sabato 28 agosto 2010

Seconda intervista a Umberto Broccoli

“Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada."
di Laura Gioventù




Fermo, sabato 28 agosto 2010
Il penultimo giorno della parentesi Fermana, Umberto Broccoli torna a giocare ancora con me.
L’intervista è diversa dalla precedente ma sempre da me guidata.
Le domande sono diventate cinquanta. Mentre nella prima erano scritte su pezzi di carta piegati ed estratte senza la possibilità di leggerle, oggi invece sono stampate su pezzi di carte di tre differenti forme geometriche (quadrati, triangoli e cerchi) e sono aperte.

Ecco le 5 domande scelte dal Professor Broccoli in questo secondo appuntamento.

Domanda n. 1

“Quando certi uomini di teatro sollecitano la partecipazione viva del pubblico ai loro spettacoli dovrebbero meditare sui pericoli cui vanno incontro.” Ennio Flaiano

Anche in radio è pericoloso far partecipare troppo il pubblico per evitare inutili confusioni e spostamenti, oppure è proprio la partecipazione e il coinvolgimento del pubblico che determina il successo delle sue trasmissioni radiofoniche?

Innanzi tutto dobbiamo chiarirci le idee sul discorso del pubblico.
La radio è nata per il pubblico e la radio è l’evoluzione del teatro. Nel senso che mentre il cinema ha il suo corrispettivo nella televisione, la radio nasce per i lombi del teatro. La prima radio si faceva dentro i teatri, si andava con il microfono e si trasmettevano i grandi concerti. Partendo da questo presupposto, dobbiamo poi fare chiarezza sulla partecipazione del pubblico. Il pubblico deve fare il pubblico, stare lì e sentire, apprezzare o non apprezzare se la cosa non è meritevole. Ma che si possa fare uno spettacolo con il pubblico, su quello che era uno degli stilemi della grande improvvisazione degli anni settanta, dove io scendo in mezzo agli spettatori, faccio le cose con loro, ed il pubblico diventa il protagonista, questo è un eccesso. Eccesso che, secondo me, può avere senso solamente a livello sperimentale perché la realtà è un’altra. La realtà è che c’è uno spettacolo, il pubblico vede e partecipa, apprezza o non apprezza. Quel metro, settanta centimetri o due metri, insomma, la distanza che c’è dal palcoscenico al pubblico non sono superabili. Da una parte c’è chi fa lo spettacolo e dall’altra chi lo vede e lo vive.
Quello che dice Flaiano va interpretato in questa direzione. Da questo punto di vista lui era un accademico e un rigoroso del teatro.


Domanda n. 2

“Siamo figli di mondi diversi una sola memoria
Che cancella e disegna distratta la stessa storia”

 Ti scatterò una foto – Tiziano Ferro

Con l’invenzione della fotografia e del cinema si sta perdendo il senso della morte come evento storico, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione. Questo strano fenomeno facilita le conclusioni degli storici oppure la fa diventare come un riassunto dell’eterno reality che è la vita di tutti noi?

Noi abbiamo perso il rapporto con la morte. Questo è verissimo, la domanda dice una cosa giustissima.
Faceva parte delle società primitive precedenti la nostra e lo abbiamo perduto negli ultimi ottant’anni. All’inizio del secolo scorso ed ancora oggi nelle società contadine la morte si accompagna. Non si lascia morire un vecchio in ospedale o da solo ma la morte viene vissuta come la fase finale della vita.
Nella società odierna questo valore è completamente perduto. Il compianto, che vuol dire appunto piangere insieme, partecipare, è un aspetto che è degenerato peggiorando ulteriormente negli ultimi anni televisivi.
Gli anni televisivi hanno plastificato tutto. Quello che si vede in televisione non è reale. Nel senso che nessuna delle icone televisive, uomo o donna che sia, si incontra per strada. Penso a determinati atteggiamenti clauneschi di gente che si veste e trucca in una certa maniera. Quello è veramente un barocchismo che non appartiene alla vita quotidiana. È fuori. È totale finzione. Del reato io dico sempre che per andare in televisione bisogna truccarsi, oppure tingersi i capelli. In teatro oppure in radio non ce n’è bisogno. Sei tu. Senz’altro la civiltà della fotografia è completamente differente da quella che è la civiltà delle immagini. Benché queste siano sempre figure, ma in movimento.
Non c’è del moralismo in questo, è semplicemente l’osservazione di un fatto.
Il fatto è che quello che si vede per strada non è quello che si vede in televisione. Punto.
Parlo di spettacolo, ovviamente.

Domanda n. 3

Non domandarmi dove porta la strada, seguila e cammina soltanto. La strada ci farà procedere.
E' Stato Molto Bello di Franco Battiato
Quale è la strada che sta seguendo?

Per altro è una poesia di Evtushenko. Franco Battiato e Mario Sgalambro hanno messo in canzone una poesia di Evgenij Evtushenko, se non ricordo male. La strada che sto seguendo è quella che dice il poeta russo e che cantano Battiato e Sgalandro. È la strada che mi porta da qualche parte. Tendenzialmente ho scoperto che più ci si prefigura un progetto, un percorso, un andare da un punto ad un altro, più diventa complicato. Non voglio certo dire che non ci si riesca, ma a volte si fa molta difficoltà. Spesso la strada della vita ti porta su percorsi completamente differenti che mai ti saresti aspettato di percorrere per cui non domandarti dove porta la strada, seguila e cammina soltanto! Trovo giustissima questa citazione.

Domanda n. 4

Se le dico Marche quale è la prima cosa che le viene in mente?

Il paesaggio. Penso al suo paesaggio che non è come quello umbro e toscano. È marchigiano, appunto.
Penso all’ordine quasi musicale del panorama, quell’ordine che il pittore Tullio Pericoli esprime perfettamente nei paesaggi e nei ritratti della mostra «Lineamenti. Volto e paesaggio» in esposizione presso il museo dell’Ara Pacis di Roma.

Se le dico Fermo?

Penso a sindaco Saturnino Di Ruscio. Sembra una stupidaggine, ma è così, e lo dico, con fermezza, perché il mio rapporto con Fermo è stato sempre mediato dal sindaco. All’inizio con molta diffidenza, adesso con una maggiore consapevolezza. Non la si può ancora chiamare un’amicizia, ma ci conosciamo da cinque anni. Lui per esempio è una persona che è quello che dice e devo riconoscere che è una qualità molto rara, non soltanto nella politica ma soprattutto nel panorama generale dei rapporti umani. Superando la persona, se penso a Fermo mi viene in mente il colore dei mattoni. Questa specie di grande forno nel quale siamo, un forno di mattoni, un forno nel quale si possono cuocere bene le pizze, dove in estate il caldo diventa caldissimo e d’inverno il freddo si fa temperato. Tutto questo sposato con una pulizia incredibile della cittadina. Non volendo prescindere dalla persona Saturnino, tutto il resto è mattone, mattone ovunque, bello, caldo, avvolgente. Siamo circondati dai mattoni ed è bellissimo perché siamo abituati a vedere le case intonacate. Qui invece mi sembra quasi di vedere i lavoratori che mettono uno sopra l’altro i mattoni per costruire palazzi e Chiese.

Se le dico Roma?

A Roma ci sono le mie radici. Paradossalmente mi viene in mente Roma 1960. Adesso sembra stantio, ma siamo stati i primi a parlarne in tempi non sospetti. Il 25 agosto del ’60 veniva inaugurata la XVII Olimpiade
 di Roma. Recentemente mi è capitato di rivedere in televisione il film “La grande Olimpiade”di Romolo Marcellini proprio di quell’anno. Per motivi indipendenti dalla mia volontà, per il semplice fatto di essere nato prima, ricordo perfettamente quella Roma, i colori della città e gli autobus verdi e neri. Una città che stava vivendo un grandissimo sviluppo urbano e urbanistico accanto ad una campagna che poi sarebbe stata aggredita dalla speculazione edilizia, da uno sviluppo esagerato e disordinato di una urbanizzazione non studiata. È giusto urbanizzare, non è che possiamo cristallizzare tutto, ma non è giusto buttare cemento armato di qua e di là come se niente fosse creando queste periferie dormitorio che sono veramente una cosa sulla quale riflettere. Rispondendo in maniera banale, mi sarebbe potuto venir in mente i miei studi, il Colosseo e così via. Invece penso alla Roma del 1960, che era ancora la Roma del dopoguerra e che da quel momento in poi diventerà un’altra cosa, la Roma che poi ha portato a quella del giorno d’oggi.

Quindi una data come segno di un passaggio?

Sì, io non credo alle date come segno di passaggio, ma in questo caso la data è il segno del cambiamento. Come anche il 476 d.C. quando Roma cade per la prima volta sotto i colpi dell’esercito invasore. I barbari, le popolazioni straniere, entrano a Roma  e dal quel momento la città inizia una nuova vita.

E se le dico Italia, che cosa le viene in mente?

Pensando all’Italia non mi viene in mente niente di particolare fuorché tutto.
La conosco abbastanza bene e penso ad un aspetto un po’ più antico e nascosto. Penso a quando il nome stesso di questa nazione è stato una parola nella quale generazioni intere si sono riconosciute e, senza arrivare alla retorica di De Amicis, il tricolore era simbolo di unità. Credo, senza retorica appunto, ad un minimo di patriottismo. Pensando all’Italia mi viene in mente un’unica nazione con tutte le sue differenze -siamo unità tra differenze- che ha le Alpi come confine ed il mare come altro confine. Poi penso anche ad una forma di forte orgoglio nazionale, alla riscoperta delle nostre radici. Siamo italiani e siamo differenti dai francesi, dai tedeschi, dai nordafricani, dagli slavi. Siamo italiani e siamo abbastanza riconoscibili come ethos.


Domanda n. 5

Il vero viaggio di scoperta, non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.
Voltaire

Voltaire, padre dell’illuminismo. Mi riconosco perfettamente in tutto questo. Non avendo la passione di viaggiare, anzi, detestandolo, sono convinto che il viaggio si possa fare anche nel quartiere di fronte casa cambiando gli occhi. Il cambiamento siamo noi. Forse chi fa viaggi stupefacenti evidentemente non ha tranquillità interiore. Basterebbe immaginare di cambiare gli occhi che si scopre il bello anche a Passoscuro, una piccola località vicino Roma.


Ed infine una mia domanda per concludere il gioco.

Forma e sostanza: Lei ha scelto due domande racchiuse nei cerchi, due nei triangoli ed una nel quadrato; possiamo dire che nello scegliere una domanda piuttosto che un’altra c’è stata una piccola influenza sulla forma?  

Quasi non c’ho prestato attenzione. Ho fatto caso ai tanti fogli di forma diversa sopra al tavolo ma non so se Voltaire sta sul rotondo o sul quadrato oppure Battiato sul triangolo. Nello scegliere, potendo leggere le domande, ho solo fatto caso alla sostanza.

“Il mezzo è il messaggio” diceva Marshall McLuhan
È possibile che nello studiare la storia siamo stati più suggestionati dalla “forma” esteriore (miti, eroi, battaglie) piuttosto che dalla sostanza storica degli avvenimenti accaduti?

Purtroppo la storia la fanno i vincitori. Da sempre.
Non la scrive chi ha perso e quindi, inevitabilmente chi scrive e fa la storia sono i vincitori.
Noi siamo tutti figli della storia scritta dai vincitori ed è chiaro che ne siamo anche influenzati.
Quando pensiamo per esempio a Napoleone Bonaparte pensiamo a chi ha scritto di Napoleone, pensiamo a quello che è stato detto e quindi creiamo quella che si chiama mitopoiesi, creiamo dentro di noi un mito. Dal greco μυθοποίησις,  poie vuol dire “fare” e mithos è mito, quindi "creazione del mito". Noi creiamo un mito ed il più delle volte il mito non è realtà. La nostra operazione, in genere, anche nella vita quotidiana, dovrebbe essere quella di cercare di vedere qual è la sostanza reale delle cose, che cosa c’è dietro ad un fatto, una persona, un avvenimento. Capire dove si vuole andare a parare in sostanza. Credo sia questa la cosa più giusta.

Per quello che riguarda McLuhan, sulla questione che il mezzo possa diventare messaggio, sono state costruite intere biblioteche io però continuo a dire, che è il messaggio che governa e non il mezzo. Se si guarda il contorno, la cornice non sarà mai il quadro. È giusto che esista ma guardiamo il quadro. Ricordiamoci sempre che chi indica la luna con un dito, giusto un fesso guarda il dito e non la luna!

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giovedì 26 agosto 2010

CRONACHE MATRIMONIALI

Nulla è più vero delle bugie …
Di Laura Gioventù





Il mare di fine agosto ha un fascino tutto particolare.
I villeggianti cominciano ad andarsene, le spiagge sono meno affollate. L’aria inizia ad essere più leggera, non si vede una nuvoletta all’orizzonte ed il mare è una tavola blu, come cantava Baglioni.
È sempre il solito paradosso, quando cominciano le vacanze piove sempre e quando si deve rientrare a lavoro fa bel tempo e, per chi può, si va al mare fino al cinque di ottobre, come è successo l’anno scorso.
Per mia sorella è l’ultimo giorno di ferie e la tristezza è quella tipica del primo giorno di scuola. (molta gente è felice il primo giorno di scuola però)
I mariti non ci sono mai, con la scusa del lavoro o degli amici trovano sempre qualcosa di meglio per scappare via, io non ho voglia di cucinare per i fuggiaschi, e lei non vuole perdersi l’ultimo raggio di sole, quindi decidiamo di prendercela comoda e fermarci a pranzo allo chalet, il solito chalet.
Ci sediamo approfittando di un piccolo tavolino sotto la veranda, e mentre stiamo aspettando di pranzare, vado in bagno.
Il tempo di lavarmi le mani che già sono arrivati i miei spaghetti allo scoglio. Ma oltre alla mia pasta trovo al tavolo anche Serena, una nostra amica.

