico voluto. Il tutto aveva il sapore di invito con preghiera di non intervenire, originale come volontà culturale, molto originale.
I ragazzi di PSG avrebbero invece bisogno di stimoli forti per abbandonare gli chalet, grande fratello, facebook e la noiosa abitudine di perdere tempo fra una vasca e l’altra del lungomare.
Avrebbero bisogno di riconoscersi e di identificarsi per interessarsi e appassionarsi.
Magari se provassimo ad organizzare incontri sulle letterature per i giovani, con i valori per i giovani non sarebbe meglio?
Senza nulla togliere a Lorca & dintorni ma si potrebbero usare altri scrittori, con meno ragnatele sui loro libri e più fascino per i ragazzi …. sarebbe come pretendere che si appassionino al cinema mostrando loro Ladri di Biciclette e non Avatar … ad ognuno la sua cultura senza steccati, please.
E il nostro giovane Holden (l’Ass. Catà) non potrebbe cimentarsi tra un passo di Bukowski e una favola stile Italo Calvino, invece di riproporre le solite storie di gnomi ed elfi irlandesi?
Tuttavia, pur essendo un tema molto interessante, l’appuntamento non ha espresso moltissimo interesse neanche tra i presenti. Dietro me era seduta la signora Rottermaier che con le sue amiche non se la smetteva di fare commenti stile …. capisco tutto io …. quasi a voler suggerire le frasi al traduttore Lucilio Santoni, che durante l’intervista centellinava le parole con una lentezza da imbarazzanti silenzi.
Le care zie non hanno gradito nemmeno molto le letture in lingua spagnola.
A loro poco importava della musicalità del testo e reclamavano ad alta voce la traduzione letterale, magari in dialetto Marchigiano, come lo stesso Catà Cesare usa nelle sue commedie celebrate nel teatro comunale l’inverno scorso … altra forma di marchetta???
Le critiche sono salite allo zenit con l’esibizione del musicista.
Tecnicamente bravissimo ma solo per pochi intenditori. I brani conciliavano il sonno e c’è chi dopo la prima canzone si è alzato ed è andato via.
Dai commenti “Mi sto annoiando da morire” del secondo brano si è passati ad un ronzio fastidioso.
Non stavano russando ma “cubbanavano”. Il russo, lo saprete, non è più la lingua in voga e le russe stanno perdendo punti. Piacciono molto di più le ragazze del mar dei caraibi come la bellissima lettrice Clara Serrano Diaz. Che sembra sia, come l’edicolante della piazza mi ha detto stamane, la nuova fiamma del giovane Assessore.
L’Assessorato sangiorgese se la suona e se la canta!
Insomma, si è trattato della solita cosa fatta in casa come i “vincisgrassi”, eventi in odore di cultura per pochi eletti sponsorizzati da un assessorato minuscolo per punti di vista e respiro culturale che invece di allargare la base dei possibili fruitori, tende sempre di più a rinchiudersi in piccoli posti pur di celebrare il mito della Elitè culturale.
Un assessorato che non ha il coraggio di osare provocazioni culturali ma preferisce seguire la strade del certo, del tranquillo e del fantasy. L’appuntamento non è stato pensato in funzione del pubblico, e probabilmente l’ideatore non è in grado di affrontare una platea che possa criticarlo ed è stato più interessato a chi non c’era.
Tremiamo alla sola ipotesi di una nuova rassegna di questo livello, temiamo la si voglia chiamare … Di Condominio in Condominio …. aiutoooooooo.
ovvero, come cucirsi addosso un abito fuori misura.
di Laura Gioventù
Tra le tante proposte culturali (e di divertimento?) della nostra Provincia, vorrei riflettere sulla rassegna Sangiorgese di letteratura e musica dal titolo “Di Villa in Villa”,
ed in particolare sul secondo appuntamento che, causa tempo incerto, ha avuto luogo presso il teatro Comunale di Porto San Giorgio, per cui neppure nel luogo scelto si è rispettato il titolo della rassegna.
L’evento era incentrato sul tema:
Libri & libertà, importanza della lettura e dello studio per formare autonomamente la propria coscienza critica ed intellettuale. Titolo ambizioso e forse anche arrogante, e per meritarsi l’attenzione del pubblico si era pensato di presentare stralci di un testo del poeta Spagnolo Federico García Lorca (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936) tradotto dallo scrittore marchigiano Lucilio Santoni.
Oltre ai testi di Lorca sono stati letti in lingua originale ( Spagnolo ) alcune poesie di
Jorge Francisco Isidoro Luis Borges Acevedo
(Buenos Aires, 24 agosto 1899 – Ginevra, 14 giugno 1986)
e di Pablo Neruda
(Parral, 12 luglio 1904 – Santiago, 23 settembre 1973).
A concludere il tutto, il concerto di chitarra classica di Christian Lavenier.
Adesso che abbiamo presentato la forma “Ufficiale” della proposta culturale, veniamo alla sua realizzazione pratica. Ma se vi aspettate la cronaca di una manifestazione intellettualmente onesta vi avviso subito che di “marchetta” si è trattato, ed anche di una delle peggiori riuscite.
“Marchetta” non è un film, qualcuno la vede come una commedia di insuccessi comunque andati in scena, altri ci vedono dentro la solita prepotenza dei potenti, fatto è che sempre di agevolazioni autorizzate si tratta ed in questo caso i fatti dicono che un Assessorato pubblico finanzia iniziative ad uso ed abuso del suo diretto responsabile, l’Assessore alla Cultura del comune di Porto San Giorgio, PSG per i vitelloni del posto.
L’intellettuale Catà Cesare, come direbbe Marcantonio “è uomo d’onore”, tanto d’onore che ha pensato bene di elargire contributi a se stesso in forma trina, autore, presentatore e commentatore, altro che malattia da protagonismo, qui siamo di fronte ad un caso di culto della im-personalità dirompente, persino i comunicati stampa recano la sua firma.
Costui sarebbe ben raffigurato con le parole …“El purtava i scarp de tennis”… come il protagonista della canzone di Enzo Jannaci e come una signora in preda alle “vampate” della menopausa per quanto si sia “sventagliato” con il libro della presentazione per buona parte della serata.
Tra il pubblico …. se non ricordo male …. c’erano gli assenti (ingiustificati?) e fra tutti il sindaco di PSG, Andrea Agostini che a fare le sue veci ha spedito la sua mamma, la Prof.ssa Fioretti, sempre elegantissima e soprattutto truccatissima!
Tra i presenti anche la Prof.ssa Nanda Anibaldi insieme ad Elisa Ravanese dell’Associazione Culturale Armonica-mente.
Assenti giustificatissimi invece i giovani, praticamente sconosciuti come fruitori di cultura dagli organizzatori, anzi … dall’Assessore, visto che ha fatto praticamente tutto da solo!
Sicuramente esiste una strategia precisa dell’Assessorato in merito alla partecipazione del pubblico agli eventi che propone, altrimenti non si spiegherebbe la scelta del luogo, del programma e del clima filosofico voluto. Il tutto aveva il sapore di invito con preghiera di non intervenire, originale come volontà culturale, molto originale.
I ragazzi di PSG avrebbero invece bisogno di stimoli forti per abbandonare gli chalet, grande fratello, facebook e la noiosa abitudine di perdere tempo fra una vasca e l’altra del lungomare.
Avrebbero bisogno di riconoscersi e di identificarsi per interessarsi e appassionarsi.
Magari se provassimo ad organizzare incontri sulle letterature per i giovani, con i valori per i giovani non sarebbe meglio?
Senza nulla togliere a Lorca & dintorni ma si potrebbero usare altri scrittori, con meno ragnatele sui loro libri e più fascino per i ragazzi …. sarebbe come pretendere che si appassionino al cinema mostrando loro Ladri di Biciclette e non Avatar … ad ognuno la sua cultura senza steccati, please.
E il nostro giovane Holden (l’Ass. Catà) non potrebbe cimentarsi tra un passo di Bukowski e una favola stile Italo Calvino, invece di riproporre le solite storie di gnomi ed elfi irlandesi?
Tuttavia, pur essendo un tema molto interessante, l’appuntamento non ha espresso moltissimo interesse neanche tra i presenti. Dietro me era seduta la signora Rottermaier che con le sue amiche non se la smetteva di fare commenti stile …. capisco tutto io …. quasi a voler suggerire le frasi al traduttore Lucilio Santoni, che durante l’intervista centellinava le parole con una lentezza da imbarazzanti silenzi.
Le care zie non hanno gradito nemmeno molto le letture in lingua spagnola.
A loro poco importava della musicalità del testo e reclamavano ad alta voce la traduzione letterale, magari in dialetto Marchigiano, come lo stesso Catà Cesare usa nelle sue commedie celebrate nel teatro comunale l’inverno scorso … altra forma di marchetta???
Le critiche sono salite allo zenit con l’esibizione del musicista.
Tecnicamente bravissimo ma solo per pochi intenditori. I brani conciliavano il sonno e c’è chi dopo la prima canzone si è alzato ed è andato via.
Dai commenti “Mi sto annoiando da morire” del secondo brano si è passati ad un ronzio fastidioso.
Non stavano russando ma “cubbanavano”. Il russo, lo saprete, non è più la lingua in voga e le russe stanno perdendo punti. Piacciono molto di più le ragazze del mar dei caraibi come la bellissima lettrice Clara Serrano Diaz. Che sembra sia, come l’edicolante della piazza mi ha detto stamane, la nuova fiamma del giovane Assessore.
L’Assessorato sangiorgese se la suona e se la canta!
Insomma, si è trattato della solita cosa fatta in casa come i “vincisgrassi”, eventi in odore di cultura per pochi eletti sponsorizzati da un assessorato minuscolo per punti di vista e respiro culturale che invece di allargare la base dei possibili fruitori, tende sempre di più a rinchiudersi in piccoli posti pur di celebrare il mito della Elitè culturale.
Un assessorato che non ha il coraggio di osare provocazioni culturali ma preferisce seguire la strade del certo, del tranquillo e del fantasy. L’appuntamento non è stato pensato in funzione del pubblico, e probabilmente l’ideatore non è in grado di affrontare una platea che possa criticarlo ed è stato più interessato a chi non c’era.
Tremiamo alla sola ipotesi di una nuova rassegna di questo livello, temiamo la si voglia chiamare … Di Condominio in Condominio …. aiutoooooooo.
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Montegiorgio e le sue "Muse sotto le stelle"
“Muse sotto le stelle” di Laura Gioventù
“resta, resta cu' mme'
E allora resta, resta cu' mme'”
non solo resto, ma ritorno molto volentieri!
Sulle note della famosa canzone “Resta con me” di Pino Daniele ha avuto inizio, domenica sera, dopo una brevissima presentazione di Mario Liberati di Archeoclub Montegiorgio, “Muse sotto le stelle”. Uno spettacolo che in un’ora ha unito arte poesia e narrativa, combinando sapienti sonorità acustiche e soavi versi poetici.
Entrando nel Chiostro di Sant’Agostino a Montegiorgio, il rosso dei teli dietro il palco colpisce subito il mio sguardo. L’attenzione è rapita dalle candele ed i lumini accesi sparsi sui tavoli, dai quadri di Giuseppina Pasquali posizionati strategicamente tutt’intorno, e dalle stelle, ah, che belle le stelle! Ma non quelle del cielo, che magari c’erano pure, anche se non ci ho fatto caso. Mi perdonate? Io sto parlando di quelle confezionate con la carta stagnola (voto 8 per l’estro), che impreziosivano le tovaglie di carta dei tavolini. Guardando da lontano, per via della mia miopia, inizialmente non avevo compreso di che cosa si trattasse.
Come mi sono avvicinata ho capito: tutto è stato curato nei minimi dettagli!!!
Il pubblico - bello, elegante e di una certa età - ma non me ne vogliate, per la certa età, era già tutto sistemato ai propri posti ed in silenzio. Che strano! Gli spettatori saranno stati ipnotizzati dal palco oppure suggestionati dall’atmosfera monacale del luogo? (educazione voto 8)
Alle 22, puntuale, è questa volta pure io, è cominciato lo spettacolo.
Il racconto “Il mio primo volo da gabbiano”, interpretato dalla stessa autrice, la montegiorgese Antonella Folchi Vici, ha emozionato fino a farmi immedesimare nelle vicende ricordate. Bellissimo. (l’enfasi del racconto voto 9)
Le poesie di Cristina Del Bello, invece, sono state lette da Manuela Cosenza, e non dall’autrice. Hanno toccano temi importanti ed impegnativi tra i quali il viaggio, la zavorra, il tempo, il pozzo e il fondo, ma non sono riuscita a seguirle al meglio, forse per piccoli inconvenienti nell’audio e nella recitazione. Cara Cristina, perché la prossima volta non provi a leggerle tu stessa? (poesie voto 8)
Brava, molto brava anche la giovanissima Rebecca Liberati che, tra una lettura e l’altra, ha magistralmente interpretato i brani di “Resta con me” di Pino Daniele, “Oh che sarà” di Fiorella Mannoia e “La cura” di Franco Battiato. Davvero una bella voce. (Rebecca, voto 8)
Tutto si è concentrato in breve tempo. È bastato poco più di un’ora per emozionarsi senza annoiarsi. Una serata per “la cura” dell’anima e dello spirito.
Pensavate forse che per far bene le cose occorre necessariamente impiegare molto tempo? Assolutamente no. Almeno in questo caso lo spettacolo ha dimostrato l’esatto contrario.
Cosa, meglio della puntualità e dell’ottima organizzazione potrebbe riuscire ad attirare l’attenzione del pubblico sempre più spesso disinteressato e annoiato?
Il cibo! Ma certo, perché la degustazione finale di vini (delle cantine Dezi di Servigliano), formaggi e dolci (della pasticceria Ilari) alla fine ha messo, come sempre, tutti d’accordo. Interessati e non!
Come mio marito, per esempio, che prima se ne è andato altrove lasciandomi da sola, ma poi di fronte al vassoio pieno di formaggi, non voleva più venir via. (alla superficialità degli uomini voto 4, ai dolci, i miei preferiti, voto 8)
“I montegiorgesi sono bravissimi a fare le cose, ma sono ugualmente bravi a disperderle.”
Con questa considerazione di chiusura, Mario Liberati ha ringraziato e salutato i presenti intervenuti con la speranza di ripetere e diffondere anche altrove questo tipo di appuntamenti!
Ed io invece chiudo riportando alcuni versi della canzone “Oh Che Sarà” di Fiorella Mannoia (2004) solo perché non ho i testi delle bellissime poesie!
“Ah che sarà che sarà che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste e nelle parole che accende candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza quel che non ha ragione ne mai ce l'avrà
quel che non ha rimedio ne mai ce l'avrà quel che non ha misura.”
