giovedì 24 febbraio 2011

E' il cuore dell'uomo che costruisce.

Intervista al presidente della Compagnia delle Opere Marche Sud, Massimo Valentini
di Laura Gioventù




Nel vostro statuto c’è una frase che mi ha incuriosito “per promuovere e tutelare la presenza dignitosa delle persone …etc ect”. Ci spieghi che cosa significa la parola “dignitosa” per la Compagnia delle Opere nel suo insieme. Insomma, che cos’è la C.d.O. e di quale dignità si sta parlando.

Vedo che ha colto un termine che a mio avviso dice molto dell’esperienza della CdO perché in effetti la CdO nasce dall’esperienza di qualcuno che ha colto la dignità assoluta, unica ed infinita della singola persona e del singolo io. La CdO nasce proprio da una esperienza che coglie il valore dell’io e che mette al centro questo valore e fa di tutto perché questo io possa esprimersi e venga sostenuto nel suo tentativo di essere. Siccome questo tentativo di essere passa attraverso un tentativo di fare, noi siamo totalmente proiettati a creare una rete di sostegno perché l’io si possa esprimere concretamente.
Sostenere questa dignità dell’io non è una affermazione verbale ma un fatto concreto, è partire dai bisogni della persona che lavora, è partire dalle problematiche affrontate oggi da chi ha una attività, il problema del mercato, il problema del credito, il problema dell’estero, e dinanzi a tutte queste dinamiche si crea una rete, si mettono in rapporto e si condividono tutte le esperienze professionali ed imprenditoriali che ci sono all’interno della CdO perché ciascuno diventi un’opportunità di conoscenza,  di rapporti e di possibili partnership con altri. Sosteniamo l’io attraverso il mettere in rete ciò che c’è all’interno della nostra associazione perché possa diventare un’opportunità per ciascuno e facendo questo sosteniamo appunto la dignità del lavoro di ciascuno, perché ciascuno è importante. Noi partiamo dalla considerazione che il grande imprenditore, il piccolissimo imprenditore, il collaboratore, hanno tutti una dignità che può essere importante per l’altro. Sostenendo la dignità di ciascuno sosteniamo la dignità di tutti!

Per sottolineare ancora la dignità … ma se esiste un etica bancaria, questa si basa su un sistema di accreditamenti e bonifici oppure è un’etica che si fida delle persone e della loro buona fede? Come mai le banche hanno bisogno di garanzie materiali e non si accontentano della buona fede?

Si può affrontare il discorso delle banche dando un giudizio dall’esterno che stigmatizza certi comportamenti rischiando di dire delle cose vere senza però cambiare nulla. Noi invece abbiamo affrontato il discorso con le banche in maniera molto realistica, da una parte valutando i punti di forza e dall’altra quelli di debolezza. Oggi, nell’analizzare il comportamento di una singola banca oppure il sistema bancario in quanto tale non si può essere così schematici da dire è tutto nero o è tutto bianco. Ovviamente c’è un insieme di norme, Basilea 2 oppure Basilea 3, che in qualche modo costringe tutti gli istituti nazionali e internazionali ad adeguarsi al sistema e la discrezionalità del singolo direttore oppure il singolo presidente di una banca deve confrontarsi con un contesto di mercato molto rigido e difficile. Ora io non vorrei addentrarmi in una analisi del sistema bancario perché sulla finanza internazionale è già stato ampiamente sottolineato l’aspetto speculativo e di non assistenza all’impresa con ripercussioni gravi sull’accesso del credito per le persone fisiche e le piccole impresse. In questo contesto abbiamo comunicato ad interloquire con gli istituti di credito perché la singola impresa potesse essere sostenuta nel rapporto con il mondo bancario. Non abbiamo fatto un discorso generale ed astratto ma abbiamo creato delle opere, con un gruppo di quindici imprenditori della CdO abbiamo creato un consorzio fidi che adesso riunisce due mila soggetti dando vita ad un ente  in grado di supportarli professionalmente nella gestione finanziaria e capace di interloquire in maniera intelligente con il sistema bancario ed in particolare con tutti gli istituiti che cercano un rapporto con partner professionali con cui condividere una gestione del rischio più intelligente, più comune, più efficiente. Abbiamo creato quindi un’opera che interviene su uno specifico bisogno cercando di dialogare con il mondo bancario più illuminato ed abbiamo ottenuto dei risultati importanti. Questo non significa che oggi il problema del credito non esiste, oggi esiste ed è grave e lo sarà molto di più nei prossimi anni proprio per come è stata gestita in passato la finanza internazionale, la stessa malsana gestione che poi ha portato ai crack finanziari. Nonostante la situazione generale, si può lavorare per cercare di sostenere la dignità del singolo imprenditore nel rapporto con il credito attraverso uno strumento che cerca di dialogare con una dignità del fare banca che è ancora presente. È una lotta, ma è una lotta che si può portare avanti.
L’etica è una dimensione personale nel senso che il modo di lavorare oppure il modo di approcciarsi con il cliente che si ha di fronte passa attraverso la singola persona. Può esistere un sistema contrario alla persona come sistema, ma c’è sempre la possibilità che la singola persona possa gestire quello specifico tecnico in una maniera più adeguata al bisogno che deve  affrontare con il cliente. Per noi diventa determinante colloquiare con le persone del sistema bancario, ove possibile. Colloquiando con le persone che hanno una consapevolezza e hanno una responsabilità è possibile fare delle cose che magari non sarebbe possibile fare. Nonostante la sfera di autonomia delle singole banche oggi sia molto ristretta, ci sono delle banche che stanno tentando di costruire dei percorsi di crescita.