-Ciao Sere, dove stai andando?-

le chiedo mentre mi metto subito seduta perché sto letteralmente svenendo dalla fame e non vedo l’ora di mangiare.

-Sono appena arrivata, vado in spiaggia a fare quattro passi. Ho bisogno di pensare un po’ e di chiarirmi le idee ...- 

Perfetto, penso io, così forse ce la farò a mangiare in santa pace.
Serena è sempre lei, la solita invadente appiccicosa, è davvero una brava ragazza, ci mancherebbe, ma quando comincia a parlare è la fine. Tra poco si piazzerà qua e chi la sposta più!

-…ma hai già fatto pranzo? Una passeggiata a quest’ora del giorno non è proprio il massimo.-

le dico.
È un po’ che non la vedo, osservandola meglio la trovo molto dimagrita ma abbronzatissima. Indossa un top a fascia molto sexy e dei pantaloncini bianchi cortissimi. Decisamente troppo audaci per lei che in genere veste in maniera molto più sobria. Sta molto bene così anche se ha l’aria stanca. Anche i capelli hanno qualcosa di strano, e non riesco a capire se li ha solamente stirati oppure anche colorati. Naturalmente non le chiedo nulla altrimenti il suo ego si gonfia come una mongolfiera.

-No, come potrei sono troppo sconvolta e mangiare è l’ultimo dei miei pensieri … -

Inutile che la inviti a sedere perché, come avevo previsto, si è già accomodata tranquillamente da sola e senza nemmeno farsi pregare inizia subito a raccontare. Non ha fame ma la prima forchettata ai miei spaghetti la da lei, alla faccia dei pensieri.

-Ieri mattina sono rientrata a lavoro dopo tre settimane di ferie. Tra la stanchezza accumulata tirando tardi tutte le sere e la fretta di partire per non arrivare in ritardo, prendi questo e prendi quello ho lasciato il cellulare a casa. Non me ne sono accorta  fino a quando alle undici mi chiama in ufficio mio marito per avvisarmi del telefonino dimenticato. Mi dice che siccome era arrivato un messaggino, si è permesso di aprirlo e di leggerlo e che si trattava delle solite pubblicità via sms. Mi colse subito un’inquietudine strana e mentre mi stava parlando di un errore su una bolletta elettrica e stronzate varie mi prende il panico! Sulle prime non avevo realizzato ma poi il dubbio atroce che prendendo in mano il telefonino abbia potuto sbirciare e leggere tutti i messaggi memorizzati si insinua prepotentemente nella mia mente. Comincio mentalmente a passare in rassegna tutti gli sms sforzandomi di ricordare che cosa avessi cancellato mentre continuavo ad annuire per inerzia, senza comprendere una sola parola, ai farfugli telefonici di mio marito. Ad un certo punto mi chiede come sia andato l’appuntamento e come era il caffè che ho preso la scorsa settimana con il mio amichetto. Amichetto?! Gelo. Quelle parole mi paralizzarono all’istante.
Se è vero come è vero che due più due fa quattro, ho immediatamente compreso di aver dimenticato di cancellare un paio di sms forse un po’ compromettenti e curiosando nel telefono li ha sicuramente letti. Me ne ero proprio scordata. Terrorizzata per non avere argomenti validi per giustificarmi, stavo pensando a come potergli spiegare ma improvvisamente, per mia fortuna, la conversazione è stata interrotta dall’arrivo di un fornitore.
In realtà non c’era scritto proprio niente di strano, era solo l’invito per un caffè e due chiacchiere di un mio amico che ho conosciuto in treno quando sono andata a trovare mia madre in ospedale l’anno scorso. Invito che tra l’altro non ho nemmeno accettato
.-

- e questi, secondo te, sono sms compromettenti? Chissà che pensavo!-

Le dico mentre nel frattempo la mia pasta sta diminuendo a vista d’occhio.

-Questo ragazzo è solo un conoscente, ma mio marito non lo sa. Qualche volta mi manda dei messaggi e per errore ho dimenticato di cancellarli. Un saluto, un pensiero ogni tanto, niente di ché, ma che comunque ad una donna fa sempre piacere ricevere.
Magari  penserà che non ci siamo scambiati solo sms?
Difficili impedirglielo perché è vero che alla fine non ci siamo incontrati, ma nel cellulare non c’è traccia alcuna che lo possa confermare oppure smentire.
Per cui mi sembra normale che gli venga il dubbio e che cominci ad insospettirsi.
Del resto avrei potuto frequentarlo in molte altre occasioni ed averla sempre fatta franca. La situazione è ambigua, rischia di apparire per quella che non è e lascia spazio ad ampie e fin troppo scontate interpretazioni.
In realtà non è successo niente di niente ma questo è difficile da spiegare ad un marito. Come si fa? Per tutto il giorno sono entrata in una spirale perversa di ipotesi e tesi immaginando tutto l’interrogatorio e la scenata di gelosia che come minimo avrei dovuto subire tornata a casa. Urla e piatti rotti che si sarebbero sentiti fino all’ultimo piano. Ma uso il condizionale perché quando sono rientrata da lavoro ho trovato un indifferente silenzio. Mio marito non mi ha detto nulla di ciò che avevo immaginato per tutto il pomeriggio, ha semplicemente ignorato tutta la faccenda, e dopo aver cenato si è addormentato, come tutte le sere, sul divano.
Tutto quello che avevo immaginato, l’angoscia di essere giudicata male e nello stesso tempo la paura di non saper spiegare tutto l’equivoco, i mille aggettivi per potermi giustificare, tutte le mie acrobazie mentali si sono infrante come una bolla di sapone. Era una cosa che non avevo previsto, il silenzio mi ha destabilizzato! Rimasi sconcertata e stupita ed entrai in un vortice di certezze allarmanti.
-

-Questo significa che hai un marito intelligente, lui si fida di te, tu sei una donna seria e non ha motivo di preoccuparsi!-

interviene mia sorella che nel frattempo aveva finito di mangiare, mentre io presa dal racconto non avevo più appetito.

-Un marito che trova nel cellulare della moglie due sms di un tizio che non conosce e di cui la moglie non gli ha mai parlato e che la invita per un caffè e due chiacchiere, se non è compromettente è molto equivocabile. Qualsiasi marito di fronte ad una situazione di questo tipo si insospettisce e pensa al peggio, che il caffè è solo un messaggio in codice per un tuffo dove l’acqua è più blu, niente di più e andrà su tutte le furie. Se tu trovassi sms del genere nel cellulare di tuo marito scateneresti l’inferno, chi è questa, dove l’hai conosciuta, quando vi siete visti, come, dove e perché, è più bella di me, che ha lei che io non ho, è giovane, bionda, alta, magra e con gli occhi azzurri? …..altro che scenata di gelosia, non è vero?!?
Io sono davvero disperata, non so più che cosa inventarmi!
-

-Inventarti cosa? In che senso, non capisco …-

Le dico io.

-Non sono mica angosciata perché mio marito ha letto i messaggi, in fondo erano falsi. Ho cambiato gestore telefonico e insieme all’abbonamento mi hanno dato un nuovo telefonino con un nuovo numero dal quale ho spedito questi messaggi sul mio vecchio cellulare. Naturalmente questo ragazzo l’ho incontrato realmente in treno, abbiamo scambiato due chiacchiere. Ma chi lo conosce! Nemmeno ricordo il cognome, me ne sono inventato uno. L’ho usato solo come espediente. -

-Espediente?-

Continuo a chiederle.

-Sì, volevo farlo ingelosire, e sono disperata perché non so che altro inventarmi per tenerlo vicino visto che non è più interessato a me. Volevo capire quanto ci tenesse e la reazione di indifferenza ne è la prova evidente: non gliene importa niente! Sono invisibile, non esisto per lui. È praticamente assente, sempre perso dentro i fatti suoi.
Voglio svegliarlo, voglio scuoterlo.
Ho provato di tutto. Ma nonostante non mangI più,  aver perso sette chili, cambiato parrucchiere e taglio di capelli mio marito non si accorge di nulla. Mi invento pretesti e vacanze con le colleghe di lavoro solo per ottenere una qualche reazione, perché intendiamoci, del viaggio con le amiche non mi importa proprio nulla. Io voglio sentirmi amata e desiderata da mio marito ed invece mi sento trascurata!
Le donne cambiano look o per sedurre il marito o perché hanno un amante e in entrambi i casi i consorti non si rendono conto di quello che sta succedendo. E con un uomo del genere, sempre addormentato, è ovvio che poi la moglie si fa l’amante …. naturalmente non è quello degli sms e soprattutto non lascio indizi in giro!  
Che ne dite se lo provocassi con il farmi vedere da tutti a passeggio per Porto San Giorgio con il cameriere del Tucano’s Beach, magari sentendosi dare del cornuto riesco a rianimarlo....??
-


Alla fine non sono riuscita a fare pranzo, una sola forchettata tolta al volo alla moglie delusa. 

È  avvilente e desolante vedere come le donne si inventino "casualità" per cercare di far rinascere l'interesse in mariti che non sono più attratti. È davvero patetico come si ingegnino a lanciare continui segnali ma questi maschietti non danno segni di vita. Mi sembrava la tragedia di una commedia degli intrighi mal riuscita.
Una storia che sempre si ripete.
Le donne fanno diete assurde, smettono di mangiare per attirare l’attenzione dei loro maschi. Massaggi dimagranti e parrucchieri, biancheria intima e vestitini sexy, minigonne e tacchi a spillo, telefonate, mail e messaggini non servono a niente! Si fingono emancipate, con il solo scopo di far ingelosire il marito perché quello che vogliono è comunque mantenere una condizione di dipendenza costante e continua verso il proprio uomo. Hanno sempre bisogno di una nuova interpretazione per non avanzare credendo che senza un paio di pantaloni in giro per casa siano perse.
Si ostinano inutilmente alla ricerca dell’uomo perfetto che non esiste, ma nel frattempo si sposano e fanno figli …. magari con l’amante!

La diversità non sta nell'ascoltare della sbadataggine presunta o vera della mia amica, ma nel decidere di far leggere al proprio marito ben altro tipo di messaggi e non per finta fatalità, lasciando il telefono dimenticato in qualche angolo della casa, ma leggendoglieli direttamente e di persona. La realtà è che certi mariti se non gli sbatti la verità in faccia credono sempre sia lo scherzo del primo aprile, ma altri, anche se gliela sbatti in faccia, riescono a schivarla facendo finta di non averla mai sentita!