26/07/2010
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CRONACHE FERMANE - Taranta & tarantola. Pizzica & pizzicotto. Di Laura Gioventù
taranta : tarantola = pizzica : pizzicotto
che si legge
taranta sta a tarantola come pizzica sta a pizzicotto
Equazione algebrica oppure funzione matematica?
Non lo so, faccio sempre una gran confusione. Purtroppo durante l’ora di matematica studiavo diritto e ripassavo economia aziendale. E mica ero scema, il Prof. di mate, non faccio il nome per rispetto, era tutto concentrato a scrivere gli articoli per “Il Resto del Carlino”, ed io, secondo te, che dovevo fare? Girarmi i pollici? Infatti so tutto su assegni in bianco, cambiali protestate, ratei e risconti!
Ma oggi è un altro giorno, guardiamo avanti e torniamo a me.
La “taranta”, detta anche “pizzica”, è una danza popolare della Puglia centro-meridionale e della Basilicata. Oggi forse solo Salentina. (tipo di ballo, voto 7)
E stavo pensando, sarà perché gli prude il sedere per il troppo peperoncino che mangiano i pugliesi, oppure per il fastidio procurato dal morso del ragno, che hanno inventato questo ballo? (ragni pericolosi voto 2, che paura!)
Buona la seconda, perché è il pepe la spezia che crea questo tipo di disturbi, non certo il peperoncino! (peperoncino, voto troppo pizzicoso) . Per maggiori informazioni vedi su wikipedia, altrimenti perdo il filo del discorso. (enciclopedia libera, ma non troppo, voto 7)
Insomma, stavo dicendo che nel mese di luglio, per tre venerdì consecutivi, lo scrivo se per caso sei uno di quelli che ancora non lo sapeva, in Piazza del Popolo a Fermo, si sono svolti concerti con musiche e balli folcloristici Salentini.
Vorrei spendere una riflessione sul successo di pubblico ma non di critica - perché quella la faccio io - proprio su tale manifestazione.
I miei genitori, classe 1942 e 1951, lo so che non è carino dire l’età, ma l’eccezione conferma la regola, nonostante escano poco, si sono divertiti molto e l’hanno trovata una bella iniziativa. (divertimento dei miei voto 8)
Mi hanno raccontato che il centro storico si è animato, la musica è stata travolgente ed ha coinvolto il pubblico. Iniziativa ben riuscita, hanno detto! E questo mi sembra molto positivo. (la città che vive voto 7)
La curiosità è femmina, e per la proprietà transitiva è pure di Laura. Volevo esserci anche io. Ma, nonostante i miei buoni propositi e tra una cosa e l’altra, non ce l’ho fatta.
Tuttavia, non sono così presuntuosa da raccontare l’evento per interposte impressioni, ci mancherebbe pure, ma una riflessione sorge spontanea. Perché per far vivere il centro storico di Fermo abbiamo bisogno della tarantella o della pizzica pugliese, invece che del nostro “salterello”? Il nostro tipico ballo popolare non avrebbe riscosso altrettanto successo? (6 politico per il saltarello)
Perché la “tarantella” fa più “fico” del “salterello”?
La questione, secondo me, è che ci vergogniamo. Ma di che cosa?
Il salterello ha una forte connotazione contadina e purtroppo noi, al contrario dei Salentini, ancora ci vergogniamo per la “presenza” storica nelle Marche dell’agricoltura.
Il senso di umiltà, di umiliazione del contadino ce lo portiamo dietro tutti quanti. La mezzadria, il riconoscere l’autorità degli altri. Va considerato anche che per secoli questa Regione è stata uno stato pontificio e tutte queste condizioni hanno lavorato alla base del marchigiano. (provare vergogna per le proprie origini voto 2)
“La tarantella racconta un popolo e una terra. Racconta la storia, i costumi, i luoghi, l’essenza e la radice profonda.”
Possiamo dire la stessa cosa per il nostro “salterello”?
Non abbiano nulla di valido da proporre o da inventare in alternativa? Dobbiamo sempre importare dagli altri?
E se è vero, come è vero, che non abbiamo nulla da invidiare a nessuno, come mai le amministrazioni scelgono tradizioni non nostre per fare spettacolo?
Svegliamoci con un pizzicotto e smettiamola di vergognarci!
Prendiamo coscienza, acquistiamo consapevolezza, tiriamo fuori il coraggio. Meglio prima che mai.
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CRONACHE FERMANE
Non siamo più dei “provinciali”, anche noi facciamo le “marchette”.
Punti di vista e punti ciechi di Laura Gioventù
La crisi della calzatura ma anche del cappello, attività manifatturiere prevalenti sulle quali si regge l’intera l’economia del Fermano, insieme alla difficile situazione economica nazionale, fanno preoccupare le famiglie, alle prese con i conti della fine del mese, i giovani, alla ricerca disperata di un posto di lavoro che non c’è, ma anche economisti e professori universitari che filosofeggiano su ricerche di mercato e piani strategici di rilancio e politici, sensibili solo alla ricerca costante di voti. (giovani preoccupati voto 10)
Per cui in alternativa c’è il gusto di parlare di “Distretto Culturale”, di sviluppo turistico del Territorio attraverso la valorizzazione e il potenziamento dell’offerta culturale, delle strutture ricettive e delle possibilità di divertimento.
Allora mi chiedo come sia possibile far diventare attraente, per un visitatore, il nostro territorio sia dal punto di vista turistico sia culturale se mancano programmi coordinati, una organizzazione seria e professionale ed un’adeguata comunicazione promozionale???
Purtroppo mi trovo costretta a dover riconoscere, con rammarico e grande tristezza, che è improbabile se non addirittura impossibile che ci si possa far conoscere se nemmeno siamo capaci di presentarci adeguatamente a noi stessi!
Abbiamo una grande potenzialità che però non sappiamo sfruttare e sviluppare.
Come tutti sottolineano con grande orgoglio Marchigiano,
“Abbiamo a disposizione un meraviglioso paesaggio, abbiamo la fortuna di avere le montagne più belle d’ Italia - i Monti Sibillini - e una spiaggia incantevole ed attraente come quella adriatica, il tutto a una distanza davvero minimale: il che rende il nostro territorio un caso preziosamente unico. Non abbiamo nulla da invidiare agli altri.” (Monti Sibillini voto 8)
Ma ne siamo proprio sicuri? Grandi discorsi in pompa magna e da riempirsi la bocca, ma poi nei fatti, la realtà qual è?
L’offerta ci sarebbe ma è troppo disordinata, poco promossa, scarsamente pubblicizzata e comunque non coordinata, per cui è come non ci fosse.
Ci sono momenti in cui gli appuntamenti si accavallano e altri giorni in cui non c’è nulla.
Manca un programma unitario di iniziative culturali al di sopra delle singole realtà locali. Un nuovo metodo di lavoro che la nuova Provincia di Fermo dovrebbe sviluppare se vuole dimostrarsi davvero “nuova”.
Martedì 20 luglio 2010, per esempio, ero indecisa nello scegliere tra la lettura di alcune poesie della mia ex professoressa di italiano delle superiori, Nanda Anibaldi,(voto 9 di stima) che con la sua verve da “Son Fumino, se non lo dico mi sento male” sa sempre essere accattivante e travolgente, oppure andare alla serata di apertura del cinema all’aperto di Porto San Giorgio (FM).
Per entrambe le iniziative ho travato solamente due articoli online pubblicati da Media Comunicazione sul sito “Infomazione.tv”.
Il 16 luglio 2010 era comparso un articolo proprio sull’inaugurazione di Cinemagnolie 2010 che “avrebbe” dovuto avere come ospite speciale l’attore Giorgio Pasotti. Andando a rileggere l’articolo mi sono accorta che, nonostante la dettagliata biografia della carriera dell’attore, l’autore (voto 4) ha tralasciato una piccola ma importante informazione: l’ora di inizio. Un dettaglio non di poco conto.
Come capita di frequente, gli eventi culturali si sono accavallati anche con quelli famigliari, per altro a volte pure un po’ noiosi.
Sta di fatto che, pur essendo stata invitata da mia suocera in occasione del suo compleanno, appena cenato mi sono alzata in fretta e furia senza poter neppure assaggiare il dolce, per andare alla presentazione cinematografica, curiosa di assistere all’intervista del Dott. Adolfo Leoni. (voto 6)
Mi presento, come al solito, “just in time” e al momento dell’acquisto del biglietto prendo anche la piccola brochure con il programma però, con mio grande stupore, mi accorgo immediatamente che, non solo non verrà trasmesso il film “Baciami ancora” come era stato previsto, ma di Pasotti nemmeno l’ombra. (Pasotti, voto 8 per la bellezza)
Sul palco viene presentato Andrea Montovoli, attore a me sconosciuto, come anche ai più presenti in platea, coprotagonista insieme a Raul Bova (voto 9) nel film “Scusa ma ti voglio sposare”.
Si è trattata, forse, di una tecnica commerciale, quella di dare un nome famoso in pasto al pubblico, per attirare l’attenzione e richiamare spettatori? Il dubbio ci sta tutto visto che l’arena è stata sistemata dalla società Multi Movie, la stessa che il prossimo novembre avvierà il Multiplex di Campiglione di Fermo e che probabilmente ha bisogno di farsi conoscere, ma principalmente di far conoscere al pubblico la prossima apertura commerciale!
Come mai lo stesso sito internet “Informazione.tv” (voto 5) non ha comunicato il cambio di programma?
Forse una variazione improvvisa, di cui però non è stato fatto il minimo cenno al pubblico presente pensando probabilmente che i giornali e le notizie non le legga “quasi” più nessuno, tutti distratti dalla grande discussione “Motodromo sì, motodromo no”. (voto entro i limiti di velocità)
Forse un cambiamento inaspettato pure per lo stesso presentatore Leoni che, alla domanda su come avessero reagito i genitori dell’attore nell’apprendere la volontà del figlio di intraprendere la carriera cinematografica, scopre, con costernazione più nostra che sua, che Andrea Montovoli (voto 7 di stima) è orfano di padre dall’età di 12 anni. Tutto fortunatamente passa inosservato con grande eleganza.
La parola poi passa al Sindaco della città, Andrea Agostini, (voto 4) che ha tenuto a sottolineare l’inizio di “interessanti” rapporti di collaborazione con la società Molti Movie sia per il nuovo allestimento dell’arena, sia per la programmazione invernale di cinema d’essai e cinema per scolaresche a Porto San Giorgio (FM).
E non si è capito se intenderanno riaprire il vecchio cinema Sangiorgese oppure creare una nuova sede. Collaborazioni di cui non si conoscono seguiti e costi per l’amministrazione cittadina, e sottolineiamo costi e non guadagni, perché sembra una eresia dire che con una politica culturale attenta e precisa si potrebbero anche guadagnare dei soldi. Stranamente ci riescono i privati ma mai le amministrazioni comunali. Che strano, vero?
Un cambio di programma non avvertito, un pessimo inizio ed un film, “Baciami ancora”, che non compare nemmeno sul programma. Solo un’occasione ben studiata ma male eseguita di pubblicità per la Multi Movie: una chiara operazione di “marchetta”, venuta pure male! (Marchetta mal riuscita voto 2)
Questo non è sicuramente l’unico episodio negativo.
Si fa sempre un gran parlare di giovani, di cultura e di arte.
Domenica 18 luglio 2010 mi sono trovata a Fermo, spinta dalla curiosità e dal mio orgoglio Fermano, davanti ad una scena desolante. Mi sono recata in centro storico per vedere una collettiva di arte moderna di giovani talenti locali in mostra a Piazzale Azzolino in occasione della prima edizione di “Fermento Festival” (voto zero).
L’arte moderna è considerata effimera e, da queste parti, riceve poco interesse. La tristezza è stata grande quando, arrivata là, non c’era praticamente nessuno.
Come si può pensare di “fare cultura” se le organizzatrici stesse della mostra hanno disertato e degli artisti nemmeno l’ombra?
La mostra iniziava, come da programma alle 19 e pur essendo solo le 20 di una domenica di piena estate, il pubblico, dov’era? Gli artisti vanno presentati e intervistati, le opere, moderne e quindi di libera interpretazione andrebbero spiegate. Quantomeno per evitare la passiva e insignificante fruizione di un’arte che così presentata è solo un inutile “perder tempo”. Ed invece niente di niente. Le opere stavano là, appese sulle grate di quei pannelli, solitarie ed abbandonate a loro stesse.
Le giovani generazioni rivendicano spazio e occasioni di lavoro, ci si auto elegge o ci si celebra come artisti e organizzatori di eventi quando a mancare è proprio la professionalità.
Ci si improvvisa senza essere dei professionisti; quantomeno dovremmo cercare di essere professionali!
Non vorrei fare di tutta un’erba un fascio perché poi ci sono delle manifestazioni che funzionano bene come, per citarne una recente, il recital “Love of my life” messo in piedi da Ortomagico Musical (Voto 7). Uno spettacolo di prima classe che comunque la stampa locale non ha evidenziato nella giusta maniera.
Tuttavia, anche in questa occasione, ci sono stati disguidi nella prenotazione dei posti. La vendita dei biglietti è stata affidata anche a una tabaccheria Sangiorgese ma, arrivata all’ingresso di Villa Vitali, pur avendo prenotato il giorno precedente per un posto numerato in platea, mi sono vista assegnare un posto non numerato sulle gradinate. Altro esempio, questo, di poca professionalità nella gestione e nell’organizzazione dello spettacolo. Uno spiacevole inconveniente che non si sarebbe verificato se non ci si improvvisasse in lavori che non sono di propria competenza.
Ha ragione il Prof. Evio Ermas Ercoli, (voto 8 per la competenza) autore, promotore e provocatore di eventi culturali, che in una recente intervista, parlando degli sbocchi lavorativi che le manifestazioni culturali possono offrire ai giovani del territorio, ha dichiarato:
“…in una situazione come quella che abbiamo vissuto di tuttoingioco c’era coinvolto dallo 0,1% al 3% dell’occupazione giovanile e questo è il massimo che può esprimere un appuntamento del genere o altre situazioni. Secondo me siamo al minimo perché non abbiamo obblighi, impegni e relazioni sul territorio. Io credo che questi appuntamenti possano essere la vera sponda di quest’occupazione e si parla di un settore che va dagli istituti tecnici professionali fino agli uffici stampa ecc. Quale futuro c’è di occupazione nel settore degli eventi, nei settori degli appuntamenti culturali? Si può fare economia in questo settore? Si può rispondere in tantissimi modi: da una parte bisognerebbe avere la certezza degli investimenti, dall’altra ci vuole un minimo di professionalità nella risposta. Siccome le due cose non entrano sempre in sintonia, io investo, però non mi fido di te e tu non esisti per me, alla fine non ci si incrocia. Questa è la questione. Quindi io alla fine faccio occupazione per gli esterni, per i NON marchigiani, per quelli che sono fuori dal giro, mentre quelli che rimangono nel giro si occupano delle Pro Loco, della festa di campanile e non riescono ad entrare in questo tipo di sistema. Non so se mi sono spiegato …”
Occorre un minimo di professionalità nella risposta, altrimenti non si va da nessuna parte e trasformare la vocazione di questo territorio resterà sempre una pura utopia! (utopia voto 10…i sogni sono gratis ma sempre ben pagati!)