Come sistemi economici, se da una parte c’è il Capitalismo e dall’altra il Socialismo (Comunismo), il mondo cattolico e la cristianità come si ineriscono tra loro, con un metodo autonomo oppure usando di volta in volta le vesti dell’uno o dell’altro? 

Anche qui purtroppo si è abituati a ragionare per schemi contrapposti molto rigidi. Indubbiamente nel Capitalismo ci sono delle cose da valorizzare ed altre assolutamente da stigmatizzare come nel Socialismo ci sono delle cose buone e delle altre da condannare ferocemente. Sicuramente riporre la centralità della singola persona come la vera risorsa dello sviluppo partendo dalla micro impresa, dove chi fa la differenza è sempre la singola persona, fino ad arrivare ai sistemi macroeconomici in cui il capitale umano è un elemento assolutamente determinante e dove la funzione del mercato non è più una funzione così assoluta come possiamo leggere in una chiave rigidamente liberista - capitalista, ma dove il mercato in alcuni casi ha anche una funzione regolatrice, un mercato che si muova su una cultura che favorisca il dialogo e lo sviluppo da parte di chicchessia voglia intraprendere, sia del soggetto che ha tanti mezzi, sia del soggetto che ne ha pochi. Abbiamo una visione di mercato sociale in cui la persona che costruisce un’impresa abbia la possibilità di confrontarsi in maniera paritaria con tutti gli altri soggetti. Noi concepiamo il mercato non come un scontro selvaggio dove vince solo il più forte ma come una piazza dove si possa dialogare e concorrere dentro una responsabilità di costruire qualcosa di comune e di bello e le opere che stiamo portando avanti ne sono un esempio. I distretti e le reti sono gli esempi concreti di una nuova concezione di mercato fuori da una visione prettamente liberistica - capitalistica.
Nel nostro giudizio c’è la centralità della persona che costruisce e che opera e un mercato visto come una piazza dove si concorre per costruire qualcosa di bene. Oggi per costruire è necessario creare un gruppo e delle collaborazioni. Occorre sinergia.
Del socialismo riconosciamo il tema della giustizia sociale, perché la giustizia sociale è un’istanza del cuore dell’uomo ma non può essere ideologizzata, non può costituire una parità di diritto a prescindere dalla responsabilità del ruolo che la singola persona svolge. La giustizia sociale non può essere imposta dallo Stato, ma deve essere costruita dal basso tramite una cultura che afferma il valore dell’altro in una relazione . Purtroppo c’è stata una deriva statalista di un certo tipo di impostazione ideologica che si è rivelata totalmente inadeguata per l’affronto della situazione. Il crollo del welfare è figlio di uno statalismo che ha preteso che fosse lo Stato l’unico ente morale capace di garantire i diritti. Invece i diritti vivono dentro le comunità dove la persona viene educata ad una responsabilità che si confronta sul mercato partendo dalla sua cultura. Oggi il fallimento di uno statalismo di questo tipo può essere affrontato adeguatamente solo recuperando una visione sussidiaria che valorizzi le comunità intermedie che creano opere in grado di affrontare problematiche sociali emergenti meglio dello Stato. Un esempio può essere quello delle scuole materne. La presenza del privato sociale che svolge una funzione educativa oggi è fondamentale perché è in grado di offrire un servizio elevato a dei costi nettamente inferiori rispetto a quelli del servizio pubblico. Questo non significa che bisogna rinunciare ad una scuola prettamente statale, ma bisogna allargare il concetto di pubblico. Se un privato sociale di un certo tipo svolge una funzione pubblica meglio dello Stato bisogna riconoscerlo e sostenerlo. Secondo me bisogna sostenere la società civile che è in grado di creare dei fatti sociali dove i diritti sono esperienze che creano delle opere, che creano una modalità di fare educazione, di gestire i servizi alla persona e di gestire i servizi al lavoro. Se riusciamo a valorizzare tutto quello che di buono c’è nello statale e nel privato sociale e allargare questo concetto di pubblico dove tutti possono portare il loro contributo potremmo decisamente prendere la strada giusta per affrontare una crisi come quella attuale dove il welfare statale è destinato sempre più a soccombere. Per fare questo però è necessaria anche una diversa concezione della politica…