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venerdì 20 agosto 2010

CRONACHE DEL RICORDO

Passeggiando in bicicletta … tra passato, presente e futuro.
Di Laura Gioventù


Contadini fotodi Gianluca Stradiotti da www.fotocommunity.it


Oggi è quiete, la quiete dopo la tempesta. Ma anche quella che precede il temporale è quiete!
Vabbè, comunque sia, dopo l'acquazzone estivo di ieri è arrivato uno splendido sole, sono da poco passate le 16 ed è il momento ideale per uscire e fare un giro in bicicletta. Mi sembra l’occasione giusta per testarla dopo il restauro. La bicicletta, infatti, modello olandese, apparteneva a mia madre che l’acquistò nel 1973 con i soldi che aveva risparmiato trapuntando, sotto casa, le scarpe. Noi siamo “scarpari”, non ce lo dimentichiamo. E per anni è stata dimenticata in garage, abbandonata alla polvere e alla ruggine, fino a quando, insieme con mia sorella, abbiamo cercato di sistemarla alla meglio.
Monto in sella e scendo per il grande viale alberato che si affaccia sulla provinciale.
Come giro l’angolo mi accorgo di una piccola tabaccheria di cui ignoravo l’esistenza, nonostante, da quando mi sono trasferita qui due anni fa, ci passi davanti quotidianamente.
Sarà per la fretta oppure l’abitudine, ma con la macchina ci si concentra a guardare solo la strada, mentre ora sulle due ruote è buffo vedere come si cambi completamente scenario e punto di vista.
Proseguendo verso Fermo, la strada si fa un pò in salita ma la mia pedalata rimane comunque fluida.
Umidità ed afa sono scomparse ed è come se la pioggia avesse lavato anche l’aria che, così frizzante, rende meno cocente il sole di agosto.
Pedala che ti pedala, all’improvviso, mentre attraverso la viuzza di una piccola frazione, sento la bicicletta girare a vuoto e mi accorgo che la catena è uscita dalla sua sede.
E per fortuna che l’avevamo messa a posto! Questo è un bel guaio – mi dico- ed ora come faccio? Per la solita fretta di uscire, quella fretta maledetta che mi frega sempre, ho dimenticato pure il cellulare a casa!
Mi trovo davanti delle vecchie case tutte attaccate tra loro che stringono formando un piccolo borgo. Faccio alcuni passi con la bicicletta “a barbetta” ed intravedo l’insegna anni settanta di una piccola officina. La serranda è alzata così mi avvicino sperando di trovare qualcuno che possa aiutarmi ma,  non appena faccio leva sulla maniglia della porta per entrare, mi accorgo che è chiuso. Provo allora a suonare il campanello.
- Cocca, non c’è nessuno è inutile che insisti! – sento dire,
mi guardo subito intorno per vedere da dove proviene la voce. Mi giro e vedo tre signore anziane sedute davanti l’uscio di una piccola abitazione, tutte intente ad osservare la scena in silenzio.
- Scusi signora, chiedo ad una delle tre, sa per caso se torneranno? L’officina è chiusa, cerco qualcuno che mi sistemi la catena della bicicletta. Chi mi potrebbe aiutare?-
Penso di essere capitata davanti le solite vecchie comari brontolone, rincoglionite e pure un po’ impiccione ma, nonostante la mia  perplessità, mi avvicino procedendo a slalom tra i vasi di coccio di gerani spelacchiati che disegnano sul marciapiede uno pseudo recinto.
- Io ho aspettato tutta la vita che tornasse mio marito. Partì per la guerra e non è più tornato. Ancora lo sto aspettando … figlia mia, non tornerà nessuno, l’officina è chiusa! Il proprietario se n’è andato a miglior vita. Anche la casa è vuota, i figli fanno la loro strada e non hanno tempo per i loro vecchi …eh…la “capezzaja”(1) è dura …. ma fammi un po’ vedere qual è il problema …- Mi dice l’anziana signora,
mentre si alza dalla sedia mezza sgangherata e si china per controllare la mia bicicletta.
Minuta, con la schiena curva, la vestaglia a fiorellini incrociata alla vita e lo sguardo severo mi ricorda tanto mia nonna,che parlava proprio come questa signora e comincio a domandarmi chissà quanti anni avrà. Difficile stabilirlo, sicuramente più di ottanta, forse ottantacinque oppure novantacinque....magari anche duecento.
- Ora ci sono le macchine ma ai nostri tempi avevamo solo le biciclette per spostarci e quando eravamo noi a pedalare, dietro avevamo file di giovanotti che ci corteggiavano ogni domenica all’uscita dalla Chiesa. Aspettavano tutta la settimana per poter scambiare due parole, solo due parole con noi...facevamo le preziose…-
E mentre la prima signora era tutta concentrata a trafficare sulla bicicletta, l’altra proseguiva.
- Il sabato si andava a piedi fino a Grottazzolina, con il canestro in testa per vendere la uova al mercato. Facevamo più di dieci kilometri per fare due soldi che mettevamo via per comprare la biancheria, che faceva da corredo per quando ci si maritava...- , racconta la donna seduta sulla panchina di cemento.
Gli anni l’hanno appesantita e i piedi sembra stiano per spararle tanto sono gonfi. E’ tutta presa nel ricordo della sua gioventù e mentre parla sembra gli si sia risvegliato l’ardore di un tempo. Ma questa viene subito interrotta dalla terza donna, impaziente, come i bambini quando fanno a gara a chi corre più veloce, di prendere parola anche lei.
- Non avevamo niente, e molti di questi ragazzi partirono per l’America e l’Australia in cerca di lavoro. Alcuni si sposarono e si costruirono una vita là e non tornarono più in Italia. Di altri ci restano solo i sorrisi e le acconciature piene di brillantina. Chissà ora dove saranno tutti sti ragazzi….Anche le donne partivano, ma non tutte. Io sono rimasta qua ad aspettare per più di otto anni. Ci si sposava ma si restava tutti in famiglia e io avevo i figli troppo piccoli.- Dice la terza donna,
forse la più anziana di tutte, con il volto segnato, l’aria affaticata e la mano destra un po’ tremolante appoggiata ad un bastone.
Continuano a parlare, continuano a raccontare, continuano a ricordare sovrapponendosi fra loro, e hanno tutta l’intenzione di non smettere più.
- La domenica la “vergara” faceva la “pannella”(2). Non compravamo quasi nulla, il pane e la pasta li facevano in casa ogni settimana. Del maiale ammazzato a luna calante non buttavamo via niente e con il grasso avanzato e con la soda ci facevamo il sapone. Attorno al “callà”(3) stavamo ore a mescolare e quando, il sapone non veniva bene per l’invidia dei vicini che avevano malaugurato era una grossa disgrazia.-
-ma queste sono solo vecchie credenze, non è che per caso invece sbagliavate qualcosa nella ricetta?- mi permetto di interromperle.
-No, no, il sapone non veniva per l’invidia dei vicini oppure quando c’era una donna che aveva il ciclo e toccava il bastone che si usava per mescolare! E poi con quello stesso sapone andavamo al fiume a lavare a mano le lenzuola. E dopo averle lavate ci colavamo sopra la cenere con l’acqua bollente. I vestiti, anche quelli ce li cucivamo in casa. La mia era una famiglia numerosa, eravamo otto figli e ci scambiavamo i vestiti tra fratelli. Ci prestavamo anche le scarpe. I primi, di ritorno dalla messa della domenica, le passavano agli altri….i miei fratelli maschi ora sono tutti morti ma io li penso ancora….-

Donne anziane, donne sole, donne sedute sull’uscio delle loro case in un silenzioso riposo, donne a cui non avrei dato neppure un soldo di fiducia ed invece, invece sono proprio loro che mi aggiustano la bici mentre mi raccontano, prese dai ricordi e assalite dalla nostalgia, di quando essere abbronzati costituiva motivo di vergogna perché significava essere dei contadini, che prima di andare a scuola a piedi si “stramavano”(4) i maiali, di quando c’era solo il camino per scaldarsi in inverno e prima di coricarsi si scaldava il letto con “il prete e la monaca”(5), di quando i materassi erano fatti con le sfoglie del granoturco, di quando il ferro da stiro era di ferro e di quando le Marche erano sporche e per andare a Roma si faceva la Salaria a dorso di somaro.

Sono passate più di due ore, la mia bicicletta è sistemata e, mentre ritorno verso casa, ripenso a tutte le storie che mi hanno raccontato e che si confondono con i miei ricordi di bambina, quando mia nonna mi raccontava le stesse cose. Ma io avevo completamente dimenticato del sapone fatto in casa e la “pannella” non ho mai imparato a farla.

Sempre più spesso nella gente che incontro percepisco un disinteresse crescente, soprattutto per le nuove generazioni, nel conoscere le nostre tradizioni. Quasi un rifiuto, come se fosse motivo di vergogna che i nostri nonni fossero stati mezzadri.

Tutti questi racconti, spesso pieni di credenze popolari, sembrano vecchi di secoli ma sono stati realtà fino settant’anni fa. In poco più di cento anni la nostra epoca ha visto grandi cambiamenti. Cambiamenti talmente repentini che si rischia di dimenticare chi siamo e da dove veniamo. Cambiamenti pieni di storie, storie simili a quelle ascoltate, nelle quali queste donne hanno vissuto direttamente, anche se i protagonisti furono altri come loro, diventando presenze silenziose, testimoni di avvenimenti umani tutti da raccontare e da registrare,
e mentre pedalavo pensavo che se non le conservassimo la nostra storia, la storia della vita contadina della Marca Fermana non sarà mai raccontata fino alla fine per come è stata, ma solo per come ci piacerebbe fosse stata e andrà perduta per sempre.

Se non si corre ai ripari registrando tutte queste storie presto perderemo l'identità, la nostra identità, e a quel punto non ci servirà a niente fare le sagre se non ricorderemo il perché da noi il salame si chiama “ciabuscolo” o “ciauscolo”, e che vuol dire “vincisgrassi” e a cosa servono le ricorrenze se nessuno si ricorderà per cosa, se non raccogliamo tutte queste testimonianze tramite interviste o appositi centri di raccolta. Perderemo pure la ricetta del sapone.

È un grande paradosso fare appello alla nostra tradizione e alla Storia di Marca Fermana quando non sappiamo nemmeno conservare questo valore.
Ecco allora che, sulla stessa esperienza fatta alcuni anni fa in Piemonte, si potrebbe dar vita ad un vero e proprio Archivio della Memoria.

La Regione Piemonte finanziò tra il 1993 ed il 1996 un gruppo di ricercatori che andarono nei piccoli paesini ad intervistare gli anziani, con l’intento di documentare, attraverso le fonti orali, l’esperienza di guerra dei reduci del Primo conflitto mondiale ancora presenti sul territorio della provincia di Biella. Un’operazione di recupero e di valorizzazione della memoria e della storia orale dettato dall’urgenza della conservazione e che da una piccola porzione del territorio piemontese si estese alle altre province del Piemonte concludendosi nel 2007 in Lombardia con la videointervista a Delfino Borroni, l’ultimo reduce italiano della Grande guerra.
Facendoli parlare riuscirono a produrre un archivio della memoria notevole, chi parlava dei Savoia e chi del grande Torino, chi della prima macchina Fiat e chi della montagna.
Insomma, attraverso le interviste riuscirono nel compito di memorizzare una parte della storia.

La stessa cosa potrebbe fare la Provincia di Fermo che in forma simile potrebbe allestire dei centri di raccolta dislocati presso i centri sociali dei vari paesini, ed incaricare alcuni ragazzi di intervistare le persone anziane facendo delle video-interviste, raccogliendo racconti, storie e foto. Sarebbe un tentativo di fare storia “dal basso” dando voce, attraverso il ricordo sollecitato, alle persone qualunque, generalmente estranee ai circuiti della memoria “ufficiale” e per questo destinate a non lasciare tracce evidenti.




Note.
(1) Capezzaja, chiamasi l'inizio e la fine del campo da arare. L’espressione “…è dura la capezzaja” si usa, sempre più raramente, come eufemismo per indicare la vecchiaia, ovvero l'ultimo pezzo di vita più difficile come la fine del campo da arare dove diventa difficile girarsi con l’aratro.
(2) Pannella, ovvero “sfoglia” di pasta fresca all’uovo. Materia prima per lasagne o tagliatelle, in base a come viene tagliata.
(3) Callà, abbreviazione di “calderone”, grande contenitore in rame.
(4) Stramare, ovvero abbeverare il bestiame.
(5) Prete e Monaca, nome usato per indicare quella struttura di legno che si posizionava nel letto tra il materasso e la coperta. Al centro di questa struttura si piazzava una ciotola con manico di terracotta, la monaca, nella quale veniva messo carbone acceso e cenere che riscaldavano il letto. Il prete impediva alle lenzuola di essere a contatto con il carbone e di prendere quindi fuoco.

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lunedì 16 agosto 2010

CRONACHE DOMESTICHE

Si deve smettere di tacere quando si ha qualcosa da dire che valga più del silenzio 
di Laura Gioventù



Al Sindaco di Porto San Giorgio, Avv. Andrea Agostini,
A tutte le donne,
A tutte le donne Sindaco e/o che ricoprono cariche amministrative pubbliche,
Al Presidente della Provincia di Fermo, ed a tutti i Sindaci della Provincia di Fermo,
All’Assessore alle politiche sociali, giovanili, per la famiglia e per la pace, cooperazione e sviluppo, pari opportunità e dello sport della Provincia di Fermo Dott. Gaetano Massucci.



Porto San Giorgio/Fermo - “Sono questioni private” sono queste le parole di commento del primo cittadino Sangiorgese rilasciate alla stampa locale quando la notizia dell’arresto del dipendente comunale è diventata ufficiale.
L'uomo, 60enne, residente a Fermo e addetto al servizio anagrafe del comune di Porto San Giorgio, dopo la denuncia della moglie 66enne, è stato prelevato dal suo posto di lavoro lo scorso mercoledì (11 agosto), verso l'orario di chiusura, con l’accusa di percosse, lesioni, umiliazioni e vessazioni di ogni tipo nei confronti della moglie.
Solo dopo 30 anni di maltrattamenti, soprusi e violenze fisiche e psicologiche la signora, che si era rivolta al pronto soccorso per la cura delle ennesime lesioni procurategli dal marito,  ha detto basta, si è fatta coraggio e ha denunciato il coniuge.
Solo dopo trenta anni?
Trenta lunghissimi anni?
Come è possibile?
A Fermo, a Porto San Giorgio, nelle Marche, dove si vive tanto bene con le case tutte nane?
Sì, e probabilmente non sarà l’unico caso di violenza tra le mura di casa. Molti abusi infatti restano non denunciati.

Ma l’episodio, nei piccoli paesi della nostra Provincia, dove si fa sempre un gran chiacchiericcio e le notizie viaggiano più veloci della luce, sembra non aver scandalizzato più di tanto l’opinione pubblica! Come mai?
I cittadini, forse ancora reduci dagli eccessi della notte rosa sangiorgese, sembrano più preoccupati di godersi le vacanze al mare e più interessati ad assistere allo squallido “teatrino della politica” offertoci in questi giorni sui quotidiani online proprio dai politici locali.

In un clima omertoso ed indifferente tutti leggono e rimangono impassibili e nemmeno le donne esprimono solidarietà ed indignazione per le loro simili.
E allora, proprio al Sindaco Agostini, che da ignavo si è ben guardato dall’entrare nel merito di tutta la faccenda sia dal un punto di vista legale sia morale glissando superficialmente la questione, vorrei proporre, in qualità di datore di lavoro dell’uomo, un possibile intervento.

Se una moglie per tanti anni subisce violenza al punto da far arrestare il marito, non sarebbe giusto, come risarcimento danni da parte del marito –che dovrebbe essere licenziato-, cederle il suo posto di lavoro così da renderlo indigente e non poter imporre alla moglie una sudditanza che spesso è principalmente economica? Oppure, in alternativa al lavoro, vista l’età della donna nel caso specifico, non si potrebbe almeno passare alla signora l’intero stipendio del marito?

Sarebbe un’azione di aiuto emblematica e al tempo stesso concreta e potrebbe essere l’esempio che potrebbe convincere molte donne ad uscire dal silenzio. Un posto di lavoro (nei casi in cui sia possibile) e/o una garanzia economica le aiuterebbero ad avere più coraggio perché questi sono i dati attuali:

8 casi di violenza fisica e di molestia su 10 avvengono in casa, nel 70% per mano del partner.
Il 69% degli stupri è commesso da un partner.
Il 90% delle violenze non viene denunciato.