Pubblicato su...
http://www.seratiamo.it/serate/soft-13/cronache-fermane-43/redazionale/
Punti di vista e punti ciechi di Laura Gioventù
La crisi della calzatura ma anche del cappello, attività manifatturiere prevalenti sulle quali si regge l’intera l’economia del Fermano, insieme alla difficile situazione economica nazionale, fanno preoccupare le famiglie, alle prese con i conti della fine del mese, i giovani, alla ricerca disperata di un posto di lavoro che non c’è, ma anche economisti e professori universitari che filosofeggiano su ricerche di mercato e piani strategici di rilancio e politici, sensibili solo alla ricerca costante di voti. (giovani preoccupati voto 10)
Per cui in alternativa c’è il gusto di parlare di “Distretto Culturale”, di sviluppo turistico del Territorio attraverso la valorizzazione e il potenziamento dell’offerta culturale, delle strutture ricettive e delle possibilità di divertimento.
Allora mi chiedo come sia possibile far diventare attraente, per un visitatore, il nostro territorio sia dal punto di vista turistico sia culturale se mancano programmi coordinati, una organizzazione seria e professionale ed un’adeguata comunicazione promozionale???
Purtroppo mi trovo costretta a dover riconoscere, con rammarico e grande tristezza, che è improbabile se non addirittura impossibile che ci si possa far conoscere se nemmeno siamo capaci di presentarci adeguatamente a noi stessi!
Abbiamo una grande potenzialità che però non sappiamo sfruttare e sviluppare.
Come tutti sottolineano con grande orgoglio Marchigiano,
“Abbiamo a disposizione un meraviglioso paesaggio, abbiamo la fortuna di avere le montagne più belle d’ Italia - i Monti Sibillini - e una spiaggia incantevole ed attraente come quella adriatica, il tutto a una distanza davvero minimale: il che rende il nostro territorio un caso preziosamente unico. Non abbiamo nulla da invidiare agli altri.” (Monti Sibillini voto 8)
Ma ne siamo proprio sicuri? Grandi discorsi in pompa magna e da riempirsi la bocca, ma poi nei fatti, la realtà qual è?
L’offerta ci sarebbe ma è troppo disordinata, poco promossa, scarsamente pubblicizzata e comunque non coordinata, per cui è come non ci fosse.
Ci sono momenti in cui gli appuntamenti si accavallano e altri giorni in cui non c’è nulla.
Manca un programma unitario di iniziative culturali al di sopra delle singole realtà locali. Un nuovo metodo di lavoro che la nuova Provincia di Fermo dovrebbe sviluppare se vuole dimostrarsi davvero “nuova”.
Martedì 20 luglio 2010, per esempio, ero indecisa nello scegliere tra la lettura di alcune poesie della mia ex professoressa di italiano delle superiori, Nanda Anibaldi,(voto 9 di stima) che con la sua verve da “Son Fumino, se non lo dico mi sento male” sa sempre essere accattivante e travolgente, oppure andare alla serata di apertura del cinema all’aperto di Porto San Giorgio (FM).
Per entrambe le iniziative ho travato solamente due articoli online pubblicati da Media Comunicazione sul sito “Infomazione.tv”.
Il 16 luglio 2010 era comparso un articolo proprio sull’inaugurazione di Cinemagnolie 2010 che “avrebbe” dovuto avere come ospite speciale l’attore Giorgio Pasotti. Andando a rileggere l’articolo mi sono accorta che, nonostante la dettagliata biografia della carriera dell’attore, l’autore (voto 4) ha tralasciato una piccola ma importante informazione: l’ora di inizio. Un dettaglio non di poco conto.
Come capita di frequente, gli eventi culturali si sono accavallati anche con quelli famigliari, per altro a volte pure un po’ noiosi.
Sta di fatto che, pur essendo stata invitata da mia suocera in occasione del suo compleanno, appena cenato mi sono alzata in fretta e furia senza poter neppure assaggiare il dolce, per andare alla presentazione cinematografica, curiosa di assistere all’intervista del Dott. Adolfo Leoni. (voto 6)
Mi presento, come al solito, “just in time” e al momento dell’acquisto del biglietto prendo anche la piccola brochure con il programma però, con mio grande stupore, mi accorgo immediatamente che, non solo non verrà trasmesso il film “Baciami ancora” come era stato previsto, ma di Pasotti nemmeno l’ombra. (Pasotti, voto 8 per la bellezza)
Sul palco viene presentato Andrea Montovoli, attore a me sconosciuto, come anche ai più presenti in platea, coprotagonista insieme a Raul Bova (voto 9) nel film “Scusa ma ti voglio sposare”.
Si è trattata, forse, di una tecnica commerciale, quella di dare un nome famoso in pasto al pubblico, per attirare l’attenzione e richiamare spettatori? Il dubbio ci sta tutto visto che l’arena è stata sistemata dalla società Multi Movie, la stessa che il prossimo novembre avvierà il Multiplex di Campiglione di Fermo e che probabilmente ha bisogno di farsi conoscere, ma principalmente di far conoscere al pubblico la prossima apertura commerciale!
Come mai lo stesso sito internet “Informazione.tv” (voto 5) non ha comunicato il cambio di programma?
Forse una variazione improvvisa, di cui però non è stato fatto il minimo cenno al pubblico presente pensando probabilmente che i giornali e le notizie non le legga “quasi” più nessuno, tutti distratti dalla grande discussione “Motodromo sì, motodromo no”. (voto entro i limiti di velocità)
Forse un cambiamento inaspettato pure per lo stesso presentatore Leoni che, alla domanda su come avessero reagito i genitori dell’attore nell’apprendere la volontà del figlio di intraprendere la carriera cinematografica, scopre, con costernazione più nostra che sua, che Andrea Montovoli (voto 7 di stima) è orfano di padre dall’età di 12 anni. Tutto fortunatamente passa inosservato con grande eleganza.
La parola poi passa al Sindaco della città, Andrea Agostini, (voto 4) che ha tenuto a sottolineare l’inizio di “interessanti” rapporti di collaborazione con la società Molti Movie sia per il nuovo allestimento dell’arena, sia per la programmazione invernale di cinema d’essai e cinema per scolaresche a Porto San Giorgio (FM).
E non si è capito se intenderanno riaprire il vecchio cinema Sangiorgese oppure creare una nuova sede. Collaborazioni di cui non si conoscono seguiti e costi per l’amministrazione cittadina, e sottolineiamo costi e non guadagni, perché sembra una eresia dire che con una politica culturale attenta e precisa si potrebbero anche guadagnare dei soldi. Stranamente ci riescono i privati ma mai le amministrazioni comunali. Che strano, vero?
Un cambio di programma non avvertito, un pessimo inizio ed un film, “Baciami ancora”, che non compare nemmeno sul programma. Solo un’occasione ben studiata ma male eseguita di pubblicità per la Multi Movie: una chiara operazione di “marchetta”, venuta pure male! (Marchetta mal riuscita voto 2)
Questo non è sicuramente l’unico episodio negativo.
Si fa sempre un gran parlare di giovani, di cultura e di arte.
Domenica 18 luglio 2010 mi sono trovata a Fermo, spinta dalla curiosità e dal mio orgoglio Fermano, davanti ad una scena desolante. Mi sono recata in centro storico per vedere una collettiva di arte moderna di giovani talenti locali in mostra a Piazzale Azzolino in occasione della prima edizione di “Fermento Festival” (voto zero).
L’arte moderna è considerata effimera e, da queste parti, riceve poco interesse. La tristezza è stata grande quando, arrivata là, non c’era praticamente nessuno.
Come si può pensare di “fare cultura” se le organizzatrici stesse della mostra hanno disertato e degli artisti nemmeno l’ombra?
La mostra iniziava, come da programma alle 19 e pur essendo solo le 20 di una domenica di piena estate, il pubblico, dov’era? Gli artisti vanno presentati e intervistati, le opere, moderne e quindi di libera interpretazione andrebbero spiegate. Quantomeno per evitare la passiva e insignificante fruizione di un’arte che così presentata è solo un inutile “perder tempo”. Ed invece niente di niente. Le opere stavano là, appese sulle grate di quei pannelli, solitarie ed abbandonate a loro stesse.
Le giovani generazioni rivendicano spazio e occasioni di lavoro, ci si auto elegge o ci si celebra come artisti e organizzatori di eventi quando a mancare è proprio la professionalità.
Ci si improvvisa senza essere dei professionisti; quantomeno dovremmo cercare di essere professionali!
Non vorrei fare di tutta un’erba un fascio perché poi ci sono delle manifestazioni che funzionano bene come, per citarne una recente, il recital “Love of my life” messo in piedi da Ortomagico Musical (Voto 7). Uno spettacolo di prima classe che comunque la stampa locale non ha evidenziato nella giusta maniera.
Tuttavia, anche in questa occasione, ci sono stati disguidi nella prenotazione dei posti. La vendita dei biglietti è stata affidata anche a una tabaccheria Sangiorgese ma, arrivata all’ingresso di Villa Vitali, pur avendo prenotato il giorno precedente per un posto numerato in platea, mi sono vista assegnare un posto non numerato sulle gradinate. Altro esempio, questo, di poca professionalità nella gestione e nell’organizzazione dello spettacolo. Uno spiacevole inconveniente che non si sarebbe verificato se non ci si improvvisasse in lavori che non sono di propria competenza.
Ha ragione il Prof. Evio Ermas Ercoli, (voto 8 per la competenza) autore, promotore e provocatore di eventi culturali, che in una recente intervista, parlando degli sbocchi lavorativi che le manifestazioni culturali possono offrire ai giovani del territorio, ha dichiarato:
“…in una situazione come quella che abbiamo vissuto di tuttoingioco c’era coinvolto dallo 0,1% al 3% dell’occupazione giovanile e questo è il massimo che può esprimere un appuntamento del genere o altre situazioni. Secondo me siamo al minimo perché non abbiamo obblighi, impegni e relazioni sul territorio. Io credo che questi appuntamenti possano essere la vera sponda di quest’occupazione e si parla di un settore che va dagli istituti tecnici professionali fino agli uffici stampa ecc. Quale futuro c’è di occupazione nel settore degli eventi, nei settori degli appuntamenti culturali? Si può fare economia in questo settore? Si può rispondere in tantissimi modi: da una parte bisognerebbe avere la certezza degli investimenti, dall’altra ci vuole un minimo di professionalità nella risposta. Siccome le due cose non entrano sempre in sintonia, io investo, però non mi fido di te e tu non esisti per me, alla fine non ci si incrocia. Questa è la questione. Quindi io alla fine faccio occupazione per gli esterni, per i NON marchigiani, per quelli che sono fuori dal giro, mentre quelli che rimangono nel giro si occupano delle Pro Loco, della festa di campanile e non riescono ad entrare in questo tipo di sistema. Non so se mi sono spiegato …”
Occorre un minimo di professionalità nella risposta, altrimenti non si va da nessuna parte e trasformare la vocazione di questo territorio resterà sempre una pura utopia! (utopia voto 10…i sogni sono gratis ma sempre ben pagati!)
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"I Giorni di Azzolino"
Grottazzolina (FM), dal 31 luglio al 4 agosto 2010
Consolidato appuntamento nel calendario marchigiano delle rievocazioni storiche, "I Giorni di Azzolino" è l’evento di punta della città di Grottazzolina (FM).
La rievocazione storica del 1200 si svolge, come ogni anno, a partire dal primo fine settimana di Agosto, nell´antico Castello Estense e celebra la figura storica di Azzo VII, Marchese d'Este e della Marca Anconetana. Il potente Signore di Ferrara al quale Grottazzolina deve l'attuale denominazione.
Durante i giorni di festa a Grottazzolina (FM), anche attraverso una rigorosa ricostruzione scenografica, per quattro giorni si torna a respirare un´atmosfera alto medievale: corteggi, giochi popolari, tornei di arco storico, mercanti di antichi manufatti, botteghe di mestieri ormai perduti, giostre equestri. E come ogni anno, giocolieri, affabulatori, menestrelli e mangiafuoco faranno da cornice alla rievocazione, che raggiunge il culmine ne “la Giostra del Monaco", unica giostra equestre con uso di mazza ferrata.
Momenti magici del programma sono la battaglia per conquistare il Castello e il Battesimo di Grottazzolina, eventi di rara suggestione che richiamano ogni anno una moltitudine di turisti colti ed entusiasti.
Caratteristiche anche le cene medievali itineranti; predisposte in diversi ambienti cittadini, permettono ai visitatori di conoscere ed apprezzare tutti gli angoli della città vecchia.