Come vi comportate quando arrivano dei giovani senza bilanci, bilancini e garanzie reali e vi sottopongono i loro sogni e le loro aspettative avendo deciso di tentare la sorte in una attività in proprio? 

Quella del rapporto con i giovani è una esperienza bellissima ed entusiasmante. Attualmente stiamo accompagnato trenta giovani che vogliono avviare nuove attività con il progetto Colombo della Provincia di Fermo e siamo molto sorpresi ed in un certo modo anche attratti dalla loro decisione di esserci, di voler fare, di voler costruire. La nostra funzione in questo caso non è quella di sostituirci alla responsabilità del giovane, anzi. Noi lo accompagniamo in un percorso mettendolo in rapporto con una serie di professionalità affinché possa acquisire tutti gli strumenti per far si che il suo tentativo possa stare in piedi sul mercato, per far si che ogni singolo giovane possa diventare il protagonista del proprio futuro. Attraverso la nostra “compagnia” trasmettiamo una cultura ed una esperienza diversa, facciamo capire che nella realtà è possibile trovare un aspetto su cui costruire, anche in una situazione di difficoltà generale come la nostra. Non bisogna piangersi addosso perché non è vero che tutto va male, non è vero che sono tutti delinquenti, ma c’è una possibilità di costruire un bene riconoscendolo nella realtà e costruendo proprio a partire da esso.
La certezza di un bene presente e la possibilità di riconoscerlo e scovarlo nel rapporto con la realtà permette di affrontare le difficoltà, permette di costruire e di vivere, permette di trovare un’idea intelligente, permette di trovare un’iniziativa che può rispondere ad un bisogno a cui nessuno aveva pensato e su cui poter costruire il proprio futuro professionale e lavorativo. Questi trenta giovani che avvieranno delle nuove imprese non avevano un supporto, li abbiamo accompagnati ed abbiamo  fornito loro tutti gli strumenti per poter cominciare a fare un bilancio preventivo, per poter fare le analisi di mercato necessarie a verificare la fattibilità economica della loro intuizione, per valutare il riscontro reale della loro iniziativa. Si percorre insieme una strada.
Naturalmente tramite un rapporto di questo tipo passa una modalità di vivere il reale diversa da quella cui oggi è stato introdotto il giovane. Troppo spesso nella società attuale i giovani sono stati introdotti a vivere il rapporto con la realtà dentro una pretesa di diritti, dentro una riduzione del proprio desiderio, è come se fosse impossibile vivere all’altezza del desiderio, come se fosse impossibile trovare una risposta a ciò che cercano in un rapporto costruttivo e responsabile con la realtà. I giovani hanno invece bisogno di figure adulte che comunichino questa possibilità. La CdO è questo, è un luogo dove il giovane uno può essere sostenuto nel suo desiderio reale e profondo ed accompagnato a scoprire che non è vero che tutto è male, che tutto è brutto, ma è possibile costruire, perché il bene c’è.