Purtroppo le violenze fisiche, sessuali, psicologiche ed economiche sono ancora un tabù, e le donne che denunciano sono ancora pochissime, anche se in crescita.

Perché?

Perché nel nostro paese le donne continuano a stare al chiodo. Non portiamo lo chador o chadar o burqa, ma un velo di altro tipo: mentale e ce l’hanno messo proprio le nostre madri, zie e nonne. È questa la cosa più triste!
Alla base del silenzio ci sono una serie di motivazioni legate alla cultura e alla psicologia che si innescano nelle vittime, ma anche e soprattutto ragioni economiche, perché una donna maltrattata, senza lavoro, con figli piccoli, senza un posto dove andare e senza una famiglia alle spalle, in Italia è perduta!

Le associazioni per i diritti delle donne maltrattate offrono gratuitamente il primo incontro legale e psicologico ma poi, con qualche sconto, è la donna che deve provvedere a pagare le spese legali.

Senza parlare delle leggi italiane che di fatto non tutelano le donne vittime di violenze.
In Italia le mogli che hanno un carattere ''forte'' e che non si lasciano ''intimorire'' possono vedere assolti i mariti che le maltrattano. Infatti, proprio lo scorso 2 luglio, l’ANSA ha diffuso la notizia che la Cassazione ha annullato la condanna a 8 mesi di reclusione nei confronti di un marito, perché l'uomo ha sostenuto con successo che non si trattava di maltrattamenti, in quanto la moglie ''non era per nulla intimorita'', ma solo ''scossa ed esasperata''.

Questo è vergognoso!

mercoledì 11 agosto 2010

Laura Gioventù intervista Umberto Broccoli. Sfida alla Storia, 5 domande su 30 per capire se la storia cambierà.

Umberto Broccoli è autore di diversi programmi di approfondimento della Rai, collaboratore di diverse testate giornalistiche nazionali, conduttore televisivo italiano e conduttore radiofonico per  Radiouno Rai. Da luglio  2008, Sovrintendente ai Beni culturali del Comune di Roma e Direttore del Dipartimento di Archeologia medievale.

Per la quinta estate consecutiva, torna a Fermo, dal 10 al 29 agosto, con le sue trasmissione storiche “Con parole mie” e “In Europa”. Dall’aula magna della facoltà dei Beni Culturali di Fermo, Broccoli racconterà insieme ai suoi ospiti, il Fermano nella cultura, nella musica e nelle tradizioni.


10 agosto 2010.
La telefonata alle cinque del pomeriggio mi conferma l’intervista per le 18. Non immaginavo mi ricevessero così subito tanto che me ne ero quasi dimenticata. Allora sposto un impegno precedente e mi precipito, come al solito, temendo di ritardare l’appuntamento, ma arrivo, come sempre, just in time!

Che cosa domandare al nostro intervistato? Sarà la sorte a deciderlo!
Sì, perché questa volta ho scelto di impostare la mia intervista in maniera del tutto insolita.
Faccio un gioco con Umberto Broccoli!
Ho trenta domande diverse ma anche simili, alcune originali, altre un po’ meno pertinenti, stampate su fogli di carta, ritagliate e piegate. Dalla busta di plastica le vuoto tutte sul tavolo, le mischio e le faccio estrarre a caso al mio intervistato. Solo 5 domande su 30 … ed ecco che cosa ne è uscito fuori!


PRIMA ESTRAZIONE

“…Certe notti sei solo più allegro, più ingordo, più ingenuo e coglione che puoi
quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.”
Certe Notti – Luciano Ligabue

Non mi azzarderei mai a darle del coglione ma..lei le ricorda quelle notti, quei locali o solo piazze, in cui era allegro, ingordo con il vizio di non smettere mai, oppure è sempre stato una persona, come si dice spesso, con la testa sulle spalle?

-No, non sono stato mai una persona con la testa sulle spalle nel senso tradizionale del termine. Certo, quando ero molto giovane, dai 14 ai 27 anni è stato un inferno per me, in senso positivo, certo, perché con il fatto che ero un atleta  comunque sia, avevo una vita abbastanza movimentata. Certo, non bevo, non fumo e non faccio altro. Non assumo sostanze stupefacenti però, effettivamente, tirar tardi,  gli amici, il mare insomma nella vita non mi sono mai risparmiato!-

Ed ora?

-Ora è un po’ diverso, ho 56 anni, faccio sempre tardi con il tipo di impegni che ho. Le notti sono sempre sfrenate ma in un altro senso. Amo il legame con la notte, perché di notte si scrive, di notte si pensa. E quei mondi, che oramai sono abbastanza lontani, li riassumo con la fantasia nel senso che di notte produco quello che poi va in onda, più o meno, e poi scrivo. Sostanzialmente, scrivo. Per cui, se vogliamo la liaison esiste sempre, il legame esiste sempre perché c’era una fantasia materiale da toccarsi allora, quando ero ragazzo, e adesso c’è lo stesso tipo di fantasia però evidentemente incanalata in un onirico che poi diventa qualcos’altro. -

SECONDA ESTRAZIONE.

Cartografare è la passione per l’arabesco letterario da elaborare in un labirinto geografico oppure la semplice perdita di orizzonti mentre cerchiamo, come tanti Ulisse nella tempesta, la nostra Itaca interiore?

-Ho risposto un attimo fa. In realtà è questo: pensare e scrivere, anche se negli ultimi vent’anni è diventato un mestiere, sostanzialmente significa andare a riprendere delle cose nei cassetti più profondi della tua memoria e metterli in un ordine che sia ascoltabile, cioè che possano comunque interessare. Anche perché poi, alla fine, i cassetti della nostra memoria sono simili a tutte le latitudini, a tutte le età, a tutte le circostanze, a quelli degli altri. E quindi è facile, da questo punto di vista, andare a riprendere certe cose che possano poi servire per costruirci qualcos’altro … un grande psicologo tedesco che si chiama Carl Gustav Jung parlava di archetipi, gli archetipi Junghiani. Ma spieghiamo anche che cosa vuol dire. Significa che in ognuno di noi c’è un qualche cosa che è simile ad ogn’uno di noi. Quindi magari andando a ripescare un’esperienza antica, provando a cucire intorno delle sensazioni provate allora, andando a riscoprire cose che avevo scritto quando avevo vent’anni, inevitabilmente si parla a quegli archetipi Junghiani perché quelle stesse cose le ha vissute qualcun altro nello stesso identico momento e nella stessa identica situazione, quindi in realtà è un raccontare noi stessi per gli altri. -

La gente ha voglia di identificarsi …

-Sì, la gente cerca l’identificazione e credo che alla fine, senza io essere mai stato modello di nessuno, in realtà cerca anche dei modelli. Ma questo non perché adesso ne manchino, da sempre! L’uomo è sempre stato in crisi. L’uomo vive continuamente momenti di crisi. Crisi vuol dire cambiamento e gli anni sono sempre anni critici, quindi anni di cambiamento. Di fatto, raccontare delle cose accadute anche nel micro cosmo di noi stessi vuol dire parlare comunque a quei noi stessi che sono di fronte a noi e altrove.-

TERZA ESTRAZIONE.

Come vive Lei la sua sera, impegnato com’ è tra l’incarico di sovraintendente ai Beni Culturali di  Roma e la radio, è all’ insegna della produzione ulteriore di responsabilità, oppure è impostata sullo “staccare la spina” per fare cose che gratificano l’ uomo? Come si diverte Umberto Broccoli?

-Facendo quello che faccio. Le passioni le ho sempre avute, da ragazzo avevo la pallavolo e quella mi assorbiva moltissimo, adesso la mia vita pubblica si identifica molto con quella privata. Io non sono un personaggio, sono una persona, da sempre, sia in radio che in televisione. Non rappresento nulla. Faccio la mia vita e trovo un grosso piacere nel realizzare le cose che faccio, sia quelle che svolgo dagli ultimi due anni come sovraintendente al comune di Roma, ma soprattutto per questa fase radiofonica creativa. Poi magari mi stufo pure, però in realtà  la spinta iniziale è già il mio divertimento, è già il mio trastullo, la mia evasione, la mia emozione. Se provo un’emozione facendo una cosa, inevitabilmente questa verrà percepita anche da chi mi sta ascoltando e questo mi basta e mi avanza. Non ho bisogno di altro tipo di stimoli ed emozioni. E poi io non stacco la spina, ce l’ho sempre attaccata oppure ce l’ho sempre staccata. Non credo che esista una dimensione per cui si dice “adesso io non faccio più niente”. Poi, forse questo sì, da quando sono nati questi canali satellitari, mi incuriosisce il mondo della televisione. Mi ha sempre incuriosito molto. Perché anche quando facevo la trasmissione per la tv  “Tele sogni”, io non la guardavo. In realtà parlavo di televisione senza guardarla! Invece adesso mi diverte andare a vedere trasmissioni e filmati di repertorio, cose antiche, riproposte in questi canali, ma è sempre un interesse collaterale al lavoro che faccio … -

QUARTA ESTRAZIONE.

“ D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Italo Calvino
Fermo a quale domanda potrebbe essere la risposta?
E Roma, la sua città?


-Secondo me in tutti i nostri luoghi cerchiamo sempre noi stessi. Il paragone che mi viene immediato è quando andiamo in Cina e diciamo “ma questo assomiglia tanto a Torino”e si cerca sempre un punto di somiglianza,  oppure quello che troviamo è completamente difforme e vedi una città completamente distante da Torino. Noi abbiamo sempre un porto da cui partiamo e inevitabilmente nella città dove andiamo portiamo noi stessi. Non sono io ma è  Jacques Prévert, un poeta francese, che diceva che non siamo noi, ma è l’occhio che guarda male, quindi bisognerebbe, citando tra l’altro una frase del Vangelo, cambiare l’occhio.
A Fermo ci sono arrivato per caso, poi è stato un momento, nel 2005, dove avevo messo a frutto tutta una serie di fantasie che poi sono diventate spettacolo proprio qui! Quindi, inevitabilmente, la dimensione del sogno è legata a Fermo e la dimensione di una storia che non si è interrotta è legata a Fermo, che cosa c’è di meglio? Un sogno e una storia che vivi continuamente ogni volta che ci ritorni. Questa città, Fermo, potrebbe essere  proprio la quinta essenza del bene.
Roma invece è la mia radice, è il porto da cui parto. Parlare di Roma è fin troppo semplice e banale. C’è una definizione di Ennio Flaiano, che è meravigliosa!  Roma, diceva, è come un grande minestrone con tanti ingredienti e non ti devi fare troppe domande. Devi infilare il cucchiaio, tirare su e mangiare. Questo è Roma!-

QUINTA ESTRAZIONE.

La nostra Regione ha molte bellezze nascoste che lentamente gli altri stanno scoprendo, nella Provincia di Fermo secondo lei quale sarà la sorpresa paesaggistico-culturale che presto avrà la giusta consacrazione nazionale, la bellezza delle “Rolling Hills” oppure un paesino scoperto per puro caso, come avvenne per Capalbio in Maremma, solo perché qualche personaggio famoso lo nominerà nelle interviste? Lei che nome farebbe?

-Mi limiterei a Fermo.  Perché tutti  i paesi della Valle dell’Aso sono inflazionatissimi, e già, volendo, sono diventati tutti delle piccole Capalbio. È diventato molto “in” andare a Pedaso, oppure a Campofilone. Però, io prenderei Fermo come punto di riferimento perché c’è questo uso del mattone che ci richiama alle costruzioni ancestrali. All’inizio sembra duro. Vedere il paesaggio di Fermo da lontano sembra quasi aggressivo, questo mattone arcigno che ti guarda da lontano, la cattedrale che sembra incombere, pare un rapace che si è fermato sulla collina. In realtà poi entri dentro e trovi il colore rosso che ti avvolge. Il colore rosso che ti fa sembrare tutto quanto naturale. Quindi io direi senz’altro Fermo. E poi diffiderei largamente delle mode. Io a Capalbio sono andato una volta e non certamente per vedere la città e quando le cose diventano di moda è quello il momento di fuggire via rapidamente.-


Che cosa contengono le altre 25 domande? Lo scopriremo solo … intervistando …. se il nostro caro Umberto vorrà giocare ancora con me!


Di Laura Gioventù


Pubblicato su seratiamo.it seratiamo.it

180gradi. Una cotta per il pane.