PROGRAMMA
SABATO 31 LUGLIO - “NOTTE DELLA BATTAGLIA – CHE CAMBIERA’ LA STORIA”
Ore 19:00 Apertura Taverne per le Cene Medievali Itineranti e del Mercato Medievale “I Mercanti delle Terre Estensi”
Ore 22.00 Rievocazione Storica I Giorni di Azzolino
1° evento
Suggestivo Corteo in notturna
Ore 22.40 “La Cabala e il Bagatto” spettacolo a cura della Contrada San Giacomo di Ferrara
Ore 23.00 “Focoleria” spettacolo di arte del Fuoco presentato dal Gruppo Este Medievale di Este
Ore 23.30 “La Caduta di Ezelino da Romano” formidabile ricostruzione della battaglia di Cassano d’Adda (1259) a cura del Circo in Bottiglia e della Compagnia Arcieri di Azzolino
Dalle Ore 21.30 Visita insolita alle Chiese di Grottazzolina
Lezione di Storia dell’Arte a cura della Dott.ssa Francesca Coltrinari
DOMENICA 01 AGOSTO - “NOTTE DEL BATTESIMO e DELLA GIOSTRA”
Ore 11.00 presso la Chiesa del Santissimo Sacramento di Grottazzolina
Santa Messa
Benedizione dei Confaloni delle Città dell’Aquila Bianca
Offerta del Globo e della Spada Spezzata
Ore 19:00 Apertura Taverne per le Cene Medievali Itineranti e del Mercato Medievale “I Mercanti delle Terre Estensi”
Ore 21.00 Finale della sfida di Arco Storico tra le città di dell’Aquila Bianca (Este – Ferrara – Grottazzolina)
Ore 22.00 Rievocazione Storica I Giorni di Azzolino
2° evento
Il Battesimo di Grottazzolina
Straordinaria ricostruzione del passaggio dalla Criptae Canonicorum a Gruptae Azzolini
Ore 23.00 “La Giostra del Monaco” Sfida equestre con mazza ferrata tra le città dell’Aquila Bianca del Consorzio “Terre e Castelli Estensi” (Este, Ferrara, Grottazzolina)
Proclamazione del Paladino Estense 2010
Dalle Ore 21.30 Visita insolita alle Chiese di Grottazzolina
Lezione di Storia dell’Arte a cura del Prof. Domenico Pupilli
LUNEDI 2 AGOSTO - “AZZOLINO STREET”
Ore 19:00 Apertura Taverne per le Cene Medievali Itineranti e del Mercato Medievale “I Mercanti delle Terre Estensi”
Ore 22.00 “AZZOLINO STREET”
La notte dedicata agli artisti di Veregra Street – dal Veregrantour
Spettacoli di artisti di strada internazionali
Il meglio delle esibizioni di Fuoco – Il Gruppo più famoso del Messico
Il meglio delle esibizioni di equilibrismo – 2 artisti in sospensione contemporaneamente
Il meglio del trasformismo su trampoli
SERATA INDIMENTICABILE
Ore 00.00 Historica, rassegna di cinema storico, proiezione del fil “Robin Hood” Prof. Giulio Brillarelli
MARTEDI’ 3 AGOSTO - “LA GRANDE NOTTE CELTICA”
Ore 19:00 Apertura Taverne per le Cene Medievali Itineranti e del Mercato Medievale “I Mercanti delle Terre Estensi”
Ore 21.00 NOTTE CELTICA – Travolgente festa fino all’alba
Ore 22.00 “THE OLD WAYS” in CONCERTO
Ore 23.00 Straordinario Corteo Druido con accensione del Fuoco Sacro Propiziatorio (Piazza Alta del Castello)
Ore 23.30 “MORNING STAR” in CONCERTO
Ore 01.00 Al termine del concerto “in incipit” dei Morning Star, per tutti i “nottambuli”, nella magica cornice di Piazza Castello, proiezione del film “Il Nome della Rosa”
Per maggiori informazioni:
"ENTE RIEVOCAZIONI STORICHE I GIORNI DI AZZOLINO"
Piazza Umberto I, snc - Tel. 348.7267302 - Fax 0734.639413
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DOSSIER Parte I
Mecenatismo e sponsorizzazione promozionale di eventi o rassegne.
di Laura Gioventù
Per lungo tempo, l’investimento culturale in Italia, è stato percepito esclusivamente come una sorta di mecenatismo, e, perlopiù, come fenomeno isolato nel quadro dell’attività generale del soggetto stesso che decide di “finanziare l’arte” per propria passione individuale/personale (come un qualsiasi fruitore del prodotto artistico) senza l’obiettivo di ottenere specifici rendimenti individuali, movente principale delle sponsorizzazioni culturali.
Tuttavia l’investimento culturale, sia sotto forma di mecenatismo sia di sponsorizzazione, ha prodotto risultati utili per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali agendo in un’ottica di servizio alla cultura e all’arte e svolge un ruolo costruttivo e significativo per la valorizzazione di una risorsa unica del nostro Paese.
Modifiche a situazioni strutturali, quali i mutamenti del panorama socio-economico verificatisi nel corso degli anni, e situazioni contingenti, quali le sempre più pressanti esigenze di tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico italiano, hanno fatto sì che interessi d’imprese private, organizzazioni culturali, Enti e Pubblica amministrazione confluissero verso una direzione condivisa.
Sulla base di queste considerazioni abbiamo condotto un’indagine sul rapporto fra Mecenatismo Culturale e sponsorizzazione promozionale di eventi o rassegne, intervistando alcuni soggetti direttamente interessati, Banche e Fondazioni, circa il loro intervento in future iniziative sia per il settore culturale sia per ciò che riguarda il comparto del divertimento e dell'intrattenimento turistico-spettacolare in genere.
Ne segue uno spaccato molto interessante che evidenzia come il settore culturale sia autentico collettore naturale di politiche di sponsorizzazioni per l’innumerevole serie di manifestazioni, eventi e attività che quotidianamente investono il patrimonio culturale italiano.
In un successivo dossier pubblicheremo le considerazioni di alcuni Enti Pubblici e associazioni culturali sul rilievo strategico che le sponsorizzazioni rivestono soprattutto nel settore culturale offrendo uno strumento integrativo, se non addirittura sostitutivo, dei finanziamenti pubblici e sulla loro capacità di creare sinergie e condivisioni tra pubblico e privato.
Di seguito vi proponiamo le domane seguite dalle risposte fornite da:
BANCA POPOLARE DI ANCONA per voce del Direttore Generale Dott. Luciano Goffi;
FONDAZIONE CARIMA per voce del Direttore Generale Dott. Renzo Borroni;
BANCA DELLE MARCHE per voce del Presidente Prof. Avv. Michele Ambrosini;
CASSA DI RISPARMIO DI FERMO per voce dell’Amministratore Delegato Dott. Alessandro Cohn.
Per facilitare la lettura, ogni risposta sarà preceduta da una sigla che identifica lo specifico ente. Quindi avremmo:
Banca Popolare di Ancora = B.P.Ancona
Fondazione Carima = F.Carima
Banca Marche = B.Marche
Cassa di Fermo = Carifermo
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I DOMANDA
Nel 1923 dall’incontro fra Giovanni Gentile, allora ministro dell’istruzione, e Giovanni Treccani nasce l’idea di una enciclopedia universale … cosa per altro realizzata e con il successo che noi tutti conosciamo, esempio di lungimiranza culturale finanziata dallo Stato.
È possibile, ai nostri tempi, che si possa ricreare una situazione similare ma con le banche private o le Fondazioni al posto dello Stato, oppure l’indispensabile “ritorno” preclude ogni possibile lungimiranza?
Magari non una enciclopedia, ma una presenza maggiormente “culturale” nella nostra Regione, che abbia tempi lunghi e non duri solo per alcune edizioni.
B.P.Ancona
Non credo sia venuto meno, in assoluto, lo spirito del mecenatismo e quindi quella proiezione verso il territorio e la società civile che anima spesso le istituzioni private le quali, traendo proprio dal territorio il proprio valore economico, decidono di riversarne una parte a vantaggio della crescita sociale e culturale del contesto in cui sono radicate. Quello che forse è cambiato rispetto al passato è che probabilmente non c’è più il “mecenate” in assoluto, capace di grandi impegni economici, quanto piuttosto una pluralità di soggetti che – compatibilmente con le proprie congiunture – intervengono per entità singolarmente di norma non particolarmente rilevanti o determinanti. Ma come in molti altri campi, l’unione fa la forza e la buona volontà di molti può consentire di realizzare grandi progetti.
F.Carima
La risposta alla domanda è che un’iniziativa di questo genere sarebbe auspicabile, ma difficilmente realizzabile per un motivo semplicissimo: intanto in una regione come le Marche le fondazioni bancarie sono otto e completamente diverse l’una dall’altra, soprattutto in termini di dimensioni e di possibilità reddituali, quindi anche di possibilità di investimento. In realtà sono solo due o tre le fondazioni marchigiane che potrebbero supportare un progetto di questa natura. Un’iniziativa che comunque avrebbe come presupposto fondamentale una quantità di denaro e un tipo di impegno che non credo che le fondazioni, per come sono rappresentate in questa regione, possano avere. Un progetto di questo genere, che pure potrebbe essere una bellissima ed importante iniziativa, ha come premessa un grado di coordinamento delle fondazioni assai considerevole e determinante e soprattutto una volontà di investire una somma rilevante di denaro: tutti elementi che non vedo presenti in questo momento nelle nostre fondazioni.
B.Marche
Reputo che la risposta possa essere senz’altro positiva, anche se nel momento in cui facciamo riferimento a banche che nascono da vecchie Casse di Risparmio, sappiamo che i soci di riferimento di queste banche sono normalmente le fondazioni cui istituzionalmente è demandato il compito di svolgere un’operazione prettamente culturale, un’attività per la sponsorizzazione artistica ai fini di garantire una ricaduta culturale e assistenziale sul territorio di appartenenza. Ciò non toglie che alcune banche, in questo caso io mi sono fatto promotore presso Banca Marche, vogliano essere delle banche “aperte” a quelle che sono le plurime esigenze culturali e artistiche del nostro territorio oltre a quelle assistenziali. Alcune banche, particolarmente sensibili, possono decidere di intervenire anche in settori sociali, sopperendo, insieme con il volontariato e l’iniziativa privata, all’eventuale mancanza dello Stato. A tale proposito cito la Fondazione Roma e il libro Il terzo pilastro. Il non profit motore del nuovo welfare del Professor Emmamuele Emanuele che affronta nello specifico l’argomento “terzo settore”. Facendo riferimento prevalentemente alla situazione di Roma, ma rivolgendosi contestualmente a tutta la situazione nazionale, si mette in evidenza la necessità di demandare quote capitali sempre maggiori per lo sviluppo specifico di settori assistenziali e filantropici nei quali lo Stato, per burocrazia, per tempi e per mancanze di bilancio, non riesce a intervenire in maniera efficace ed efficiente.
Carifermo
Crediamo che l’indispensabile “ritorno” possa, anzi, debba essere accompagnato da una proficua lungimiranza. La Carifermo Spa, ad esempio, in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, lavora ogni anno ad un progetto editoriale che si conclude con la realizzazione del libro strenna natalizio. Non si tratta di un’opera prodotta da terzi e sulla quale la Banca mette semplicemente il proprio logo. Il progetto ha come obiettivo lo studio e l’approfondimento di tematiche, spesso di taglio artistico-culturale, da sviluppare o incomplete. Lavoriamo insieme all’editore sulla scelta dei contenuti, degli studiosi, sulle immagini. Negli anni abbiamo trattato grandi artisti del nostro territorio come Carlo Crivelli, Luigi Fontana, Vincenzo Pagani e, da ultimo, i Ricci.
La lungimiranza sta nel valorizzazione e far conoscere maggiormente il nostro territorio, evitando di proporre opere, forse più “semplici”, ma scontate. Il “ritorno” sta nell’utilizzare le pubblicazioni come dono per i nostri clienti in modo da non duplicare i costi.
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II DOMANDA
C’è da una parte il Mecenatismo e dall’altra la Sponsorizzazione, due metodi diversi per ottenere lo stesso risultato oppure la stessa filosofia per far partecipare il denaro al processo di produzione culturale e/o dello spettacolo in genere?
Spesso sentiamo parlare di investimenti culturali che le banche o le fondazioni operano a diversi livelli. È soltanto un sistema fiscale per abbattere i profitti oppure una oculata strategia aziendale che guida le banche/fonfazioni verso questo tipo di sovvenzioni?
Offrendosi come partner economico per la Cultura, le banche/fondazioni potrebbero condizionarne gli stile e spostare un certo mercato dell’Arte a favore di alcuni gruppi a discapito di altri?
B.P.Ancona
Lo spirito mecenatistico accompagna sempre le decisioni di destinare risorse a favore di iniziative di tipo culturale o sociale; non disgiunto certamente dalla ricerca di un ritorno, quasi mai di mera natura economica – peraltro assai difficilmente misurabile (si pensi ad esempio alla difficoltà di misurare se, avendo affiancato una determinata iniziativa, solo per questo siano stati acquisiti o meno nuovi clienti) – quanto piuttosto in termini di accrescimento dell’immagine, della reputazione, che per un istituto bancario rappresenta un valore di enorme importanza. Tenderei ad escludere qualsiasi motivazione di tipo fiscale, come pure mi sento di escludere qualsiasi rischio di “distorsione del mercato”. Intendo dire che ci può stare che, appoggiando un progetto piuttosto che un altro, un eventuale errore di valutazione di merito, potrebbe in astratto escludere e non far decollare progetti di valore; ma c’è da dire intanto che – proprio a motivo della limitatezza delle risorse disponibili – le decisioni di come allocarle risponde di solito a criteri di estrema attenzione; ed inoltre se un progetto è veramente valido se non ottiene il patrocinio del soggetto a cui per primo viene presentato, probabilmente può ottenerlo da altri più capaci magari di saperne leggere l’importanza.
F.Carima
Intanto questi quesiti sono, secondo me, quasi tutti tarati per le banche, indipendentemente dal fatto che usiamo il termine fondazione piuttosto che banca, perché le prime due parti di questa seconda domanda non si possono riferire alle fondazioni. Mi spiego subito: le fondazioni, per loro natura, non fanno né mecenatismo né sponsorizzazioni. Esse svolgono un ruolo previsto dalla legge e la loro è una partecipazione dovuta. Lo statuto prevede che gli utili, i margini, i risultati e i guadagni che le fondazioni riescono a mettere in piedi con la gestione del proprio patrimonio debbano essere per forza investiti nel territorio di propria competenza, in determinati settori. Una volta che la fondazione ha stabilito e scelto un ambito di intervento, che nel nostro caso è quello culturale, sebbene avremmo potuto anche non sceglierlo come fanno altre fondazioni ed a quel punto il problema non si sarebbe nemmeno posto, perché in tal caso istituzionalmente la fondazione avrebbe potuto non investire nemmeno un euro su quella voce, ma dal momento che ha scelto, tra i vari settori, quello della cultura, ecco che la fondazione non fa né mecenatismo né sponsorizzazione. Per noi è un dovere istituzionale investire o riversare, per meglio dire, il denaro proveniente dalla gestione del nostro patrimonio, quindi non saprei che dirle … ripeto, noi dobbiamo obbligatoriamente, per legge e per statuto, intervenire ed investire. Lo dobbiamo fare e basta e lo facciamo perché la fondazione è un’istituzione che di fatto persegue un’utilità collettiva. Nel nostro caso, poi, avendo scelto di intervenire, fra i vari settori, in quello della cultura, lo facciamo anche nel settore della cultura. Non è un sistema fiscale per abbattere i profitti, il nostro. E comunque, voglio precisare che dietro alla nostra attività erogativa c’è un’attenzione particolare nel cercare di indirizzare le erogazioni in campo culturale verso degli obiettivi che il nostro Consiglio di Amministrazione e i nostri organi istituzionali si sono dati. Una strategia di fondo c’è, anche se il tipo di attività erogativa che noi facciamo soggiace fatalmente, perché anche questo è un obiettivo della fondazione, alle richieste che provengono da tutto il territorio di riferimento. Richieste, queste, spesso estremamente differenziate e diversificate, che colpiscono una miriade di problematiche e che magari, a volte, ci danno la sensazione di non essere frutto di una visione organica. Ma è un dovere istituzionale della fondazione dare una risposta anche a richieste piccole e differenziate, perché comunque abbiamo un obbligo di risposta verso l’intera provincia formata da tante realtà completamente diverse fra loro. Se le fondazioni potrebbero condizionarne gli stili e spostare un certo mercato dell’arte? No, non credo che ci siano queste possibilità. Ma poi per mercato dell’arte che si intende? Il mercato dei quadri, delle sculture e delle mostre? Direi di no, se non fosse altro per la poca capacità di incidenza: non abbiamo una massa di denaro così imponente e determinante da riuscire ad indirizzare il mercato.