I vostri parametri valutativi circa i prestiti erogati sono identici per tutta la Regione Marche oppure cambiano da Provincia a Provincia a seconda delle diverse caratteristiche territoriali o culturali, e se sì, quali variabili incidono per la Provincia di Fermo?

Per quanto riguarda l’attività del Consorzio Fidi in effetti ogni territorio ha delle peculiarità piuttosto evidenti. Nella Regione Marche abbiamo l’ascolano con delle caratteristiche specifiche, il fermano - maceratese che è molto simile, l’anconetano che ha delle altre specificità e Pesaro con una cultura nettamente diversa. Soprattutto a livello culturale c’è un approccio differente. Cerchiamo di adattarci in maniera intelligente, almeno tentiamo, sulle singole situazioni in modo da favorire lo sviluppo che la particolare situazione richiede. In certi casi occorre passare da una fase assistenzialista ad una fase di maggiore responsabilità d’impresa, in altri bisogna superare un certo individualismo perché lo sviluppo si apra a delle collaborazione esterne e a delle partnership per costruire un sistema di rete, in altri ancora bisogna lavorare perché si rinunci ad una autoreferenzialità che non è più suffragata da un contesto di mercato. Ci sono tanti mondi, tante posizioni, tante realtà. Nello specifico la Provincia di Fermo ha una grande vivacità imprenditoriale e molto ha influito il contesto familiare nella creazione delle piccole e medie imprese e c’è una esperienza di distretto che nei diversi settori ha creato delle buone forme di collaborazione. Indubbiamente però ci sono due sollecitazioni forti che oggi la realtà chiede. Da un lato lo sviluppo di una cultura d’impresa più consapevole e più centrata sul valore del capitale umano e che quindi accetti la sfida di imparare e di farsi educare, di ritornare a scuola. L’altro punto fondamentale è la necessità di far emergere realtà imprenditoriali più importanti abbandonando la concezione individualistica di fare impresa. Bisogna sviluppare un modo di fare impresa più aperto, con la consapevolezza che da soli non si fa nulla e che il ruolo dell’imprenditore è quello di coordinare e valorizzare le risorse che ha. Più risorse si hanno e più le si valorizza e le si mette in rete e più cresce l’impresa. Nella cultura d’impresa bisogna distinguere sempre di più tra il valore dell’impresa e il valore dell’imprenditore. Il valore dell’impresa è una responsabilità sociale più grande dell’imprenditore stesso, perché il bene comune che crea un imprenditore è un’impresa che permane nel tempo anche senza di lui, anche quando lui non ci sarà più. Quando ci sarà il cambio generazionale oppure quando ci si rende conto che per poter continuare quell’attività  si devono valorizzare dei collaboratori, l’imprenditore deve essere disposto a lasciare spazio. C’è troppa mortalità aziendale perché ancora non è stato approfondito il valore sociale del fare impresa. Oggi un imprenditore deve organizzarsi affinché la sua attività possa poi continuare anche quando lui non ci sarà più e non dovranno essere necessariamente i propri familiari a continuare l’impresa perché avere la prospettiva della continuità  come valore sociale implica anche avere una dimensione più grande della dimensione familiare dell’impresa stessa.

Attraverso il prestito alle aziende come sarebbe possibile aumentare gli investimenti esterni agli stessi abitanti della Regione Marche per dare un maggiore impulso all’economia regionale?