180gradi
Via Montani n. 10/12 - Fermo
tel. 0734-600710

www.180gradi.it
180gradi@gmail.com


Situato nel centro storico, nei pressi dell’ ITIS di Fermo, 180gradi è la panetteria che si trasforma! Al mattino panetteria e bar, dalle 12 alle 15 il locale è pronto per un pranzo buffet con piatti sfiziosi che possono anche essere ordinati da asporto. Nel pomeriggio, dopo il the, dalle 18 le luci si abbassano ed il locale si trasforma in un ambiente nuovo per uno stuzzicante aperitivo-degustazione. Ma è dopo le 21, solo durante il weekend, che 180°gradi regala l’atmosfera speciale, anche un po’ romantica, di una cena a lume di candela con sottofondo musicale. “Indovina chi suona a cena” è la particolare proposta dal locale, una perfetta alchimia tra musica jazz e deliziose idee culinarie. A cena e per tutto il dopo cena, il Jazz, il cibo ed il vino, saranno sublimi animatori indiscussi dei sensi. Un altro imperdibile appuntamento, la prima domenica di ogni mese, è con “The kitchen party”, un ricchissimo aperitivo-cena con musica e mostre d’ arte dove gli artisti locali hanno la possibilità di farsi conoscere. Cibo e arte, un abbinamento rivoluzionario! Questo poliedrico locale nasce nel 2007 sulla base della pluriennale esperienza della famiglia Del Papa, con l’ idea di creare uno spazio-luogo che esprimesse la passione per la tradizione e la cultura per il pane. “Il pane è alla base di tutto”, come sottolinea più volte il titolare Marco Del Papa. Una novità nel panorama della ristorazione del territorio, fantasia nei piatti ma con profonde radici nella tradizione millenaria della panificazione e con una grande attenzione alla scelta delle materie prime e dei sapori locali. Gli ambienti sono ricercati e giocano tra essenzialità e dettagli sofisticati.

http://www.seratiamo.it/fermo/locali/180gradi-330/

domenica 8 agosto 2010

CRONACHE FERMANE

"A far l'amore dove si va?"
Di Laura Gioventù





È un pigro martedì pomeriggio ed è una di quelle giornate un po’ strane, fa caldo e non ho voglia di fare niente.
Mi trascino apaticamente per casa e non so se cominciare a battere la testa contro il muro oppure uscire. Beh sì, forse sì, ho la luna è un po’ di traverso, capita a tutte, ma questo non significa mica essere lunatici. Bloccata all’ingorgo del malessere svolto a destra in un divieto di eccesso: decido di andare dal parrucchiere per farmi fare i colpi di sole. Ma sì, voglio cambiare un po’!
Una botta di matto, ogni tanto ci vuole.
Arrivo senza un appuntamento pensando di non trovare nessuno ma sono subito scoraggiata dalla fila che mi attende. Non è possibile, è sempre la solita storia pure di martedì. Oggi non ho proprio voglia di aspettare e mentre sto decidendo di andarmene via, mi accorgo che tra le clienti ce una ragazza che conosco.

- Ciao Chiara, scusami ma non ti avevo riconosciuta con la carta stagnola in testa! È tanto che non ci si vede! Raccontami che combini di bello … come mai da queste parti? -

Nel frattempo appoggio la borsa e mi accomodo su uno sgabello. E chiacchiera che ti passa … che fai … che non fai … come butta, decido di restare, tanto la giornata è comunque andata.

- Mi sto facendo le meches Laura, voglio darmi una sistemata perché ho la ricrescita che si vede troppo. Questa sera con le amiche e i fidanzati ce ne andiamo al Babaloo, per lo schiuma party. Si festeggia il compleanno di una ragazza .… ma prima ce ne andiamo tutti a mangiare una pizza. -

- Non mi dirai che ti sei fatta il ragazzo- le dico io.

Non faccio neanche in tempo a finire di pronunciare la parola “ragazzo” che lei comincia a sorridere a trentadue denti ed inizia a raccontarmi tutta euforica!

- Si, si chiama Luca, è alto, con gli occhi scuri e i capelli riccioluti sempre spettinati, la barba un po’ incolta e la faccia da bambolotto.
Quant’è bello!
È l’amico di un’amica della mia amica Antonella. Ci siamo incontrati lo scorso inverno per caso ad una festa e mi sono subito detta che questo è l’uomo della mia vita! -

Beh ad ascoltarla, mi viene da pensare che io non mi sbilancerei troppo con questi paroloni, a 20 anni i ragazzi si prendono e si lasciano, ma gli occhi a cuore non mentono mai! Sembra proprio innamorata, cotta e stracotta … che carina!

- È appassionato di musica, prosegue lei, e suona pure la chitarra. Insieme ad un gruppo di amici ha messo in piedi una piccola band. Per mantenersi agli studi, fa il cameriere in uno chalet d’estate e in un ristorante d’inverno così nel fine settimana lavora quasi sempre. Ultimamente non riusciamo a vederci tanto spesso. Le sere in cui non lavora e quando non suona con i suoi amici, ci vediamo da lui, ma i suoi genitori gironzolano sempre per casa e non c’è privacy nemmeno per vedere un film. E a casa mia la camera è sempre occupata da mia sorella con il suo ragazzo.
Qualche volta ce ne restiamo in macchina più per forza che per scelta …. sembra essere l’unica alternativa.
In inverno si gela e in estate sembra di stare dentro un forno a legna!
Ma diciamoci la verità, oltre che scomodo può essere molto pericoloso! Lo scorso 18 giugno, di ritorno dal concerto di Vasco Rossi a Rimini, alle quattro del mattino, stanchi ma al tempo stesso euforici, ci siamo guardati e non sapevamo che fare, se fermarci in qualche posto un po’ isolato o proseguire dritti verso casa . Ogni volta dobbiamo impazzirci nel trovare un luogo non troppo nascosto ma nemmeno troppo in pubblico. Ci siamo allora inoltrati per una stradina di campagna molto isolata, vicino ad un casolare che sembrava all’apparenza abbandonato. Ad un certo punto abbiamo sentito dei rumori, poi una luce, c’era qualcuno in lontananza, forse un guardone, oppure un maniaco, o solamente il proprietario della casa, so solo che la mia mente in preda al panico ha iniziato subito a viaggiare per le ipotesi peggiori, ed ho cominciato a dire “andiamo via, portami a casa”. Ci siamo spaventati moltissimo ma per fortuna, solo molta paura.
L’altra sera siamo usciti in bicicletta, ci siamo visti con gli amici per bere qualcosa in uno chalet ma a un certo punto ce ne siamo andati via, volevamo stare un po’ da soli in santa pace. Non sapevamo dove andare. Abbiamo fatto una passeggiata sulla spiaggia e ci siamo accucciati stretti stretti in due su un lettino a chiacchierare e ci siamo addormentati. Più di quello non potevamo fare, c’è sempre gente e si corre pure il rischio di una denuncia. A un certo punto siamo stati svegliati di soprassalto dal rumore di vetri rotti, c’erano dei ragazzi un po’ strani che facevano un gran chiasso, degli esaltati che si divertivano a rompere le bottiglie di birra e cominciavano ad alzare le mani.
Stasera in discoteca faremo tardi, e vorrei organizzarmi, non solo con i capelli, per trovare un posto dove poter avere un po’ più d’intimità e stare tranquilli. Ma tu, quando eri fidanzata, come facevi? -

Eh, eh, bella domanda mia cara. Questo è un problema per la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze, a meno che non si abbiano genitori che si danno alla pazza gioia tutte le sere o magari solo  i fine settimana lasciando la casa libera, o a meno che non si possegga un'altra casa.
E mentre pensavo alle parole di Chiara,  lì dal parrucchiere, seduta dall’altra parte c’era pure la madre della ragazza, che ha ascoltato tutto il racconto in silenzio senza dire una sola parola in merito. E allora mi sono rivolta a lei e le ho chiesto che cosa ne pensasse.

- Cosa ne penso, cosa ne penso … Ovviamente faccio il tifo per mia figlia, perché alla sua età avevo gli stessi problemi, ma eravamo tutte noi talmente inesperte, piene di falsi retaggi e paurose di apparire delle sconsiderate che non sapevamo come fare e non ne potevamo nemmeno parlare.
I tempi cambiano al punto che ora sono le ragazze che si preoccupano dimostrando di non avere false vergogne e dimostrandosi molto responsabili, forse più responsabili dei maschietti, e con tutti i delinquenti che ci sono in giro i pericoli aumentano, ma la questione rimane sempre la stessa "A far l'amore dove si va?".
Non c’è niente di scandaloso nell’affrontare questi discorsi, del resto con quell’atto siamo venuti al mondo tutti quanti. È impossibile e inutile pensare di poterlo impedire ai nostri figli, è una cosa naturale, perché non parlarne serenamente? Ma soprattutto sono molto preoccupata per la sua sicurezza. Sono terrorizzata al solo pensiero di non vederla rientrare. Vorrei avere la certezza che torni a casa sana e salva, e magari anche felice, invece che trovarla sfracellata contro ad un lampione sulla statale adriatica all’altezza del kilometro 372 -

Come darle torto, la sua preoccupazione accomuna tutti i genitori ed è inutile mettere la testa sotto la sabbia e continuare a fare finta di niente. La sera i giovani fanno tardi, le stragi non sono solo quelle del sabato sera e il rischio di venir violentati oppure malmenati esiste e sono problemi reali.
Allora ho cominciato a riflettere sulle strutture alberghiere della nostra Provincia.
Gli alberghi si potrebbero organizzare riservando delle camere a basso prezzo per quei giovani che di rientro da concerti e discoteche non vogliono più correre il rischio di ammazzarsi per strada ma anche per le loro esigenze sessuali lecite e logiche. Un appoggio sicuro ad un prezzo ragionevole per le loro tasche, per le tasche di quei giovani che hanno un’età compresa tra i diciotto e i ventisette anni.
Oppure ci si potrebbe organizzare con l’affitto ad ore delle camere ed ipotizzare due fasce orarie, per esempio dalle 12 alle 20, e dalle 20  in poi, con uno sconto del 10% come incentivo per il secondo orario.
Si tratterebbe di una soluzione turistica umana adeguata alla realtà, perché non dimentichiamolo, il problema esiste e non è nascondendo la testa nella sabbia che lo si risolverà, e poi potrebbe essere anche vantaggioso per gli alberghi perché le stanze potrebbero essere occupate a doppio turno con un maggiore incasso totale per i gestori a fronte comunque dell’abbassamento dei prezzi per singola stanza.
Non ci nascondiamo dietro alibi religiosi, è da ipocriti non parlarne. Le politiche giovanili potrebbero sensibilizzare al problema e insieme con le Associazioni alberghiere potrebbero sviluppare una serie di ipotesi in merito e non si tratterebbe di un’operazione da burocrati di partito ma da politici illuminati.

Pubblicato su ....  seratiamo.it

Intervista a Gaetano Massucci di Laura Gioventù

Laura Gioventù incontra il Dott. Gaetano Massucci, Vice Presidente Giunta Provinciale di Fermo, Assessore alle politiche giovanili, sociali, per la famiglia e per la pace, cooperazione e sviluppo, pari opportunità e dello sport della Provincia di Fermo



Fermo giovedì 27 maggio 2010

La sua professione la porta sempre a “entrare all’interno” dei corpi malati, secondo lei, la nuova Provincia di Fermo è un corpo sano in cerca di malattie da guarire con l’esempio di una buona amministrazione, oppure è l’esempio di come una sana vita provinciale possa essere la migliore prevenzione circa pericolose esagerazioni sociali?

Una sana vita è comunque il modo migliore per prevenire qualsiasi malattia. Sono d’accordo. E, di conseguenza, anche la sana vita politica è la migliore prevenzione circa pericolose esagerazioni sociali a tutti i livelli, comunale, provinciale, regionale, nazionale, europea e mondiale. Perché se viene a  mancare la “buona” politica, i problemi si presenteranno a tutti i livelli. Noi la pratichiamo a livello provinciale, ma ognuno, nel suo compito, è chiamato a svolgere una buona pratica amministrativa.

Lei ha una moglie e due figlie, per cui in famiglia potrebbe essere un beato fra le donne, forse abituato a sentirsi l’unico maschio presente. Non le sembra strano che nella Giunta Provinciale non ci sia neppure una donna e che sia lei l’assessore per le pari opportunità e non una donna, come una certa logica sociale consiglia in questo particolare periodo storico?

No, non mi sembra strano. Anzi, secondo me è già pregiudizievole il fatto di credere che le pari opportunità le debba rappresentare per forza una donna. Se uno crede a una certa idea, la deve portare avanti indipendentemente dall’essere uomo o donna e le pari opportunità sono importanti perché siamo persone. È di fondamentale importanza. Io, come uomo e poiché persona, mi sentirei dispiaciuto se una donna fosse penalizzata per il genere, quindi perché donna. Io ne sarei dispiaciuto in quanto persona! Il mio incarico di assessorato s’interessa della giustizia sociale a tutti i livelli, anche quella di genere. Spero di avere la sensibilità giusta … anzi, diciamo pure, credo di avere la sensibilità giusta per occuparmene.

Quindi a lei hanno assegnato l’incarico per questo motivo …?

Le pari opportunità vanno in abbinamento alle politiche sociali e siccome quello era il settore nel quale mi collocavo sicuramente separarle sarebbe stato sbagliato. Poi se ci fosse stata una donna, magari questo incarico sarebbe stato affidato anche a una donna, ma siccome non c’è nessuno in gonnella…

Come mai la Giunta è composta di soli uomini?

Beh, questa è una scelta che non dipende da me, ma dal Presidente …

Non ritiene più giusto che alle pari opportunità ci sia una donna?