B.Marche
Mecenatismo e sponsorizzazione oggi sovente si confondono e diventano un po’ la medesima cosa, anche se hanno caratteristiche e finalità ovviamente diverse. Credo che le fondazioni siano più portate per un vero e proprio mecenatismo. Alcune volte le banche tendono maggiormente a fare delle sponsorizzazioni perché in qualche maniera si attendono un “ritorno” e, in ogni caso, entrambe le ipotesi rappresentano un modo per far partecipare il denaro a quella che è la produzione culturale e lo sviluppo intellettuale e formativo, indipendentemente dal “ritorno”. Certo, alcune volte, le banche che fanno investimenti culturali, forse potranno anche avere il beneficio di un ritorno fiscale, tuttavia mi sembra un caso molto limitato, e per quello che ne so io, noi, come Banca Marche, fino a questo momento, non lo abbiamo mai fatto. Quello che vogliamo fare è seguire un binomio cultura-economia che ci sembra un accostamento davvero interessante se si vuol classificare un istituto di credito come una banca “aperta” e quindi come una banca del territorio. Perché se noi interpretiamo il concetto di territorio come una comunità di destino, necessariamente, nella nostra Regione e presso le nostre popolazioni, non può venire meno l’aspetto artistico e l’aspetto culturale, che poi è l’espressione dello spirito dei nostri luoghi e, come sempre, così com’è nella nostra produzione, questa espressione è un’espressione di eccellenza. Basterebbe guardare un momento indietro, ma anche all’attualità, ai nostri artisti, alla nostra storia dell’arte per passare da Raffaello a Michelangelo al Pergolesi per arrivare a Giovanni Allevi. Mi scuso se dimentico altri nomi, che in questo momento non mi vengono alla mente, ma sicuramente abbiamo una storia culturale e artistica di grandissima eccellenza, basti pensare al secondo pittore di Urbino che dopo Raffaello è il Barocci per comprendere qual è la grandezza dei nostri territori. … potrebbero condizionarne lo stile e spostare un certo mercato dell’Arte? … Beh, dovremmo parlare di arte moderna. Noi, come Banca Marche stiamo cercando di utilizzare gli spazi aperti che abbiamo a disposizione nella nostra sede come una piccola galleria d’arte dove abbiamo esposto delle antiche Ceramiche di Casteldurante, abbiamo messo in mostra alcuni pezzi e oggetti già presenti presso il Metropolitan Museum di New York della collezione living del cristallo d’arte, mobili realizzati da un unico blocco di cristallo. Abbiamo anche intenzione di esporre alcuni pezzi della storia del design di Poltrona Frau, in maniera dilettantistica e segmentaria. Difatti non seguiamo un unico filone culturale e, per quel che mi riguarda, diventa molto difficile credere che si possa spostare il mercato d’arte attuale salvo che la banca non faccia grossissimi investimenti su alcune espressioni artistiche e di attualità. Credo che la vera finalità della banca sia di godere, insieme ai propri utenti, assieme ai propri soci e quindi assieme al proprio territorio di alcune opere d’arte che rappresentano, per davvero, la soddisfazione dell’anima e dello spirito. Non mi ricordo quale fosse questo grosso scrittore che diceva che “tutte le vie dello spirito partono dall’anima e difficilmente vi fanno ritorno” beh credo che una possibilità per far ritornare le vie dello spirito all’anima sia “gustare” un’opera d’arte!
Carifermo
Mecenatismo e Sponsorizzazione generano due partership estremamente differenti. La Sponsorizzazione ha come elemento distintivo l’identificabilità della fonte, il soggetto che sponsorizza ha come obiettivo quello di associare il proprio marchio all’oggetto della sponsorizzazione. Lo sponsor, nel valutare l’attività, stima il valore della sponsorizzazione anche per le “ricadute media” che essa può garantire.
Diverso è il Mecenatismo, più vicino al modus operandi delle Fondazioni, che non risponde a logiche di ritorno dal punto di vista dell’immagine o a vantaggi di tipo commerciale.
In Carifermo le Sponsorizzazioni fanno parte del piano di comunicazione. Rientrano in una programmazione annuale che segue obiettivi di promozione dell’immagine aziendale e di partnership con le iniziative che vengono ritenute più rilevanti nel nostro territorio di competenza.
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III DOMANDA
Spesso le Banche/Fondazioni, attraverso la sponsorizzazione, fanno confluire ingenti somme su eventi di interesse politico più che culturale, questa scelta è sentita come una costrizione per voi, oppure come una normale partecipazione nella prospettiva che l’evento stesso riesca a camminare con le sue proprie risorse ben oltre la dipendenza politica?
L’investimento culturale è sempre visto come un finanziamento che le fondazioni operano verso l’esterno, ma quando sono le fondazioni a chiedere partecipazioni o patrocini per le loro iniziative che tipo di risposta arriva dall’esterno e principalmente dai soggetti della politica?
B.P.Ancona
Ho difficoltà a dare una risposta a tale domanda, in quanto nella mia esperienza non ho in mente casi in cui la componente politica abbia avuto un rilievo. Un progetto deve creare di per sé valore nel contesto in cui si colloca, sia esso sociale o culturale o sportivo e solo sotto questa prospettiva deve essere valutato. Se poi gode anche del patrocinio di soggetti istituzionali che non ne inficino la coerenza, ben venga tale patrocinio. Alcune iniziative che ci vedono impegnati in qualità di project partner – penso ad esempio a Tipicità o a Musicultura – godono di questo patrocinio istituzionale, che non solo non è condizionante, ma anzi apportatore di collegamenti più stabili e solidi con la società civile.
F.Carima
Intanto la prima parte della domanda sicuramente ha un senso ed ha una logica anche se, secondo me, non si può riferire alla realtà della nostra provincia, ma non credo nemmeno alla realtà della nostra regione. È vero comunque che vedendo dei segnali e vedendo delle iniziative a livello nazionale si possano verificare situazioni di ingerenza: tra politica ed iniziative culturali si percepiscono a volte queste intromissioni. Ma non è, secondo me ripeto, il caso della realtà regionale delle Marche. Non credo proprio. E tanto meno non lo è per le fondazioni. Noi non facciamo iniziative per benevolenza nei confronti dell’interesse e del potere politico. Assolutissimamente no. Anzi, andiamo alla ricerca di una nostra autonomia, la ribadiamo con orgoglio e con convincimento. La verità è un’altra: è che le fondazioni sono state sempre viste, fin dalla loro costituzione, esclusivamente come erogatori di risorse e basta. Questo non solo dalle istituzioni politiche, ma da parte di tutti. Il territorio ha sempre visto le fondazioni come “bancomat”; bussi e prendi il denaro che ti serve per fare le iniziative. Questo è il campo in cui effettivamente il nostro Consiglio di Amministrazione e la nostra fondazione si sta muovendo negli ultimi anni: invertire questa situazione. Noi riteniamo che le fondazioni abbiano una loro indipendenza. Di fatto sono enti che hanno natura privatistica, ecco quindi che per noi le fondazioni devono potersi muovere sul proprio territorio con una loro capacità decisionale, con una loro visione, con una loro totale autonomia da queste ingerenze. Noi non le abbiamo, ma abbiamo riscontrato una mentalità che tende a vedere nella fondazione un partner che sia esclusivamente un erogatore, un partner supino alle richieste di terzi. Stiamo vedendo invece che, con tutta una serie di attività ed iniziative che abbiamo realizzato negli ultimi tempi e, se vogliamo, anche con la capacità dovuta alla personalità di chi più rappresenta l’ente, stiamo invertendo questa situazione e veniamo riconosciuti dal mondo che ci circonda, quindi anche dai politici, come enti e come partner che hanno la loro indipendenza e che hanno il loro peso per dire la propria su questi temi, visto che poi siamo quelli che effettivamente stanziano denaro. Proprio perché questi soggetti ci hanno sempre visto come distributori e quindi come possessori del denaro, meno che meno possiamo essere visti come coloro che possono ricevere denaro per le iniziative che fanno. Noi stiamo cercando di far capire, invece, che quando un ente come il nostro organizza un’iniziativa - sulla quale poi tutti possono dire la loro, se è fatta bene, fatta male, se è giusto o meno farla - che va a vantaggio del territorio, le fondazioni avrebbero titolo e diritto, come qualsiasi altro ente, di essere aiutati, sovvenzionati, supportati dagli amministratori e quindi anche dal mondo politico, se riscontra, il mondo politico, nell’attività e nel fare della fondazione, un agire giusto, logico e conveniente per il territorio. Però … questo magari arriverà molto molto lentamente, con il tempo, anche per le difficoltà oggettive che hanno attualmente tutte le amministrazioni pubbliche.
B.Marche
Non abbiamo mai, per quello che mi riguarda, nella storia di Banca Marche – ed io l’ho fondata nel 1994 - fatto confluire somme in eventi d’interesse politico, perché siamo sempre stati lontani dal prenderci un’etichetta politica. E’ un dato storico e oggettivo e questo può rappresentare un bene oppure un male, secondo l’ottica in cui si guardi quest’aspetto. Mentre alcune volte, e per quel che mi riguarda meno di un anno fa, abbiamo preso noi l’iniziativa su alcune manifestazioni di carattere artistico-culturale. Io sono stato promotore in una cena e durante un Consiglio di Amministrazione nel Palazzo Ducale di Urbino, della proposta di creare la prima mostra mondiale delle tre città ideali: quella di Urbino, di Baltimora e di Berlino. Proposta che è nata dal fatto che esse rappresentano il primo manifesto pittorico sull’urbanistica, in modo da dimostrare che l’urbanistica è nata con il rinascimento italiano e non alla fine del settecento in Scozia. Raffaello, Michelangelo e Leonardo, oltre ad essere stati dei pittori, sono stati architetti e soprattutto degli urbanisti; con la prospettiva è nata l’urbanistica. Tuttavia, indipendentemente da qualsiasi circostanza politica, credo che questo sia un evento di portata mondiale che ha una grossa valenza culturale. E’ evidente che quando sono le banche a prendere iniziative di questo genere devono cercare anche il supporto e il consenso delle forze politiche o dei rappresentanti degli enti locali. Diversamente certe manifestazioni non si potrebbero realizzare senza la fattiva collaborazione e la co-iniziativa. Senza la collaborazione della Sopraintendenza dei Beni Artistici e Architettonici delle Marche non si potrebbe realizzare una manifestazione di questo genere. Senza il patrocinio di alcuni musei non si potrebbe fare questo. Senza la presenza e il consenso di alcuni Enti locali quali il Comune di Urbino, la Regione Marche e quant’altro, eventi di questo genere non si potrebbero realizzare. Allora, qual è il rapporto? Beh, il rapporto è un rapporto di collaborazione tra quelli che noi chiamiamo vertici amministrativi del territorio, più che politici, e i vertici della banca. E’ ovvio che ci debba essere un interesse convergente e comune nel portare avanti manifestazioni di questo genere che io credo arricchiscano molto il territorio e non solo per quello che si diceva prima, perché è il territorio che in qualche maniera s’istruisce, e l’istruzione è sempre una forma di arricchimento, ma perché sopraggiunge anche un guadagno economico derivante dalla presenza turistica di tutti quelli che, in qualche maniera, vogliono condividere queste esperienze.
Carifermo
Non facciamo mai scelte di tipo politico. I nostri indicatori sono ritorno d’immagine, vantaggio commerciale, visibilità, coinvolgimento e territorio. Il resto non ci interessa.
Per la seconda parte della domanda, sosteniamo per intero le iniziative che realizziamo direttamente (una tra le più importanti è sicuramente la “Pagella d’Oro”). Tuttavia, al di là del finanziamento, non abbiamo mai avuto difficoltà con enti di natura pubblica o privata con i quali, negli anni, abbiamo instaurati rapporti di proficua collaborazione e stima.
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IV DOMANDA
Quando vi trovate di fronte ad un progetto culturale nuovo, sia per un finanziamento sia per una partecipazione maggiormente attiva da parte Vostra, quali sono i criteri di scelta che siete soliti adottare per la decisione finale?
Come si sviluppa l’investimento o la sponsorizzazione in merito agli eventi del puro divertimento, sono visti solo come una prassi sporadica oppure stanno aumentando in funzione del maggiore impatto con i possibili utenti futuri delle banche?
B.P.Ancona
Il nostro slogan che ci accompagna sempre è “sponsorizziamo i valori”, intendendo con ciò la volontà di essere al fianco solo di quelle iniziative che effettivamente possono arricchire il territorio, sotto il profilo culturale o della crescita sana dei giovani nello sport, o ancora della valorizzazione delle eccellenze che esistono sul territorio. Cerchiamo di evitare di disperdere a pioggia gli interventi, cerchiamo di favorire l’aggregazione, di superare i particolarismi, spingendo – per quanto possiamo fare – i soggetti di buona volontà che animano questa Regione a unire le forze e le intelligenze su pochi grandi progetti che abbiano al centro l’intero nostro territorio regionale. Da quanto detto credo si possa desumere che, salvo rarissime eccezioni, rifuggiamo dal sostenere iniziative che possano essere qualificate come di “puro divertimento”.