Le do una risposta spiazzante, oggi un tema assolutamente strategico per le nostre imprese marchigiane è l’internazionalizzazione. Acquisire ed occupare quote di mercato nel mondo è assolutamente fondamentale per garantire una sopravvivenza ed una prospettiva di sviluppo al tessuto delle nostre imprese. Se l’internazionalizzazione è fatta con intelligenza significa da una parte sostenere il tessuto produttivo che c’è qui e dall’altra anche creare delle opportunità dirette sul nostro territorio. Alcuni imprenditori più avveduti stanno legando molto il loro fare impresa alla valorizzazione del territorio ed andare in giro per il mondo in questo processo di internazionalizzazione, valorizzando il territorio, ha sicuramente degli effetti a ricaduta riguardo a stranieri e persone di altri paesi che vogliono venire qui ad investire, comprando casa, aprendo attività e quant’altro. Tanto più siamo internazionalizzati, tanto più potremo avere anche un ritorno sul territorio.

Ora facciamo un gioco, le elenco alcune citazione famose sul denaro, mi dica che ne pensa anche con una sola parola. Cominciamo...“Il mezzo è il messaggio” diceva Marshal Mc Luhan, possiamo dire che “Il denaro è il fine”?

No, il denaro non è un fine. Il denaro è uno strumento per costruire qualcosa di buono che risponda al cuore dell’uomo. L’uomo per essere felice non ha bisogno del denaro ma ha bisogno di qualcos’altro. Per l’impresa il denaro è importante, ma lo scopo dell’impresa non è il profitto, è rendere felice chi ci lavora.

“Naturalmente nella vita ci sono un mucchio di cose più importanti del denaro: ma costano un mucchio di soldi!” (Groucho Marx)

No, nella mia esperienza personale, le cose più importanti della vita sono quelle che non costano nulla, sono quelle che ti sono date gratuitamente,  quelle che non ti aspetti ma che qualcuno ti da e che ti cambiano il modo di vivere.

“Vissero infelici perché costava meno.” (Leo Longanesi)

No, la felicità non è un dato materiale. La felicità è incontrare qualcosa di grande che risponde alle esigenze più profonde che noi abbiamo.

“Una piccola quantità di denaro che cambia di mano rapidamente farà il lavoro di una grande quantità che si muove lentamente.” (Ezra Pound)

Sì, sono d’accordo. Le nostre micro imprese del territorio ne sono l’esempio. Piccole attività che però hanno creato il benessere diffuso della nostra società locale. Non abbiamo avuto il grandissimo imprenditore, la Fiat del Fermano per intenderci, ma ne abbiamo avuti tantissimi ciascuno dei quali ha fatto la sua piccola parte nel creare benessere nel nostro territorio.

“In fondo al cuore le donne pensano che compito dell'uomo è guadagnare soldi, e compito loro spenderli.” (Arthur Schopenhauer)

La realtà marchigiana ci dice che per creare un’impresa il ruolo della donna è assolutamente fondamentale. Le nostre imprese familiari hanno dimostrato che la verità non è questa, è il contrario. La donna pur non avendo un ruolo di rilievo all’interno dell’azienda, è fondamentale perché garantisce quella stabilità affettiva, di assetto, di prospettiva, di costruzione comune che oggi nell’impresa è centrale. La stabilità di una famiglia permette di fare un investimento a medio e lungo termine e di avere una visione nel lungo periodo perché ci sono i figli, bisogna dare loro una prospettiva, ci sono i dipendenti … e così via. Quando non c’è una stabilità familiare e si vive il rapporto con la donna non dentro una stabilità, ma dentro una occasionalità, questo si riflette anche nel modo di fare impresa.
Ma alle donne comunque piace spendere soldi.
Dopo si spendono, se ci sono … Sì, certo, prima si fanno, poi si spendono.