Non mi sembra essenziale. Non si tratta di un fatto di giustizia. Anche questo è pregiudizio. Non mi sembra necessario. Se fosse obbligatorio, allora sarebbe un errore. Il solito discorso …
Una donna potrebbe stare anche al patrimonio, oppure potrebbe avere le capacità per essere Presidente … e non per forza solo ed esclusivamente alle pari opportunità. Fino ad ora poi non ci sono stati problemi da questo punto di vista …

Come Assessore per i giovani, ma anche come padre, lei i nostri ragazzi come li vede, compiutamente inseriti nel tessuto socio-culturale Italiano, oppure bisognosi di maggiori confronti umani e dialettici con i loro coetanei delle altre regioni e delle altre nazioni Europee?  Potrebbero, almeno loro, scrollarsi di dosso l’etichetta di “provinciali” che ha spesso connaturato i Marchigiani?
Le domande sono due … io penso che i nostri giovani siano sempre bisognosi di maggiori confronti umani e dialettici. Non sono inferiori a nessuno e vivono gli stessi problemi che avvertono tutti gli altri ragazzi Italiani ed Europei con quel disagio tipico del mondo giovanile. Tuttavia quelli Marchigiani, hanno delle caratteristiche positive in più. Vedo la domanda posta in negativo, come a dire “questi poveracci che …”… no, no, i ragazzi della nostra Provincia sono avvantaggiati più di altri perché, hanno sì, gli stessi malesseri legati all’adolescenza, ma, nel nostro territorio, meno che in altri, è stato compromesso il luogo fondamentale dove l’adolescente cresce ovvero la famiglia. Nella nostra zona la famiglia ha tenuto più che in altre e questo ha portato a una maggiore tutela sia del mondo giovanile, sia degli anziani e del mondo lavorativo in genere. I ragazzi sono protetti da quella che è ancora un’Istituzione fondamentale: la famiglia. E in questo periodo di crisi economica, la tenuta maggiore del sistema è data proprio dalla presenza delle famiglie.
L’etichetta di Provinciali non credo che ce l’abbiano, per cui nemmeno se la devono scrollare di dosso. Abbiamo giovani che provengono dai nostri territori che hanno avuto la capacità di sfondare nel mondo. Anche se poi, magari, sono costretti ad andare a lavorare fuori, perché qui non ci sono specificate situazioni, questo è evidente, ma è anche vero che oggi non possiamo più pensare al “confine”… i giovani nel nostro tempo vanno dappertutto.

La cooperazione e lo sviluppo passano anche attraverso una nuova idea di multi-cultura, visto l’aumento di etnie nella nostra Regione, oppure dovremmo continuare con i nostri riferimenti culturali del passato come Leopardi e Rossini?  Le Marche, e la Provincia di Fermo in particolare, potrebbero dare vita a una nuova visione della cooperazione sviluppando nuove tematiche e offrendosi come “laboratorio” per futuri esperimenti socio-produttivi su scala mondiale?

Ogni domanda è già un tema con un preciso orientamento sulla risposta. Comunque, posso dire che la cooperazione internazionale nello sviluppo non è una prerogativa specifica della Provincia. La Provincia ha un suo ruolo ben preciso all’interno della cooperazione internazionale e non può proporre progetti particolari, è chiamata a intervenire solo in quelli per i quali è deputata. Il rapporto con gli Stati esteri è dello Stato centrale, principalmente, e ora, in parte, anche delle Regioni.
Sviluppare nuove tematiche nei confronti di altri territori e offrirci come laboratorio, beh, io penso che potremmo anche esserlo, ma non solo nello sviluppo della cooperazione perché la forza della nostra Regione ci permette di essere laboratorio per tante altre cose. La forza della nostra pluralità trova nella cooperazione un altro tipo di pluralità. Facilmente queste diversità si possono coniugare, ma non solo nella cooperazione internazionale, dappertutto!

Ripeto, la pluralità della nostra Regione e quindi anche della nostra Provincia ci mette nella condizione di avere automaticamente un’idea di multi-cultura perché siamo plurali. Perché siamo fatti di tanti paesi che parlano pure un dialetto differente l’uno dall’altro. Perché a Grottazzolina si dice, “jamo” a Monte Vidon Combatte di vice “jemo” mentre a Montottone per esempio si dice “jimo”. Essendo poi la cooperazione internazionale, una tematica di competenza dello Stato, come Provincia non possiamo stabilirne altre. Mi accontenterei, non vorrei essere così presuntuoso, di far bene nel nostro territorio. Se siamo capaci di far bene anche in rapporto con la cooperazione, lo dimostreranno i fatti, e solo allora potremmo essere capaci di diventare anche laboratorio per gli altri. Partire con l’idea di fare necessariamente qualcosa di particolare potrebbe essere un fatto, di per se, già condizionante negativamente. Noi dobbiamo dare le risposte e fare del nostro meglio in base alle esigenze del territorio, secondo quello che ci viene richiesto senza guardare a un secondo fine. Se possiamo dare una buona risposta all’integrazione e alla cooperazione con paesi esteri del terzo mondo, noi diamo delle risposte a delle richieste. Se cerchiamo di darle bene, poi saremo anche laboratorio, sarà una cosa in più. Ma è secondo me un doppio fine che non dobbiamo tenere in considerazione, perché non necessario.

La nostra Regione ha molte bellezze nascoste che lentamente gli altri stanno scoprendo. Nella Provincia di Fermo, secondo lei, quale sarà la sorpresa paesaggistico-culturale che presto avrà la giusta consacrazione nazionale, la bellezza delle “Rolling Hills” oppure un paesino scoperto per puro caso, come avvenne per Capalbio in Maremma, solo perché qualche personaggio famoso lo nominerà nelle interviste? Lei che nome farebbe?

Sarà sicuramente la bellezza complessiva del nostro territorio, le “Rolling Hills”. Riprendendo il concetto della pluralità delle offerte, noi abbiamo la bellezza di Fermo con le sue caratteristiche storico culturali, la singolare bellezza di ogni paese delle zone interne, di una Valdaso che offre un aspetto paesaggistico e delle caratteristiche diverse rispetto a quelle delle zone montane e della Valtenna. Questa eterogeneità è un’offerta quasi unica nel panorama italiano ed è questo il nostro vero punto di forza. La Toscana non è come noi, anche se molto analoghe, abbiamo delle potenzialità maggiori.

Come mai allora la Toscana è molto più gettonata delle Marche?

Semplicemente perché è stata promossa prima. E’ finita. Adesso tocca a noi che abbiamo caratteristiche che ancora non sono state valorizzate. Prendere il sole al mare, fare pranzo e andare a fare una passeggiata in montagna nell’arco della stessa giornata e in un modo così rapido è una realtà possibile solo in queste zone. Oppure fare una passeggiata in montagna al mattino, raccogliere i funghi e fare un bagno al mare nel pomeriggio, passando da offerte di vita completamente diverse fra loro è l’eccezionale particolarità Fermana. Una caratteristica da promuovere.

Ma se ci dovesse essere un paesino … che tra tutti si distingue?

Potrebbe essere solo un “fuoco di paglia”.
Noi ce l’abbiamo un bellissimo piccolo paese, che possiamo offrire, si chiama Provincia di Fermo. Una città-territorio che sappia integrare e diversificare le offerte. Questa è la nostra capacità: la pluralità, da ogni punto di vista, umano, culturale, turistico …

… e Porto San Giorgio?

Porto San Giorgio ha le sue caratteristiche, ma da sola sarebbe morta … fare il nome di un paese da solo non avrebbe senso. Se prendiamo ad esempio Capalbio, e lo mettiamo dentro questa Provincia togliendo tutto il resto, sarebbe praticamente inutile. Da sola Capalpio non sarebbe niente. Capalbio è quel che è perché si trova in una zona particolarmente bendisposta vicino l’argentario … poi è stata scoperta per tutta una serie di eventi ma … ma poi, l’abbiamo più sentita nominare? No. È stato solo un momento, legato alla presenza di alcuni personaggi, poi è finito. Alla Provincia di Fermo non dobbiamo dare un “fuoco di paglia”, ma una credibilità duratura nel tempo e solo questa bellissima città-territorio che è la Provincia di Fermo lo potrà fare.

Lei ha vissuto molto anche fuori dalla Regione, che cosa cambierebbe dell’identità Marchigiana e che cosa invece lascerebbe intatta? Abbiamo bisogno di una nuova ricetta per i Vincisgrassi oppure dovremmo avere più coraggio nel mostrarli come una tradizione culinaria non vergognandoci di cucinarli?

Io ho vissuto fuori soprattutto in Abruzzo - sono stato per otto anni all’Aquila - ed è una Regione analoga, molto vicina alla nostra soprattutto per delle caratteristiche di ospitalità. Non penso tuttavia che il nostro territorio abbia niente da invidiare ad altri, e cambiarne l’identità significherebbe snaturalo. Noi siamo fatti così …

Siamo fatti così …. come?

Siamo fatti bene!

Bene è troppo generico!

Siamo persone ospitali, ingegnose, operose, capaci di fare sacrifici cercando di risolvere i problemi autonomamente, senza chiedere aiuto altrui, quindi indipendenti e nello stesso tempo anche molto solidali.

Qualcuno invece li definisce individualisti …

Non è vero. Assolutamente. Il marchigiano ha la caratteristica di sentirsi solo, se sta solo, e cerca sempre compagnia, dappertutto.

Qualcuno invece li definisce anche falsi …

La falsità è propria dell’uomo, volendo, ma non penso. No, non siamo falsi. Una volta si diceva “meglio un morto dentro casa che un marchigiano alla porta” lo dicevano i romani perché i marchigiani facevano gli esattori delle tasse. Ma se erano stati scelti per quel ruolo significa che erano persone affidabili. Siamo attendibili!

Ma una nota negativa ce l’avremo pure, altrimenti sembra un’auto-celebrazione del tipo siamo tutti belli, bravi e i migliori!

No, non siamo i migliori. Ma siamo belli e bravi (sorride). Se siamo i migliori, questo ce lo dovranno dire gli altri. Io dico quelle cose che sono assolute. Tutte quelle qualità relative, che presuppongono delle comparazioni, dovranno, purtroppo, essere gli altri a riconoscercele. Non ce lo possiamo dire da soli!

Ma una nota negativa ce la vogliamo avere? Un aspetto negativo dei marchigiani, quale è?


Ci devo pensare …. nella prossima intervista! Un difetto dei marchigiani? … non riesco proprio a trovarlo. Facciamo così, in tutte queste qualità potrebbero esagerare … quindi potrebbero essere troppo bravi, troppo belli ….

Troppo presuntuosi!?!?

… Sì, potrebbero anche essere così, un po’ di presunzione …. un po’… ma poca!

Quali sono, a suo parere, i risultati auspicabili a breve per la vostra Giunta e quali quelli a lungo termine, è meglio la strategia dell’uovo oggi o della gallina domani?

Per il breve periodo il risultato che ci poniamo è il consolidamento della nostra struttura di Provincia che in un anno ha già fatto dei grandi progressi, è già operativa e ben consolidata in tutte le attività. Nel medio-lungo termine il nostro obiettivo è di dare le giuste risposte al Territorio. La Provincia di Fermo è nata perché delle risposte non erano fornite con il dovuto riguardo. Venivamo un po’ trascurati e a volte anche dimenticati in problematiche molto importati come quelle della viabilità del territorio come motore per lo sviluppo anche economico. Quindi dovremo dare risposte al territorio da questo punto di vista, e un’altra prioritaria questione è dare una programmazione unitaria sia allo sviluppo economico sia culturale. Abbiamo già iniziato, ma, ovviamente è un percorso di lungo periodo.

… ma in definitiva è meglio la strategia dell’uovo oggi o della gallina domani?

Debbo dire che è meglio l’uovo oggi e la gallina domani!

… afferrare tutto!

Noi siamo capaci di fare entrambe le cose. Dobbiamo pensare al domani per una questione di responsabilità come amministratori. L’amministratore non è quello che guarda all’oggi, ma è quello che guarda alla gallina di domani. Nello stesso tempo, vivendo nel mondo di oggi, non possiamo non cercare risposte anche immediate, quindi l’uovo oggi. Di conseguenza bisogna fornire giuste risposte oggi, tenendo conto di ciò che produrremo domani. Bruciare le risorse per star bene oggi e non lasciare niente ai nostri figli, nessun politico è un buon politico se lo fa. Purtroppo abbiamo vissuto con politici di questo genere. È una mala educazione che dalla Prima Repubblica ci trasciniamo dietro ancora oggi. Anche se bisogna riconoscere che, per esempio, nella Prima Repubblica si sono costruite le autostrade che abbiamo ancora oggi, quindi ci sono stati molti esempi di persone lungimiranti. Oggi, più che mai dobbiamo cercare di essere lungimiranti e fare il bene anche nel presente senza per questo penalizzare il domani. Dobbiamo pensare anche al domani. Non possiamo ipotecare un futuro non nostro. Pensare al domani guardando ai bisogni dell’oggi. E questo si traduce proprio nell’uovo oggi e nella gallina domani!   

Il suo segno zodiacale è il Leone, ha studiato all’Aquila ed è nato in un paese che “Combatte”… si sente un predestinato alla battaglia oppure il suo essere Assessore per la Pace mitiga l’indole guerriera?

Oppure! Il segno zodiacale del leone è bello, ci tengo, mi piace! Senza dire che sono nato il 29 luglio! Ho studiato all’Aquila, ma questa è una combinazione casuale come un po’ lo è il nome Combatte del mio paese. A parte ciò, io sono -e spero di esserlo- per la Pace. Sono per la pace, anche se non sempre sono stato capace di esserlo.  E costituisce un’aspirazione per me come per gli altri poter ricoprire questo incarico. Essere Assessore per la Pace mi onora. Sono contento che sia stato affidato a me!

… ma ce l’ha quest’indole guerriera?

No, fondamentalmente no. Forse come tutti, possiamo averne un Po’, ma io sono per il dialogo e la mediazione, da sempre! Mi piace esserlo e spero di riuscire sempre a farlo. Non m’interessa il conflitto e nemmeno la competizione.
Qualche volta mi sono inevitabilmente scontrato, ci sono stati degli episodi, ma non è mai successo per piacere della lotta. È sempre capitato con mio grande dispiacere per non aver avuto la possibilità di mediare prima. Quando si arriva a certe situazioni, è perché non si è raggiunto il compromesso e ogni tentativo d’intervento è fallito. Anche dal punto di vista politico, nella guerra, per esempio, non vince mai nessuno, perché anche il vincitore è metà perdente, e quando si riesce a risolvere un problema qualsiasi con il dialogo ci stanno sempre due vincitori. E’ una certezza. Poi gli accordi quando si fanno, si è minimo in due persone … io ho sempre tenuto all’autonomia del territorio Fermano.