F.Carima
Qui bisogna distinguere fra le tipologie di richieste che arrivano. La maggior parte delle richieste sono richieste tout court di finanziamento per coprire delle spese che l’ente o il soggetto terzo che organizza deve affrontare. Ecco che ci chiedono denaro, ci chiedono un intervento economico semplicemente per supportare le spese che hanno già deciso di fare. Spesso quindi sono progetti di terzi che noi normalmente finanziamo tenendo conto di tanti elementi: uno di questi è quello che ho detto prima e che noi non possiamo non tenere abbondantemente in conto, cioè quello di cercare di riversare su tutto il nostro territorio di riferimento, che è la provincia di Macerata, le nostre disponibilità finanziarie. Molti vedono in questo tipo di atteggiamento un limite nella capacità erogativa della fondazione e soprattutto nell’identificazione della validità dei progetti che arrivano. Può anche esserci questo limite, che però risponde ad un’altra esigenza che la fondazione ha: quella di dare risposta al territorio anche quando la progettazione che sottostà alla richiesta non è il massimo della validità artistica, scientifica e della qualità. Anche se non è solo questo; noi tendiamo a dare sempre una risposta alle piccole realtà perché vogliamo che sull’intero territorio ci sia comunque una presenza della fondazione. Riteniamo, per fare un esempio, che sia molto difficile che un comune della nostra provincia posto ai limiti della fascia montana, di duecento abitanti, possa mettere in piedi un progetto culturale che abbia la stessa valenza di un progetto culturale che può essere messo in piedi da una città di cinquanta mila abitanti e che ha le proprie strutture, le proprie organizzazioni, i propri elementi di raccordo con altre istituzioni culturali. E’ difficile che un’iniziativa che nasce in un paese sperduto della nostra montagna possa competere con quelle di altri comuni più grandi, tuttavia, se non ci fosse la fondazione a supportare anche quell’iniziativa, che può sembrare marginale, che può essere distante da quei livelli di qualità a cui tendiamo, quell’ambito, quel territorio, quelle persone, quel piccolo comune, non avrebbe nemmeno la possibilità di fare una piccolissima pubblicazione, una piccolissima iniziativa culturale. Siamo insomma molto attenti all’intero territorio provinciale e alle esigenze delle fasce deboli della popolazione. Uno degli elementi di valutazione che ci sta particolarmente a cuore è la marginalità. Tutti quei paesi, tutte quelle zone, tutte quelle aree e quelle fasce di popolazione che sono penalizzate fatalmente dall’allocazione geografica, riteniamo debbano comunque essere, in qualche maniera, aiutate e supportate. In merito agli eventi del puro divertimento, la nostra fondazione ha come riferimento due grandi obiettivi, quello che ho già detto prima, l’attenzione al territorio e l’essere vicini alle parti più marginali, e l’altro, prioritario anch’esso, di offrire qualunque tipo di manifestazione culturale, artistica e di divertimento sempre gratuitamente a tutti. Perché cerchiamo di essere presenti, soprattutto in periodi come questo, di grande crisi economica e di grande difficoltà, in cui la fruizione della cultura è difficile da parte della gente ed è ciò che viene fatalmente tagliato fuori per primo.
Oltre alle richieste che provengono da terzi, abbiamo un nostro ambito di intervento diretto: identifichiamo delle iniziative da fare e tentiamo di realizzarle e di gestirle direttamente, come l’esperienza dello scorso anno di tuttoingioco e l’esperienza, oramai consolidata, di un’altra manifestazione come Herbaria, che quest’anno arriva alla quarta edizione. Quando siamo noi ad organizzare lo facciamo in maniera gratuita proprio, per rendere possibile a tutti di fruire delle cose che offriamo e, soprattutto, cerchiamo di realizzare un prodotto che, sì, contenga anche elementi di divertimento, ma che comunque sia sempre un prodotto di livello qualitativamente elevato. Nell’ambito di questi contenitori, che includono appunto elementi culturali, artistici e di divertimento, cerchiamo di offrire un ventaglio di iniziative variegate che hanno tutte un comune denominatore: sono tutte iniziative di un certo livello.
B.Marche
Inizierei a dare la risposta partendo dal secondo punto. Gli eventi di puro divertimento li interpretiamo come un qualcosa di sporadico, anche se, nel momento in cui alcuni di questi eventi, anche di puro divertimento, sono replicati, poi anche le stesse sponsorizzazioni sono una prassi e diventano ripetitive. È ovvio che ci si aspetti sempre un possibile ritorno da eventuali futuri utenti della banca. Poi ci sono sponsorizzazioni di tipo assistenziale, come le sovvenzioni erogate ad alcune strutture ospedaliere, per il finanziamento di alcuni macchinari come gli ecografi, oppure altri tipi d’interventi presso la Fondazione Salesi e l’ospedale Salesi di Ancona che, sostanzialmente, sono interventi che dovrebbero essere coperti dalla Fondazione della Cassa di Risparmio competente per territorio, e che nel caso di specie dovrebbe essere Verona; ma noi siamo la banca del territorio delle Marche e se Verona non interviene, noi, in qualche maniera, ci sentiamo portati a intervenire. Questa rappresenta solo l’appendice di tipo assistenziale rispetto alla domanda che invece aveva oggetto gli eventi di puro divertimento. … di fronte ad un progetto culturale nuovo come si muove la Banca? Noi crediamo che si sia passati, anche in economia, come nella storia, a una sovrapposizione di corsi e ricorsi storici. Siamo passati dalla società del prodotto alla società della conoscenza. Se siamo nella società della conoscenza, qualsiasi tipo d’iniziativa, anche economico-imprenditoriale, diventa progetto culturale. Perché un nuovo start-up d’impresa, se porta a un’innovazione di prodotto e di processo, è, in senso lato, un progetto culturale allargato. Pertanto, di fronte a questi progetti – si sente sempre dire … finanziate le idee, finanziate le persone, finanziate i progetti - ci poniamo con grande attenzione indipendentemente dalla legislazione internazionale sul credito che ci condiziona non poco, specialmente in una realtà di piccole e medie imprese come quella marchigiana. Siamo anche pronti a fare dei finanziamenti. Non a caso abbiamo proposto, rispetto a tutti i procedimenti d’innovazione, di raddoppiare tutti i fondi che fossero arrivati alla Regione Marche dalla Bay e della Cee. Abbiamo stanziato un plafond a sostegno delle imprese per quattrocento milioni di euro. Di questi, venti milioni sono destinati ai nuovi progetti di tipo culturale e innovativo. Stiamo cercando continuamente di mettere insieme gli spin-off universitari per fare nuova cultura nel settore dell’innovazione. Uno dei miei motti fondamentali è quello del “pensare globalmente operando territorialmente”. Se diciamo che siamo in un momento in cui vi è un passaggio dalla società del prodotto alla società della conoscenza, quindi alla società dell’immateriale, al mettere in rete tutti i nostri distretti manifatturieri, se diciamo che dobbiamo tendere verso l’innovazione pensando globalmente e operando territorialmente, uno dei progetti che io ho in animo, e su cui continuo a insistere è quello di creare il primo museo del design o dell’immateriale marchigiano. Come si può mettere in piedi questo museo? Attraverso un concorso internazionale di idee e progetti presso le principali facoltà di design del mondo da Londra a Stoccolma, a New York. I giovani che ci faranno pervenire i progetti, saranno poi chiamati, i prospetti saranno selezionati da una giuria internazionale composta di designer internazionali e di imprenditori locali in maniera da scegliere le quattro o cinque opere migliori e premiarle. Per poi procedere alla realizzazione dei prototipi e verificare, con i nostri imprenditori, la possibilità della messa in produzione. La verifica è determinata ovviamente dal costo. Proprio questi prototipi potrebbero costituire insieme a tutti i progetti, il primo nucleo del museo dell’immateriale e della conoscenza. Perché proprio il design? Perché il design suggella perfettamente il discorso della progettazione e della conoscenza con il discorso del manifatturiero, quindi del prodotto. Il punto d’incontro è tra il design internazionale che esprime il pensare globale e la realizzazione del prototipo e la messa in produzione che tratteggia l’operare territorialmente. Se riusciamo a realizzare questo progetto, tale manifestazione culturale avrà anche delle rilevanze artistiche perché non è detto che il design sia limitato a se stesso. Quando seguivo l’Università del Progetto di Reggio Emilia, questo tipo di discorso era un discorso di continua innovazione che poi l’innovazione non è detto che sia solo tecnologica. L’innovazione è anche lo sfruttamento commerciale delle idee migliori per risolvere i bisogni delle nostre popolazioni. Bisogni che cambiano continuamente. Se dovessimo rifarci alla filosofica marxista, ci dovremmo chiedere chi è più ricco, chi a più soldi oppure chi ha meno bisogni? La mia risposta è che è più ricca una società che soddisfa i bisogni evoluti attraverso programmi d’innovazione ecocompatibile. Anche lì ci vuole l’eticità di uno sviluppo ambientalmente compatibile.
Carifermo
Quelli che elencavo prima. Innanzitutto immagine e visibilità, poi la possibilità di essere partner attivi dell’iniziativa magari con operazioni di marketing, quindi il territorio. Cerchiamo, ove possibile, di legare il nostro marchio a quello delle principali manifestazioni o realtà.
Per l’investimento e la sponsorizzazione in merito agli eventi del puro divertimento, fermi restando i criteri descritti, non facciamo particolari distinzioni tra le varie tipologie di eventi.
Pubblicato su ... seratiamo.it
di Laura Gioventù
Per lungo tempo, l’investimento culturale in Italia, è stato percepito esclusivamente come una sorta di mecenatismo, e, perlopiù, come fenomeno isolato nel quadro dell’attività generale del soggetto stesso che decide di “finanziare l’arte” per propria passione individuale/personale (come un qualsiasi fruitore del prodotto artistico) senza l’obiettivo di ottenere specifici rendimenti individuali, movente principale delle sponsorizzazioni culturali.
Tuttavia l’investimento culturale, sia sotto forma di mecenatismo sia di sponsorizzazione, ha prodotto risultati utili per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali agendo in un’ottica di servizio alla cultura e all’arte e svolge un ruolo costruttivo e significativo per la valorizzazione di una risorsa unica del nostro Paese.
Modifiche a situazioni strutturali, quali i mutamenti del panorama socio-economico verificatisi nel corso degli anni, e situazioni contingenti, quali le sempre più pressanti esigenze di tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico italiano, hanno fatto sì che interessi d’imprese private, organizzazioni culturali, Enti e Pubblica amministrazione confluissero verso una direzione condivisa.
Sulla base di queste considerazioni abbiamo condotto un’indagine sul rapporto fra Mecenatismo Culturale e sponsorizzazione promozionale di eventi o rassegne, intervistando alcuni soggetti direttamente interessati, Banche e Fondazioni, circa il loro intervento in future iniziative sia per il settore culturale sia per ciò che riguarda il comparto del divertimento e dell'intrattenimento turistico-spettacolare in genere.
Ne segue uno spaccato molto interessante che evidenzia come il settore culturale sia autentico collettore naturale di politiche di sponsorizzazioni per l’innumerevole serie di manifestazioni, eventi e attività che quotidianamente investono il patrimonio culturale italiano.
In un successivo dossier pubblicheremo le considerazioni di alcuni Enti Pubblici e associazioni culturali sul rilievo strategico che le sponsorizzazioni rivestono soprattutto nel settore culturale offrendo uno strumento integrativo, se non addirittura sostitutivo, dei finanziamenti pubblici e sulla loro capacità di creare sinergie e condivisioni tra pubblico e privato.
Di seguito vi proponiamo le domane seguite dalle risposte fornite da:
BANCA POPOLARE DI ANCONA per voce del Direttore Generale Dott. Luciano Goffi;
FONDAZIONE CARIMA per voce del Direttore Generale Dott. Renzo Borroni;
BANCA DELLE MARCHE per voce del Presidente Prof. Avv. Michele Ambrosini;
CASSA DI RISPARMIO DI FERMO per voce dell’Amministratore Delegato Dott. Alessandro Cohn.
Per facilitare la lettura, ogni risposta sarà preceduta da una sigla che identifica lo specifico ente. Quindi avremmo:
Banca Popolare di Ancora = B.P.Ancona
Fondazione Carima = F.Carima
Banca Marche = B.Marche
Cassa di Fermo = Carifermo
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I DOMANDA
Nel 1923 dall’incontro fra Giovanni Gentile, allora ministro dell’istruzione, e Giovanni Treccani nasce l’idea di una enciclopedia universale … cosa per altro realizzata e con il successo che noi tutti conosciamo, esempio di lungimiranza culturale finanziata dallo Stato.
È possibile, ai nostri tempi, che si possa ricreare una situazione similare ma con le banche private o le Fondazioni al posto dello Stato, oppure l’indispensabile “ritorno” preclude ogni possibile lungimiranza?
Magari non una enciclopedia, ma una presenza maggiormente “culturale” nella nostra Regione, che abbia tempi lunghi e non duri solo per alcune edizioni.
B.P.Ancona
Non credo sia venuto meno, in assoluto, lo spirito del mecenatismo e quindi quella proiezione verso il territorio e la società civile che anima spesso le istituzioni private le quali, traendo proprio dal territorio il proprio valore economico, decidono di riversarne una parte a vantaggio della crescita sociale e culturale del contesto in cui sono radicate. Quello che forse è cambiato rispetto al passato è che probabilmente non c’è più il “mecenate” in assoluto, capace di grandi impegni economici, quanto piuttosto una pluralità di soggetti che – compatibilmente con le proprie congiunture – intervengono per entità singolarmente di norma non particolarmente rilevanti o determinanti. Ma come in molti altri campi, l’unione fa la forza e la buona volontà di molti può consentire di realizzare grandi progetti.
F.Carima
La risposta alla domanda è che un’iniziativa di questo genere sarebbe auspicabile, ma difficilmente realizzabile per un motivo semplicissimo: intanto in una regione come le Marche le fondazioni bancarie sono otto e completamente diverse l’una dall’altra, soprattutto in termini di dimensioni e di possibilità reddituali, quindi anche di possibilità di investimento. In realtà sono solo due o tre le fondazioni marchigiane che potrebbero supportare un progetto di questa natura. Un’iniziativa che comunque avrebbe come presupposto fondamentale una quantità di denaro e un tipo di impegno che non credo che le fondazioni, per come sono rappresentate in questa regione, possano avere. Un progetto di questo genere, che pure potrebbe essere una bellissima ed importante iniziativa, ha come premessa un grado di coordinamento delle fondazioni assai considerevole e determinante e soprattutto una volontà di investire una somma rilevante di denaro: tutti elementi che non vedo presenti in questo momento nelle nostre fondazioni.