Lei è cresciuto negli ambienti cristiani delle parrocchie, come moltissimi della sua generazione, gli sport tipicamente parrocchiali erano il Calcio Balilla (biliardino), il ping pong e l’immancabile Calcio. Lei, in quali di questi mostrava le maggiori doti talentuose, oppure era uno dei tanti che faceva il tifo per i soliti scalmanati? Come ricorda l’epoca delle parrocchie?


Naturalmente non appartenevo alla categoria di quelli che facevano gli spettatori. Io lo sport l’ho solo sempre praticato. Nel Calcio Balilla, non sono mai stato bravo …. a pin pong me la cavavo mentre ho sempre giocato a calcio, fino a poco tempo fa. Non sono mai stato un tifoso e non sono mai stato allo stadio a vedere una partita, ma tifo il Torino … è una scelta anche questa …. non sono mai andato tra le squadre più famose, ma sempre tra le meno conosciute.
L’epoca delle parrocchie la ricordo non solo come l’epoca del ping pong o del calcio ma come il tempo in cui si parlava e ci s’incontrava, i ragazzi s’incontravano per dialogare. E in quel tempo, la parrocchia era uno dei pochi luoghi diffusi dove c’era il confronto, il dialogo e dove si prendeva coscienza dei problemi. È un bel ricordo, anche perché avevo qualche anno in meno. Nella parrocchia ho vissuto le più belle esperienze della mia vita … come tutti a vent’anni.

… c’è una nota di nostalgia?

No. Assolutamente, io guardo avanti tenendo conto di quei periodi che mi hanno formato. Io non guardo indietro, non vedo mai le vecchie foto. Ma non per paura del passato semplicemente perché preferisco guardare alle prossime foto che scatterò. Guardo avanti. Ho vissuto la mia parrocchia, la mia vita, le mie esperienze, il mio paese, le mie amicizie. Purtroppo nel tempo non tutte le amicizie possono essere coltivate, ma quelle volte che incontro gli amici di un tempo e mi accorgo che sono rimasti gli stessi mi fa molto piacere.

Lei è rimasto lo stesso?

Ma … un po’ come tutti … siamo cambiati. Cerco di pensare in questo modo: nessuno rimane lo stesso. Io spero di essere migliorato. Non posso giudicarmi, credo di non poter essere obiettivo.

Chi è Gaetano Massucci nel privato, un professionista prestato alla politica oppure un politico con la spiccata vocazione per la Chirurgia Vascolare? Il suo futuro sarà in sala operatoria oppure diviso fra comizi e riunioni politiche?

Gaetano Massucci è un professionista che fa politica. Meglio ancora, io sono un cristiano che ha scelto di fare il medico per servizio ma non gli basta, e in questo momento storico in cui la società è malata, cerca di curarla con la politica. Questa potrebbe essere la presunzione legata al mio segno zodiacale e non certo l’indole combattiva. Poi che il mio futuro sarà in sala operatoria oppure in comizi e riunioni politiche … beh … che sia in un posto o in un altro comunque è sempre in mezzo alle persone.

Intervista all’Assessore Renzo Offidani. di Laura Gioventù

Laura Gioventù incontra Renzo Offidani, Assessore all'Urbanistica, Attività estrattive, Edilizia residenziale pubblica, Bilancio, Finanze, Infrastrutture per la mobilità, Viabilità e Trasporti della Provincia di  Fermo.


                               
Qualcuno definisce la Regione Marche come una sola città che si estende da Gabicce Mare fino a San Benedetto del Tronto. Una città così avrebbe di certo molti problemi di viabilità, per fortuna la nostra Provincia non è così lunga, ma abbiamo lo stesso problemi di viabilità. Come potremmo risolverli e quali sono le strategie per migliorare le infrastrutture per la mobilità?

Nel 2005, quando è stato presentato da Società Autostrade, ANAS e Regione Marche il progetto della terza corsia da Rimini a Pedaso, in un Consiglio Provinciale “aperto” è stato avviato un grande confronto sul tema della mobilità con le istituzioni, gli stakeholders e i cittadini. Si è delineata una strategia chiara e largamente condivisa della mobilità territoriale basata sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica, che richiede l’integrazione tra diverse modalità di trasporto. Si è evidenziata principalmente la necessità di ridurre il trasposto su gomma per merci e passeggeri e di potenziare il trasporto su ferro e via mare. Si è rilevata, inoltre, la necessità di incrementare il trasporto pubblico locale e la mobilità dolce (piste ciclabili, percorsi pedonali, ippovie). Si è avvertito anche il bisogno di ammodernare la rete viaria per renderla più adeguata e sicura sulla base dell’evoluzione socio-economica subita dal nostro territorio negli ultimi decenni anche in termini di aumento della quantità di mezzi in circolazione. Unitamente a questi interventi realizzabili a medio e lungo termine, occorre modificare la sensibilità dei cittadini sul tema. 
Guardando alle risorse disponibili, al consumo del territorio e alla salvaguardia dell’ambiente, abbiamo cercato di tracciare un piano di azione con il quale in primis abbiamo detto “no” all’arretramento dell’autostrada da Civitanova Marche fino a Teramo perché comporterebbe un costo enorme, circa nove mila miliardi delle vecchie lire, che in questo particolare momento storico non ci si potrebbe permettere neanche a livello nazionale. Costituirebbe, inoltre, un impatto e un costo ambientale di notevoli dimensioni: si dovrebbero realizzare ben sei corsie. I caselli dell’autostrada sarebbero distanti tra loro e non servirebbero nemmeno a intercettare le strade vallive. Avrebbe invece senso realizzare una terza corsia fino a Pedaso, com’era stato previsto dal progetto iniziale di “Autostrade per l’Italia S.p.A.”, visto l’enorme incremento di traffico. D’altro canto poi, la realizzazione della terza corsia, insieme al casello autostradale di Porto Sant’Elpidio, già in costruzione, consentirebbe di risolvere diversi problemi locali di connessione alla grande viabilità grazie ad alcune “bretelle”, tra le quali quella a totale carico della Società Autostrade, che collega il casello di Porto Sant’Elpidio a Campiglione di Fermo e che rappresenterebbe il primo tratto della strada “Mare-Monti”. E poi da Campiglione, con risorse proprie della Provincia, si realizzerà un nuovo collegamento con Fermo e la Mezzina. Se l’ampliamento autostradale arrivasse fino a Pedaso, potremmo risolvere anche altri problemi di viabilità: con una bretella lungo la Valle dell’Ete, a partire da una nuova rotatoria sulla statale S.S. 16 in uscita dallo svincolo di Porto San Giorgio, si potrebbe migliorare la percorribilità della provinciale Valdete ed evitare l’attraversamento dell’abitato di Salvano. Il prolungamento della terza corsia consentirebbe di risolvere anche il problema di Pedaso, con la possibilità, per quanti s’immettono oppure lasciano il casello, di collegarsi direttamente con la provinciale Valdaso, invece di passare per la Statale Adriatica altamente trafficata.
Voglio ricordare altre due priorità per la viabilità della nuova Provincia: Mare-Monti e Mezzina. La Regione ha già riconosciuto la priorità di questi interventi nell’intesa generale quadro Stato-Regione. Il nostro Presidente, l’On. Avv. Fabrizio Cesetti, ha già sottoscritto un protocollo d’intesa per la realizzazione del collegamento viario interno denominato dorsale Marche-Abruzzo-Molise, in altre parole una strada arretrata per collegare Nord e Sud e per intercettare le valli. Una strada di scorrimento, senza incroci a raso, a due corsie, implementabile a quattro che permetterebbe di snellire il traffico lungo la costa e collegare meglio tutta la zona interna e montana.

Sembrerebbe un assurdo parlare di urbanistica per molti dei Comuni della Provincia che, schiavi del passaggio della statale, non potrebbero far altro che subire il traffico sempre più arrembante. Quali potrebbero essere le soluzioni per decongestionare il litorale?  La terza corsia si fermerà a Porto Sant’Elpidio e di certo non risolverà la situazione a Sud, come intendete operare?

Qualche anno fa è stato fatto un monitoraggio nella città di San Benedetto del Tronto dal quale si è evidenziato che quasi il 90% del traffico sulla Statale è dovuto ai residenti che si spostano da un punto all’altro della città. Uno studio analogo a Porto San Giorgio evidenzierebbe una situazione identica poiché le auto che attraversano la città, senza fermarsi, sono in percentuale pochissime. L’eventuale realizzazione di una autostrada arretrata con conseguente liberalizzazione di quella attuale non risolverebbe il problema, mentre, una volta terminato il casello autostradale di Porto Sant’Elpidio, per i mezzi in attraversamento sarà più conveniente prendere l’autostrada. Nel periodo estivo la situazione peggiora ulteriormente con l’arrivo dei turisti e la chiusura del lungomare. Come risolvere il problema? Una prima risposta potrebbe venire dal potenziamento della ferrovia, e in particolare della stazione di Porto San Giorgio che potrebbe diventare lo scalo principale dal quale diramare i collegamenti verso l’interno implementando il trasposto pubblico locale. Nello specifico si potrebbe realizzare una sorta di metropolitana di superficie aumentando il numero delle fermate dei treni. Stiamo anche lavorando su nuove forme di mobilità come ad esempio il car-pooling, l’utilizzo in condivisione di automobili private tra più persone per andare, insieme ad un evento, un concerto oppure al teatro, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto (carburante, inquinamento, rischio …) .

Nei centri storici, per esempio, dove si fa sempre difficoltà a parcheggiare, sarebbe opportuno un servizio di bus navetta gratuito?
Le rispondo raccontandole un episodio. Da sindaco di Sant’Elpidio a Mare ho voluto sperimentare un servizio di bus navetta gratuito che faceva il giro delle frazioni cittadine e del centro storico, soprattutto nel periodo natalizio. Quest’autobus, che tra l’altro aveva costi piuttosto alti, era diventato una sorta di barzelletta, perché veniva utilizzato unicamente dai ragazzini, non per spostarsi, bensì per fare il giro turistico del paese. Questo, per dire che, oltre ad erogare questi servizi, che devono essere ben conosciuti dai cittadini, bisogna costruire una nuova sensibilità culturale. Nelle nostre zone c’è il culto dell’uso dell’auto privata anche perché muoversi in auto è facile e si ha la convinzione, quasi certezza, che il parcheggio comunque si trova. I mezzi pubblici sono adoperati principalmente dai ragazzi per andare a scuola, oppure dagli anziani che non hanno altra possibilità per spostarsi. Torno a ripetere che c’è la necessità di abituare a un sistema della mobilità diverso e questo richiede tempo, investimento, comunicazione ed educazione.

Esiste una Urbanistica del mare, e noi che come Provincia abbiamo molti Comuni con la Bandiera Azzurra dell’eccellenza lo sappiamo; in futuro lo sviluppo del sistema dei porti sarà aumentato oppure ci si limiterà alla realizzazione del nuovo porto turistico di Porto San Giorgio?

Ritengo che l’attuale porto sangiorgese debba essere potenziato e meglio collegato con la realtà circostante e quindi con la viabilità e i servizi di cui un porto ha bisogno, perché rappresenta il porto della Provincia di Fermo e costituisce un valore aggiunto importante per lo sviluppo turistico del litorale e di tutta la Provincia. Naturalmente la realizzazione della nuova struttura spetta al Comune di Porto San Giorgio; alla Provincia compete la valutazione del progetto mentre alla Regione il rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione.

Per quanto riguarda invece la città di Porto Sant’Elpidio?

Sono informato di un’iniziativa del Comune di Porto Sant’Elpidio per la realizzazione, non di un porto, bensì di una darsena, per l’attracco di imbarcazioni sportive di piccole dimensioni. Al momento nessun progetto è stato inoltrato alla Provincia, quando sarà il momento, se ne discuterà. Colgo invece l’occasione per dire che a me avrebbe fatto molto piacere che gli amministratori dei Comuni costieri avessero aderito al Parco Marino per la tutela delle specie marine. Sono convinto che la delimitazione di un’area marina protetta, nonostante la presenza di qualche vincolo, sia per gli chalet sia per i pescatori, avrebbe contribuito a valorizzare ulteriormente il nostro mare con effetti positivi sul turismo. Hanno aderito solamente i Comuni di Campofilone, Pedaso e Altidona, mentre sono rimasti fuori Fermo, Porto San Giorgio e Porto Sant’Elpidio.

La nostra è la Provincia delle scarpe ma non abbiamo neppure uno spazio fieristico degno per un mercato di paese. L’idea di sviluppare i servizi in funzione di creare il presupposto per eventi e fiere rientra nei vostri intenti, oppure servirebbe una “Conferenza Provinciale dei Servizi” per definire meglio le possibili soluzioni per il settore del terziario avanzato?

Gli imprenditori che vogliono vendere all’estero e intraprendere un progetto d’internazionalizzazione dei prodotti italiani e del Made in Italy in generale si orientano verso esposizioni d’importanza internazionale come quelle di Milano oppure si dirigono direttamente in Cina. Nel nostro territorio sarebbe impossibile realizzare un salone di rilievo mondiale poiché siamo privi di uno spazio e di una struttura adeguata per accogliere operatori provenienti da tutto il mondo. Non ci sono strutture ricettive e collegamenti adeguati e addirittura Milano diviene problematica per le comunicazioni. Sempre più numerose aziende fanno richiesta di contributi per presentare le proprie produzioni alle esposizioni internazionali di Shangai, Pechino, New York: queste oramai sono le dimensioni. Come istituzione, cercheremo di intervenire con progetti mirati per favorire le attività produttive locali e soprattutto per aiutare le nostre imprese, in particolare quelle di piccole dimensioni, che fanno più fatica a farsi conoscere all’estero e che forse sono scoraggiate dai costi per partecipare ai saloni mondiali. Regione Marche, Camera di Commercio e Associazioni di categoria hanno stanziato diverse risorse proprio a sostegno dei piccoli produttori che altrimenti, da soli, non ce la farebbero. Il nostro Presidente, molto attento e sensibile alla situazione economica locale, ha avviato un tavolo di concertazione, insieme all’assessore di riferimento, l’Ing. Renato Vallesi, per fare il punto della situazione.


La Vostra strategia di azione rimane comunque incentrata esclusivamente sul potenziamento del settore produttivo piuttosto che su uno sviluppo ulteriore del settore terziario?

Al momento ci dobbiamo preoccupare di mettere in atto tutti gli interventi necessari per cercare di mantenere il più a lungo possibile la capacità produttiva delle nostre aziende poiché il sistema economico locale si basa prevalentemente sul settore manifatturiero. Dobbiamo cercare di fare in modo che le attività artigianali comunque restino sul mercato, siano tutelate, mantengano la loro produttività. Dobbiamo cercare anche di favorire il terziario e il terziario avanzato, settori nei quali siamo ancora molto al di sotto della media nazionale. Con i soli interventi delle istituzioni e degli enti le nostre imprese non ce la potrebbero fare, abbiamo bisogno di ricerca, di formazione, d’innovazione e di sviluppo dei servizi collaterali.

Considera opportuna una “Conferenza Provinciale dei Servizi” che coinvolga anche i soggetti privati e non?

La considero uno strumento di coordinamento molto valido in cui la Provincia deve assumere un ruolo centrale. Considerando che la Provincia di Fermo ha Comuni di piccolissime dimensioni, questa nuova istituzione deve essere vista come un punto di riferimento e di indirizzo per fare rete nella costruzione di un progetto comune. Un’istituzione non deve operare singolarmente e isolatamente, ma con la partecipazione attiva di altre istituzioni, dei privati, delle Associazioni degli industriali e dei commercianti, dei consorzi, dei sindacati, e di tutte le forze vive del territorio.

Infrastrutture, urbanistica, bilancio, mobilità e viabilità sono tutte cose che predispongono agli scambi. La Provincia pensa siano sufficienti questi campi d’intervento per gli scambi culturali, oppure servono predisposizioni mentali che ancora dobbiamo mettere in evidenza?

Ho illustrato prima alcune modifiche che vogliamo apportare al sistema della mobilità in generale. Parlando d’infrastrutture, generalmente si fa riferimento ai sistemi viari, ai collegamenti stradali, ai trasporti, ma vanno considerati anche tutti gli aspetti legati alla cosiddetta mobilità “immateriale” come, ad esempio, la banda larga. Una priorità è, per esempio, il potenziamento dell’infrastrutturazione telematica per rendere competitive le nostre imprese, in considerazione del fatto che non tutti i comuni sono stati raggiunti dall’ADSL. Per fare un altro esempio, da un punto di vista idrogeologico, tutta la nostra Regione è a rischio frana. Basta una pioggia un po’ più intensa e probabilmente si verificano smottamenti che rappresentano un pericolo, creano disagio e generano un costo. Nel pianificare gli interventi ci dobbiamo costantemente chiede se sono stati esaminati tutti gli aspetti: come si consuma il territorio? Dove si consuma? È stato sempre consumato nel migliore dei modi? Dobbiamo continuare ad agire in questo modo, oppure si rende necessario un immediato cambio di rotta? Le pratiche colturali sono eseguite correttamente, c’è ancora l’attenzione di prima? Se gli agricoltori non realizzano più i solchi per far defluire le acque, la terra cede!  La modifica del clima può, in qualche modo, determinare una situazione ambientale più difficile, per cui oggi si richiede maggiore attenzione. Con l’evolversi del nostro sistema ambientale ed economico, si rendono necessarie delle trasformazioni nei modi d’intervento, occorre trovare nuove risorse e predisposizioni mentali nuove. Noi stiamo lavorando proprio in questa direzione. La sensibilità ambientale è cambiata in meglio, anche se, probabilmente, ancora non è sufficiente. È necessario continuare ad educare in questo senso, e, soprattutto deve maturare nei cittadini la consapevolezza che l’ambiente è il luogo in cui viviamo e va preservato. Un utilizzo scorretto e irrispettoso lo compromette, con evidenti ripercussioni negative in termini di rischi, danni e spese.
Io sono l’assessore alle infrastrutture, tuttavia sono convinto che, a volte, sia consigliabile realizzare una strada in meno e magari, investire risorse per rendere più sicura una scuola, oppure valorizzare e sviluppare un territorio perché questo può contribuire a incrementarne il valore turistico-economico oltre che migliorare la qualità della vita dei cittadini. Naturalmente si deve cercare di tenere in considerazione tutti gli aspetti, fare valutazioni e individuare le priorità per investire attentamente quel denaro che sicuramente non basta sempre per tutto, soprattutto in questa prima fase di vita della nostra Provincia. 

Lei come Assessore al bilancio dovrà necessariamente dire qualche no dal punto di vista economico, preferirebbe dirlo per spese destinate ai servizi oppure per costi legati alle spese correnti?… oppure il suo sogno nel cassetto sarebbe avere i soldi per tutto?

Avere i soldi per tutto è un sogno, è un’utopia, soprattutto in questo particolare periodo storico, data anche la crisi economica generale. Le risorse finanziarie si sono ridotte drasticamente e non esistono “per tutto”... poi dipende anche da che cosa s’intende con il “per tutto”. I soldi appartengono ai cittadini e vanno utilizzati in modo corretto. Come amministratore ovviamente preferisco investire per dotare il nostro territorio di servizi di qualità, di infrastrutture e di opere, piuttosto che destinare le risorse alle spese correnti. Ciononostante ci sono delle spese indispensabili: il personale è necessario, ed è evidente che lo dobbiamo avere per far camminare la nostra struttura amministrativa. Cerchiamo di risparmiare al massimo anche sulle spese vive, come l’energia elettrica e il riscaldamento. Ci dobbiamo adeguare a un utilizzo oculato e razionale delle risorse finanziarie di cui disponiamo perché la crisi economica, che sta investendo ogni settore, coinvolge anche gli Enti in termini di minori trasferimenti dallo Stato. Stiamo facendo il possibile per migliorare i servizi, aiutare le attività economiche, realizzare le infrastrutture, riorganizzare la rete scolastica, cercando allo stesso tempo di contenere le spese correnti. Se andiamo a considerare che noi siamo qui tutti i giorni a tempo pieno, i nostri stipendi sono compatibili. Un consigliere provinciale percepisce trentasei euro lordi l’ora. Vogliamo spendere il minimo indispensabile cercando di risparmiare sui costi della politica tant’è che ancora non abbiamo neanche allargato la giunta, anche se questa poi è una decisione che spetta solo al nostro Presidente.

Per la gente comune la nuova Provincia dovrebbe avere i soldi per la sua gestione da quella che era la sua vecchia provincia di appartenenza, Ascoli Piceno. Nella realtà la Provincia di Fermo come risolve i suoi problemi di entrate? Da chi è stata finanziata nel suo primo anno di vita?

Intanto, chiariamo quali sono le entrate? Le entrate della Provincia sono di tre tipi: tributarie, extra-tributarie e di trasferimento. In più ci sono tutti gli investimenti che l’ente riesce a fare con i primi tre titoli di bilancio. Le entrate tributarie derivano dall’I.P.T. (Tassa per l’Immatricolazione delle Auto) dalla RC Auto, dall’addizionale sul consumo dell’energia elettrica, dalla compartecipazione al gettito IRPEF e dai conferimenti in discarica di solidi urbani. Per quanto riguarda le entrate da RC auto, secondo le nostre valutazioni, una parte delle risorse di competenza continua ancora ad essere versata alla Provincia di Ascoli Piceno. Abbiamo già sollevato la questione e scritto alcune lettere di diffida alle compagnie assicurative. In attesa di chiarire la situazione, stiamo pensando a un accordo con Ascoli Piceno per mettere insieme tutte le risorse e poi suddividerle in base delle percentuali generali di riparto 43,47% Fermo e 56,53% Ascoli Piceno. In alternativa le compagnie assicurative dovranno ricontrollare la competenza di tutte le assicurazioni versate ad Ascoli Piceno. Le nostre risorse derivano principalmente da queste voci, oltre che dai trasferimenti statali. Per le quote derivanti dal Fondo Sociale Europeo, la Regione ha già assegnato la parte di nostra competenza fino a tutto il 2013. Se avremo meno trasferimenti dallo Stato, tale diminuzione dovrà essere ripartita proporzionalmente tra le due Province, come sta già accadendo.
Ci siamo insediati nel giugno del 2009, fino allo scorso dicembre abbiamo avuto il bilancio gestito unitariamente dalla Provincia di Ascoli e solo da dicembre 2009 ci siamo resi autonomi. Con i recenti accordi sulla cessione del patrimonio e del personale siamo completamente indipendenti. Ci sono ancora alcune questioni aperte che stiamo risolvendo giorno per giorno, con l’impegno straordinario del Presidente, del segretario, di tutti i dirigenti e di tutto l’apparato amministrativo.

Lei è un politico di grande esperienza partitica, a suo parere i giovani della nostra Provincia mantengono quell’impegno sociale e politico molto spiccato e predominante nelle generazioni precedenti, oppure stanno scivolando verso la china del disinteresse sociale, e se si quali potrebbero essere gli stimoli giusti per riportarli verso un impegno più continuo?

Naturalmente vedo fra i giovani molto disinteresse, soprattutto per la politica. Del resto, guardando alcuni aspetti dell’attuale sistema, mi rendo anche conto del perché di tale indifferenza. Il punto è che dobbiamo fornire loro le occasioni e le possibilità di essere veramente protagonisti per qualcosa per cui valga la pena esserlo e non per gli squallidi teatrini della politica. Solo in questo modo i giovani rispondono anche per le piccole iniziative locali. Per contro, noi, per primi, dobbiamo dare un importante esempio di buona pratica politica. Se l’unico messaggio che riusciamo a trasmettere è quello dell’individualismo, del successo ad ogni costo, anche senza il merito, di una politica che serve solo per avere un posto di lavoro, per avere una poltrona, per andare sul giornale, per avere un po’ di notorietà, noi li educhiamo a qualcosa per cui vale poco spendersi.

Lei avrà assistito a molti cambiamenti nella sua vita, sia pubblici sia privati. Se potesse realizzare un sogno, quale sarebbe il cambiamento per la nostra Provincia che lei vorrebbe vedere realizzato?

Nella mia vita privata ho assistito a tanti cambiamenti, anche importanti, e a molti cambiamenti pubblici. Il fatto stesso della nascita di questa nuova Provincia ne è uno. Nonostante a livello nazionale ci sia un grande dibattito, comunque, per il nostro territorio, questo avvenimento è stato un evento rivoluzionario perché dopo tanti anni siamo riusciti a conquistare l’autonomia. È stata una trasformazione che, personalmente, fin dall’inizio, quando facevo il Sindaco, mi ha visto sempre protagonista attivo. Sono stato, insieme con altri, uno dei sostenitori e dei promotori di questa Provincia, non per una questione di prestigio locale, ma perché questa istituzione consente di promuovere e garantire al meglio lo sviluppo del territorio, di avere più forza, di essere più vicini ai Comuni e gestire insieme con loro un piano di sviluppo economico unitario. Aver visto crescere questo progetto, averlo sostenuto, aver avuto la delega di assessore e trovarmi ad essere uno dei protagonisti di questo primo mandato per me è un fatto molto significativo!
Ho visto tanti cambiamenti, ma ne vorrei vedere tanti altri ancora! Non vorrei aver chiuso qui con le trasformazioni perché io sono uno di quelli che vuole e cerca i cambiamenti. Quando sono entrato in politica, pensavo di cambiare il mondo!
Spero che la nostra sia una Provincia in cui si viva bene, in cui le imprese possano lavorare serenamente e onestamente, in cui si possano affermare i valori importanti della solidarietà, del merito, dell’uguaglianza sociale. Una Provincia dove le fasce più deboli possano avere una condizione di vita migliore ed i giovani abbiano lavoro. Una Provincia che sia il risultato di questi progressi, esempio della buona pratica politica e della buona amministrazione.

Fra le tante Province ben amministrate oppure ricche di cultura e prestigio in Italia, Fermo e la sua Provincia a quale di queste potrebbero o vorrebbero assomigliare oppure, come spesso accade con le matricole, la nuova Provincia si sente pronta per lanciare la sfida e porsi come esempio di territorio con nuove soluzioni e con idee innovative nel panorama nazionale?
Ci sono tante Province che rappresentano un esempio e i buoni modelli andrebbero sempre recepiti. Anche se potrà sembrare un discorso di orgoglio, questa nuova Provincia, per le sue dimensioni certo non potrà avere le potenzialità che hanno le altre, ma, proprio perché piccola e nuova, credo che possa lanciare la sfida: presentarsi come esempio con soluzioni originali e idee innovative. Non è una cosa semplice, e molto probabilmente è più facile a dirsi che a farsi, però abbiamo l’ambizione di pensare che lo possiamo fare, che ci possiamo riuscire e stiamo lavorando per questo. E’ proprio questa la scommessa!