B.Marche
Reputo che la risposta possa essere senz’altro positiva, anche se nel momento in cui facciamo riferimento a banche che nascono da vecchie Casse di Risparmio, sappiamo che i soci di riferimento di queste banche sono normalmente le fondazioni cui istituzionalmente è demandato il compito di svolgere un’operazione prettamente culturale, un’attività per la sponsorizzazione artistica ai fini di garantire una ricaduta culturale e assistenziale sul territorio di appartenenza. Ciò non toglie che alcune banche, in questo caso io mi sono fatto promotore presso Banca Marche, vogliano essere delle banche “aperte” a quelle che sono le plurime esigenze culturali e artistiche del nostro territorio oltre a quelle assistenziali. Alcune banche, particolarmente sensibili, possono decidere di intervenire anche in settori sociali, sopperendo, insieme con il volontariato e l’iniziativa privata, all’eventuale mancanza dello Stato. A tale proposito cito la Fondazione Roma e il libro Il terzo pilastro. Il non profit motore del nuovo welfare del Professor Emmamuele Emanuele che affronta nello specifico l’argomento “terzo settore”. Facendo riferimento prevalentemente alla situazione di Roma, ma rivolgendosi contestualmente a tutta la situazione nazionale, si mette in evidenza la necessità di demandare quote capitali sempre maggiori per lo sviluppo specifico di settori assistenziali e filantropici nei quali lo Stato, per burocrazia, per tempi e per mancanze di bilancio, non riesce a intervenire in maniera efficace ed efficiente.
Carifermo
Crediamo che l’indispensabile “ritorno” possa, anzi, debba essere accompagnato da una proficua lungimiranza. La Carifermo Spa, ad esempio, in collaborazione con la Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, lavora ogni anno ad un progetto editoriale che si conclude con la realizzazione del libro strenna natalizio. Non si tratta di un’opera prodotta da terzi e sulla quale la Banca mette semplicemente il proprio logo. Il progetto ha come obiettivo lo studio e l’approfondimento di tematiche, spesso di taglio artistico-culturale, da sviluppare o incomplete. Lavoriamo insieme all’editore sulla scelta dei contenuti, degli studiosi, sulle immagini. Negli anni abbiamo trattato grandi artisti del nostro territorio come Carlo Crivelli, Luigi Fontana, Vincenzo Pagani e, da ultimo, i Ricci.
La lungimiranza sta nel valorizzazione e far conoscere maggiormente il nostro territorio, evitando di proporre opere, forse più “semplici”, ma scontate. Il “ritorno” sta nell’utilizzare le pubblicazioni come dono per i nostri clienti in modo da non duplicare i costi.
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II DOMANDA
C’è da una parte il Mecenatismo e dall’altra la Sponsorizzazione, due metodi diversi per ottenere lo stesso risultato oppure la stessa filosofia per far partecipare il denaro al processo di produzione culturale e/o dello spettacolo in genere?
Spesso sentiamo parlare di investimenti culturali che le banche o le fondazioni operano a diversi livelli. È soltanto un sistema fiscale per abbattere i profitti oppure una oculata strategia aziendale che guida le banche/fonfazioni verso questo tipo di sovvenzioni?
Offrendosi come partner economico per la Cultura, le banche/fondazioni potrebbero condizionarne gli stile e spostare un certo mercato dell’Arte a favore di alcuni gruppi a discapito di altri?
B.P.Ancona
Lo spirito mecenatistico accompagna sempre le decisioni di destinare risorse a favore di iniziative di tipo culturale o sociale; non disgiunto certamente dalla ricerca di un ritorno, quasi mai di mera natura economica – peraltro assai difficilmente misurabile (si pensi ad esempio alla difficoltà di misurare se, avendo affiancato una determinata iniziativa, solo per questo siano stati acquisiti o meno nuovi clienti) – quanto piuttosto in termini di accrescimento dell’immagine, della reputazione, che per un istituto bancario rappresenta un valore di enorme importanza. Tenderei ad escludere qualsiasi motivazione di tipo fiscale, come pure mi sento di escludere qualsiasi rischio di “distorsione del mercato”. Intendo dire che ci può stare che, appoggiando un progetto piuttosto che un altro, un eventuale errore di valutazione di merito, potrebbe in astratto escludere e non far decollare progetti di valore; ma c’è da dire intanto che – proprio a motivo della limitatezza delle risorse disponibili – le decisioni di come allocarle risponde di solito a criteri di estrema attenzione; ed inoltre se un progetto è veramente valido se non ottiene il patrocinio del soggetto a cui per primo viene presentato, probabilmente può ottenerlo da altri più capaci magari di saperne leggere l’importanza.
F.Carima
Intanto questi quesiti sono, secondo me, quasi tutti tarati per le banche, indipendentemente dal fatto che usiamo il termine fondazione piuttosto che banca, perché le prime due parti di questa seconda domanda non si possono riferire alle fondazioni. Mi spiego subito: le fondazioni, per loro natura, non fanno né mecenatismo né sponsorizzazioni. Esse svolgono un ruolo previsto dalla legge e la loro è una partecipazione dovuta. Lo statuto prevede che gli utili, i margini, i risultati e i guadagni che le fondazioni riescono a mettere in piedi con la gestione del proprio patrimonio debbano essere per forza investiti nel territorio di propria competenza, in determinati settori. Una volta che la fondazione ha stabilito e scelto un ambito di intervento, che nel nostro caso è quello culturale, sebbene avremmo potuto anche non sceglierlo come fanno altre fondazioni ed a quel punto il problema non si sarebbe nemmeno posto, perché in tal caso istituzionalmente la fondazione avrebbe potuto non investire nemmeno un euro su quella voce, ma dal momento che ha scelto, tra i vari settori, quello della cultura, ecco che la fondazione non fa né mecenatismo né sponsorizzazione. Per noi è un dovere istituzionale investire o riversare, per meglio dire, il denaro proveniente dalla gestione del nostro patrimonio, quindi non saprei che dirle … ripeto, noi dobbiamo obbligatoriamente, per legge e per statuto, intervenire ed investire. Lo dobbiamo fare e basta e lo facciamo perché la fondazione è un’istituzione che di fatto persegue un’utilità collettiva. Nel nostro caso, poi, avendo scelto di intervenire, fra i vari settori, in quello della cultura, lo facciamo anche nel settore della cultura. Non è un sistema fiscale per abbattere i profitti, il nostro. E comunque, voglio precisare che dietro alla nostra attività erogativa c’è un’attenzione particolare nel cercare di indirizzare le erogazioni in campo culturale verso degli obiettivi che il nostro Consiglio di Amministrazione e i nostri organi istituzionali si sono dati. Una strategia di fondo c’è, anche se il tipo di attività erogativa che noi facciamo soggiace fatalmente, perché anche questo è un obiettivo della fondazione, alle richieste che provengono da tutto il territorio di riferimento. Richieste, queste, spesso estremamente differenziate e diversificate, che colpiscono una miriade di problematiche e che magari, a volte, ci danno la sensazione di non essere frutto di una visione organica. Ma è un dovere istituzionale della fondazione dare una risposta anche a richieste piccole e differenziate, perché comunque abbiamo un obbligo di risposta verso l’intera provincia formata da tante realtà completamente diverse fra loro. Se le fondazioni potrebbero condizionarne gli stili e spostare un certo mercato dell’arte? No, non credo che ci siano queste possibilità. Ma poi per mercato dell’arte che si intende? Il mercato dei quadri, delle sculture e delle mostre? Direi di no, se non fosse altro per la poca capacità di incidenza: non abbiamo una massa di denaro così imponente e determinante da riuscire ad indirizzare il mercato.
B.Marche
Mecenatismo e sponsorizzazione oggi sovente si confondono e diventano un po’ la medesima cosa, anche se hanno caratteristiche e finalità ovviamente diverse. Credo che le fondazioni siano più portate per un vero e proprio mecenatismo. Alcune volte le banche tendono maggiormente a fare delle sponsorizzazioni perché in qualche maniera si attendono un “ritorno” e, in ogni caso, entrambe le ipotesi rappresentano un modo per far partecipare il denaro a quella che è la produzione culturale e lo sviluppo intellettuale e formativo, indipendentemente dal “ritorno”. Certo, alcune volte, le banche che fanno investimenti culturali, forse potranno anche avere il beneficio di un ritorno fiscale, tuttavia mi sembra un caso molto limitato, e per quello che ne so io, noi, come Banca Marche, fino a questo momento, non lo abbiamo mai fatto. Quello che vogliamo fare è seguire un binomio cultura-economia che ci sembra un accostamento davvero interessante se si vuol classificare un istituto di credito come una banca “aperta” e quindi come una banca del territorio. Perché se noi interpretiamo il concetto di territorio come una comunità di destino, necessariamente, nella nostra Regione e presso le nostre popolazioni, non può venire meno l’aspetto artistico e l’aspetto culturale, che poi è l’espressione dello spirito dei nostri luoghi e, come sempre, così com’è nella nostra produzione, questa espressione è un’espressione di eccellenza. Basterebbe guardare un momento indietro, ma anche all’attualità, ai nostri artisti, alla nostra storia dell’arte per passare da Raffaello a Michelangelo al Pergolesi per arrivare a Giovanni Allevi. Mi scuso se dimentico altri nomi, che in questo momento non mi vengono alla mente, ma sicuramente abbiamo una storia culturale e artistica di grandissima eccellenza, basti pensare al secondo pittore di Urbino che dopo Raffaello è il Barocci per comprendere qual è la grandezza dei nostri territori. … potrebbero condizionarne lo stile e spostare un certo mercato dell’Arte? … Beh, dovremmo parlare di arte moderna. Noi, come Banca Marche stiamo cercando di utilizzare gli spazi aperti che abbiamo a disposizione nella nostra sede come una piccola galleria d’arte dove abbiamo esposto delle antiche Ceramiche di Casteldurante, abbiamo messo in mostra alcuni pezzi e oggetti già presenti presso il Metropolitan Museum di New York della collezione living del cristallo d’arte, mobili realizzati da un unico blocco di cristallo. Abbiamo anche intenzione di esporre alcuni pezzi della storia del design di Poltrona Frau, in maniera dilettantistica e segmentaria. Difatti non seguiamo un unico filone culturale e, per quel che mi riguarda, diventa molto difficile credere che si possa spostare il mercato d’arte attuale salvo che la banca non faccia grossissimi investimenti su alcune espressioni artistiche e di attualità. Credo che la vera finalità della banca sia di godere, insieme ai propri utenti, assieme ai propri soci e quindi assieme al proprio territorio di alcune opere d’arte che rappresentano, per davvero, la soddisfazione dell’anima e dello spirito. Non mi ricordo quale fosse questo grosso scrittore che diceva che “tutte le vie dello spirito partono dall’anima e difficilmente vi fanno ritorno” beh credo che una possibilità per far ritornare le vie dello spirito all’anima sia “gustare” un’opera d’arte!
Carifermo
Mecenatismo e Sponsorizzazione generano due partership estremamente differenti. La Sponsorizzazione ha come elemento distintivo l’identificabilità della fonte, il soggetto che sponsorizza ha come obiettivo quello di associare il proprio marchio all’oggetto della sponsorizzazione. Lo sponsor, nel valutare l’attività, stima il valore della sponsorizzazione anche per le “ricadute media” che essa può garantire.
Diverso è il Mecenatismo, più vicino al modus operandi delle Fondazioni, che non risponde a logiche di ritorno dal punto di vista dell’immagine o a vantaggi di tipo commerciale.
In Carifermo le Sponsorizzazioni fanno parte del piano di comunicazione. Rientrano in una programmazione annuale che segue obiettivi di promozione dell’immagine aziendale e di partnership con le iniziative che vengono ritenute più rilevanti nel nostro territorio di competenza.
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III DOMANDA
Spesso le Banche/Fondazioni, attraverso la sponsorizzazione, fanno confluire ingenti somme su eventi di interesse politico più che culturale, questa scelta è sentita come una costrizione per voi, oppure come una normale partecipazione nella prospettiva che l’evento stesso riesca a camminare con le sue proprie risorse ben oltre la dipendenza politica?
L’investimento culturale è sempre visto come un finanziamento che le fondazioni operano verso l’esterno, ma quando sono le fondazioni a chiedere partecipazioni o patrocini per le loro iniziative che tipo di risposta arriva dall’esterno e principalmente dai soggetti della politica?
B.P.Ancona
Ho difficoltà a dare una risposta a tale domanda, in quanto nella mia esperienza non ho in mente casi in cui la componente politica abbia avuto un rilievo. Un progetto deve creare di per sé valore nel contesto in cui si colloca, sia esso sociale o culturale o sportivo e solo sotto questa prospettiva deve essere valutato. Se poi gode anche del patrocinio di soggetti istituzionali che non ne inficino la coerenza, ben venga tale patrocinio. Alcune iniziative che ci vedono impegnati in qualità di project partner – penso ad esempio a Tipicità o a Musicultura – godono di questo patrocinio istituzionale, che non solo non è condizionante, ma anzi apportatore di collegamenti più stabili e solidi con la società civile.
F.Carima
Intanto la prima parte della domanda sicuramente ha un senso ed ha una logica anche se, secondo me, non si può riferire alla realtà della nostra provincia, ma non credo nemmeno alla realtà della nostra regione. È vero comunque che vedendo dei segnali e vedendo delle iniziative a livello nazionale si possano verificare situazioni di ingerenza: tra politica ed iniziative culturali si percepiscono a volte queste intromissioni. Ma non è, secondo me ripeto, il caso della realtà regionale delle Marche. Non credo proprio. E tanto meno non lo è per le fondazioni. Noi non facciamo iniziative per benevolenza nei confronti dell’interesse e del potere politico. Assolutissimamente no. Anzi, andiamo alla ricerca di una nostra autonomia, la ribadiamo con orgoglio e con convincimento. La verità è un’altra: è che le fondazioni sono state sempre viste, fin dalla loro costituzione, esclusivamente come erogatori di risorse e basta. Questo non solo dalle istituzioni politiche, ma da parte di tutti. Il territorio ha sempre visto le fondazioni come “bancomat”; bussi e prendi il denaro che ti serve per fare le iniziative. Questo è il campo in cui effettivamente il nostro Consiglio di Amministrazione e la nostra fondazione si sta muovendo negli ultimi anni: invertire questa situazione. Noi riteniamo che le fondazioni abbiano una loro indipendenza. Di fatto sono enti che hanno natura privatistica, ecco quindi che per noi le fondazioni devono potersi muovere sul proprio territorio con una loro capacità decisionale, con una loro visione, con una loro totale autonomia da queste ingerenze. Noi non le abbiamo, ma abbiamo riscontrato una mentalità che tende a vedere nella fondazione un partner che sia esclusivamente un erogatore, un partner supino alle richieste di terzi. Stiamo vedendo invece che, con tutta una serie di attività ed iniziative che abbiamo realizzato negli ultimi tempi e, se vogliamo, anche con la capacità dovuta alla personalità di chi più rappresenta l’ente, stiamo invertendo questa situazione e veniamo riconosciuti dal mondo che ci circonda, quindi anche dai politici, come enti e come partner che hanno la loro indipendenza e che hanno il loro peso per dire la propria su questi temi, visto che poi siamo quelli che effettivamente stanziano denaro. Proprio perché questi soggetti ci hanno sempre visto come distributori e quindi come possessori del denaro, meno che meno possiamo essere visti come coloro che possono ricevere denaro per le iniziative che fanno. Noi stiamo cercando di far capire, invece, che quando un ente come il nostro organizza un’iniziativa - sulla quale poi tutti possono dire la loro, se è fatta bene, fatta male, se è giusto o meno farla - che va a vantaggio del territorio, le fondazioni avrebbero titolo e diritto, come qualsiasi altro ente, di essere aiutati, sovvenzionati, supportati dagli amministratori e quindi anche dal mondo politico, se riscontra, il mondo politico, nell’attività e nel fare della fondazione, un agire giusto, logico e conveniente per il territorio. Però … questo magari arriverà molto molto lentamente, con il tempo, anche per le difficoltà oggettive che hanno attualmente tutte le amministrazioni pubbliche.
B.Marche
Non abbiamo mai, per quello che mi riguarda, nella storia di Banca Marche – ed io l’ho fondata nel 1994 - fatto confluire somme in eventi d’interesse politico, perché siamo sempre stati lontani dal prenderci un’etichetta politica. E’ un dato storico e oggettivo e questo può rappresentare un bene oppure un male, secondo l’ottica in cui si guardi quest’aspetto. Mentre alcune volte, e per quel che mi riguarda meno di un anno fa, abbiamo preso noi l’iniziativa su alcune manifestazioni di carattere artistico-culturale. Io sono stato promotore in una cena e durante un Consiglio di Amministrazione nel Palazzo Ducale di Urbino, della proposta di creare la prima mostra mondiale delle tre città ideali: quella di Urbino, di Baltimora e di Berlino. Proposta che è nata dal fatto che esse rappresentano il primo manifesto pittorico sull’urbanistica, in modo da dimostrare che l’urbanistica è nata con il rinascimento italiano e non alla fine del settecento in Scozia. Raffaello, Michelangelo e Leonardo, oltre ad essere stati dei pittori, sono stati architetti e soprattutto degli urbanisti; con la prospettiva è nata l’urbanistica. Tuttavia, indipendentemente da qualsiasi circostanza politica, credo che questo sia un evento di portata mondiale che ha una grossa valenza culturale. E’ evidente che quando sono le banche a prendere iniziative di questo genere devono cercare anche il supporto e il consenso delle forze politiche o dei rappresentanti degli enti locali. Diversamente certe manifestazioni non si potrebbero realizzare senza la fattiva collaborazione e la co-iniziativa. Senza la collaborazione della Sopraintendenza dei Beni Artistici e Architettonici delle Marche non si potrebbe realizzare una manifestazione di questo genere. Senza il patrocinio di alcuni musei non si potrebbe fare questo. Senza la presenza e il consenso di alcuni Enti locali quali il Comune di Urbino, la Regione Marche e quant’altro, eventi di questo genere non si potrebbero realizzare. Allora, qual è il rapporto? Beh, il rapporto è un rapporto di collaborazione tra quelli che noi chiamiamo vertici amministrativi del territorio, più che politici, e i vertici della banca. E’ ovvio che ci debba essere un interesse convergente e comune nel portare avanti manifestazioni di questo genere che io credo arricchiscano molto il territorio e non solo per quello che si diceva prima, perché è il territorio che in qualche maniera s’istruisce, e l’istruzione è sempre una forma di arricchimento, ma perché sopraggiunge anche un guadagno economico derivante dalla presenza turistica di tutti quelli che, in qualche maniera, vogliono condividere queste esperienze.
Carifermo
Non facciamo mai scelte di tipo politico. I nostri indicatori sono ritorno d’immagine, vantaggio commerciale, visibilità, coinvolgimento e territorio. Il resto non ci interessa.
Per la seconda parte della domanda, sosteniamo per intero le iniziative che realizziamo direttamente (una tra le più importanti è sicuramente la “Pagella d’Oro”). Tuttavia, al di là del finanziamento, non abbiamo mai avuto difficoltà con enti di natura pubblica o privata con i quali, negli anni, abbiamo instaurati rapporti di proficua collaborazione e stima.
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IV DOMANDA
Quando vi trovate di fronte ad un progetto culturale nuovo, sia per un finanziamento sia per una partecipazione maggiormente attiva da parte Vostra, quali sono i criteri di scelta che siete soliti adottare per la decisione finale?
Come si sviluppa l’investimento o la sponsorizzazione in merito agli eventi del puro divertimento, sono visti solo come una prassi sporadica oppure stanno aumentando in funzione del maggiore impatto con i possibili utenti futuri delle banche?
B.P.Ancona
Il nostro slogan che ci accompagna sempre è “sponsorizziamo i valori”, intendendo con ciò la volontà di essere al fianco solo di quelle iniziative che effettivamente possono arricchire il territorio, sotto il profilo culturale o della crescita sana dei giovani nello sport, o ancora della valorizzazione delle eccellenze che esistono sul territorio. Cerchiamo di evitare di disperdere a pioggia gli interventi, cerchiamo di favorire l’aggregazione, di superare i particolarismi, spingendo – per quanto possiamo fare – i soggetti di buona volontà che animano questa Regione a unire le forze e le intelligenze su pochi grandi progetti che abbiano al centro l’intero nostro territorio regionale. Da quanto detto credo si possa desumere che, salvo rarissime eccezioni, rifuggiamo dal sostenere iniziative che possano essere qualificate come di “puro divertimento”.
F.Carima
Qui bisogna distinguere fra le tipologie di richieste che arrivano. La maggior parte delle richieste sono richieste tout court di finanziamento per coprire delle spese che l’ente o il soggetto terzo che organizza deve affrontare. Ecco che ci chiedono denaro, ci chiedono un intervento economico semplicemente per supportare le spese che hanno già deciso di fare. Spesso quindi sono progetti di terzi che noi normalmente finanziamo tenendo conto di tanti elementi: uno di questi è quello che ho detto prima e che noi non possiamo non tenere abbondantemente in conto, cioè quello di cercare di riversare su tutto il nostro territorio di riferimento, che è la provincia di Macerata, le nostre disponibilità finanziarie. Molti vedono in questo tipo di atteggiamento un limite nella capacità erogativa della fondazione e soprattutto nell’identificazione della validità dei progetti che arrivano. Può anche esserci questo limite, che però risponde ad un’altra esigenza che la fondazione ha: quella di dare risposta al territorio anche quando la progettazione che sottostà alla richiesta non è il massimo della validità artistica, scientifica e della qualità. Anche se non è solo questo; noi tendiamo a dare sempre una risposta alle piccole realtà perché vogliamo che sull’intero territorio ci sia comunque una presenza della fondazione. Riteniamo, per fare un esempio, che sia molto difficile che un comune della nostra provincia posto ai limiti della fascia montana, di duecento abitanti, possa mettere in piedi un progetto culturale che abbia la stessa valenza di un progetto culturale che può essere messo in piedi da una città di cinquanta mila abitanti e che ha le proprie strutture, le proprie organizzazioni, i propri elementi di raccordo con altre istituzioni culturali. E’ difficile che un’iniziativa che nasce in un paese sperduto della nostra montagna possa competere con quelle di altri comuni più grandi, tuttavia, se non ci fosse la fondazione a supportare anche quell’iniziativa, che può sembrare marginale, che può essere distante da quei livelli di qualità a cui tendiamo, quell’ambito, quel territorio, quelle persone, quel piccolo comune, non avrebbe nemmeno la possibilità di fare una piccolissima pubblicazione, una piccolissima iniziativa culturale. Siamo insomma molto attenti all’intero territorio provinciale e alle esigenze delle fasce deboli della popolazione. Uno degli elementi di valutazione che ci sta particolarmente a cuore è la marginalità. Tutti quei paesi, tutte quelle zone, tutte quelle aree e quelle fasce di popolazione che sono penalizzate fatalmente dall’allocazione geografica, riteniamo debbano comunque essere, in qualche maniera, aiutate e supportate. In merito agli eventi del puro divertimento, la nostra fondazione ha come riferimento due grandi obiettivi, quello che ho già detto prima, l’attenzione al territorio e l’essere vicini alle parti più marginali, e l’altro, prioritario anch’esso, di offrire qualunque tipo di manifestazione culturale, artistica e di divertimento sempre gratuitamente a tutti. Perché cerchiamo di essere presenti, soprattutto in periodi come questo, di grande crisi economica e di grande difficoltà, in cui la fruizione della cultura è difficile da parte della gente ed è ciò che viene fatalmente tagliato fuori per primo.
Oltre alle richieste che provengono da terzi, abbiamo un nostro ambito di intervento diretto: identifichiamo delle iniziative da fare e tentiamo di realizzarle e di gestirle direttamente, come l’esperienza dello scorso anno di tuttoingioco e l’esperienza, oramai consolidata, di un’altra manifestazione come Herbaria, che quest’anno arriva alla quarta edizione. Quando siamo noi ad organizzare lo facciamo in maniera gratuita proprio, per rendere possibile a tutti di fruire delle cose che offriamo e, soprattutto, cerchiamo di realizzare un prodotto che, sì, contenga anche elementi di divertimento, ma che comunque sia sempre un prodotto di livello qualitativamente elevato. Nell’ambito di questi contenitori, che includono appunto elementi culturali, artistici e di divertimento, cerchiamo di offrire un ventaglio di iniziative variegate che hanno tutte un comune denominatore: sono tutte iniziative di un certo livello.
B.Marche
Inizierei a dare la risposta partendo dal secondo punto. Gli eventi di puro divertimento li interpretiamo come un qualcosa di sporadico, anche se, nel momento in cui alcuni di questi eventi, anche di puro divertimento, sono replicati, poi anche le stesse sponsorizzazioni sono una prassi e diventano ripetitive. È ovvio che ci si aspetti sempre un possibile ritorno da eventuali futuri utenti della banca. Poi ci sono sponsorizzazioni di tipo assistenziale, come le sovvenzioni erogate ad alcune strutture ospedaliere, per il finanziamento di alcuni macchinari come gli ecografi, oppure altri tipi d’interventi presso la Fondazione Salesi e l’ospedale Salesi di Ancona che, sostanzialmente, sono interventi che dovrebbero essere coperti dalla Fondazione della Cassa di Risparmio competente per territorio, e che nel caso di specie dovrebbe essere Verona; ma noi siamo la banca del territorio delle Marche e se Verona non interviene, noi, in qualche maniera, ci sentiamo portati a intervenire. Questa rappresenta solo l’appendice di tipo assistenziale rispetto alla domanda che invece aveva oggetto gli eventi di puro divertimento. … di fronte ad un progetto culturale nuovo come si muove la Banca? Noi crediamo che si sia passati, anche in economia, come nella storia, a una sovrapposizione di corsi e ricorsi storici. Siamo passati dalla società del prodotto alla società della conoscenza. Se siamo nella società della conoscenza, qualsiasi tipo d’iniziativa, anche economico-imprenditoriale, diventa progetto culturale. Perché un nuovo start-up d’impresa, se porta a un’innovazione di prodotto e di processo, è, in senso lato, un progetto culturale allargato. Pertanto, di fronte a questi progetti – si sente sempre dire … finanziate le idee, finanziate le persone, finanziate i progetti - ci poniamo con grande attenzione indipendentemente dalla legislazione internazionale sul credito che ci condiziona non poco, specialmente in una realtà di piccole e medie imprese come quella marchigiana. Siamo anche pronti a fare dei finanziamenti. Non a caso abbiamo proposto, rispetto a tutti i procedimenti d’innovazione, di raddoppiare tutti i fondi che fossero arrivati alla Regione Marche dalla Bay e della Cee. Abbiamo stanziato un plafond a sostegno delle imprese per quattrocento milioni di euro. Di questi, venti milioni sono destinati ai nuovi progetti di tipo culturale e innovativo. Stiamo cercando continuamente di mettere insieme gli spin-off universitari per fare nuova cultura nel settore dell’innovazione. Uno dei miei motti fondamentali è quello del “pensare globalmente operando territorialmente”. Se diciamo che siamo in un momento in cui vi è un passaggio dalla società del prodotto alla società della conoscenza, quindi alla società dell’immateriale, al mettere in rete tutti i nostri distretti manifatturieri, se diciamo che dobbiamo tendere verso l’innovazione pensando globalmente e operando territorialmente, uno dei progetti che io ho in animo, e su cui continuo a insistere è quello di creare il primo museo del design o dell’immateriale marchigiano. Come si può mettere in piedi questo museo? Attraverso un concorso internazionale di idee e progetti presso le principali facoltà di design del mondo da Londra a Stoccolma, a New York. I giovani che ci faranno pervenire i progetti, saranno poi chiamati, i prospetti saranno selezionati da una giuria internazionale composta di designer internazionali e di imprenditori locali in maniera da scegliere le quattro o cinque opere migliori e premiarle. Per poi procedere alla realizzazione dei prototipi e verificare, con i nostri imprenditori, la possibilità della messa in produzione. La verifica è determinata ovviamente dal costo. Proprio questi prototipi potrebbero costituire insieme a tutti i progetti, il primo nucleo del museo dell’immateriale e della conoscenza. Perché proprio il design? Perché il design suggella perfettamente il discorso della progettazione e della conoscenza con il discorso del manifatturiero, quindi del prodotto. Il punto d’incontro è tra il design internazionale che esprime il pensare globale e la realizzazione del prototipo e la messa in produzione che tratteggia l’operare territorialmente. Se riusciamo a realizzare questo progetto, tale manifestazione culturale avrà anche delle rilevanze artistiche perché non è detto che il design sia limitato a se stesso. Quando seguivo l’Università del Progetto di Reggio Emilia, questo tipo di discorso era un discorso di continua innovazione che poi l’innovazione non è detto che sia solo tecnologica. L’innovazione è anche lo sfruttamento commerciale delle idee migliori per risolvere i bisogni delle nostre popolazioni. Bisogni che cambiano continuamente. Se dovessimo rifarci alla filosofica marxista, ci dovremmo chiedere chi è più ricco, chi a più soldi oppure chi ha meno bisogni? La mia risposta è che è più ricca una società che soddisfa i bisogni evoluti attraverso programmi d’innovazione ecocompatibile. Anche lì ci vuole l’eticità di uno sviluppo ambientalmente compatibile.
Carifermo
Quelli che elencavo prima. Innanzitutto immagine e visibilità, poi la possibilità di essere partner attivi dell’iniziativa magari con operazioni di marketing, quindi il territorio. Cerchiamo, ove possibile, di legare il nostro marchio a quello delle principali manifestazioni o realtà.
Per l’investimento e la sponsorizzazione in merito agli eventi del puro divertimento, fermi restando i criteri descritti, non facciamo particolari distinzioni tra le varie tipologie di eventi.
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