 “Oggigiorno i giovani credono che il denaro sia tutto, e quando sono grandi ne hanno la certezza.” (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray, 1891)

È verissimo, perché il mito creato oggi dalla cultura dominante è proprio questo ed è la fonte, a mio avviso, del disagio giovanile. Quando questo sogno è irraggiungibile è come se uno non avesse più consistenza e ci si considera incapaci di avere un ruolo sociale significativo. Oggi si crede che un ruolo sociale significativo ce lo abbia solo chi può esporre i propri beni di lusso. Questo è un vero e proprio omicidio culturale perché si riduce il desiderio del giovane. Il desiderio del cuore di un giovane non è quello di avere più soldi ma è quello di rispondere all’esigenza di giustizia, di verità, di felicità. Questa riduzione del desiderio condanna i giovani a non avere una personalità, a non avere una struttura umana capace di affrontare le difficoltà ed ad essere in totale balia delle reazioni emotive del momento. Questo è il quadro della situazione attuale ma grazie a Dio non è tutto così …

“Nulla è più indispensabile del superfluo.” (Jean-Jacques Rousseau)

Condivido l’affermazione ma da questo punto di vista: quanto più si è educati a vivere il rapporto della realtà con attenzione, tanto più si è in grado di cogliere l’importanza di un particolare che diventa importante per vivere il tutto. Se uno vive una esperienza bella, anche l’ordine presente in un ufficio lo esprime, per esempio. Anche il particolare può diventare espressivo di una cultura che uno vive. Anzi, una cultura è reale se arriva fino al particolare che è quello che viene considerato superfluo. Gustare in maniera adeguata un bicchiere di vino essendo riconoscenti della grandezza della nostra natura che ci stupisce per le sue meraviglie è un’esperienza esaltante che valorizza e da dignità anche al superfluo.

“Il denaro non conterà molto, ma molto denaro conta.” (Giovanni Soriano, Maledetti. Pensieri in soluzione acida, 2007)

Questa è una affermazione apparentemente vera, però la storia ci dice che quello che rimane nel tempo non è la potenza economica. Tutti gli imperi sono crollati, tutti gli imperi sono destinati a crollare. È crollato l’impero Romano, ora sta crollando l’impero occidentale. Quello che invece è indistruttibile nella storia del tempo è un’esperienza di verità dell’umano.

“Coloro che credono che col denaro si possa fare ogni cosa, sono indubbiamente disposti a fare ogni cosa per il denaro.” (Edme-Pierre Beauchene)

È così! L’esempio di questa affermazione è dato dalla cultura finanziaria che si è imposta negli ultimi anni. Il profitto di breve termine ed ad ogni costo, l’illusione di poter soddisfare qualsiasi tipo di bisogno con l’indebitamento hanno portato al crollo dell’impero occidentale.

“Datemi il lusso! Farò a meno del necessario.” (Oscar Wilde)

Dipende da come ci si rapporta con il lusso, se se ne è schiavi oppure liberi. Se un amico ti porta a fare una gita su uno yacht di trenta metri uno lo apprezza, ma se non ci vai non ti manca comunque nulla. Magari non vai in barca ma vai a fare con tua moglie un giro al porto e rimani stupito dalla bellezza del mare.

“La massima ambizione dell'uomo? Diventare ricco. Come? In modo disonesto, se è possibile; se non è possibile, in modo onesto.” (Mark Twain)

Sì, questa affermazione è acuta perché descrive uno dei miti della cultura dominante del nostro secolo. Ma questo tipo di cultura è destinata a finire presto. Questo è un mondo finito. Seguire la ricchezza in questo modo significa diventare tutti più poveri perché la ricchezza per essere creata e prodotta ha bisogno di una esperienza di verità nell’umano. Le ricchezze create stravolgendo un’esperienza vera sono destinate nel tempo a crollare.

“L'avaro è senz'altro un pazzo: che senso ha, infatti, vivere da povero per morire da ricco?” (Decimo Giunio Giovenale, Satire, I/II sec.)

È totalmente condivisibile. Il rapporto con le cose materiali, con gli oggetti, con la ricchezza, con il denaro, si apprezza fino in fondo se diventa strumentale per raggiungere un obiettivo più adeguato al desiderio personale che è qualcosa di più profondo altrimenti diventa una schiavitù e tu diventi schiavo di qualcosa che ti domina, sei schiavo del denaro, non sei un uomo libero.

Vorrei morire ucciso dagli agi. Vorrei che di me si dicesse: "Come è morto? Gli è scoppiato il portafogli". (Marcello Marchesi 1912 - 1978 Umorista e scrittore italiano)

Questa è simpaticissima. La condizione della vita è la fatica. E la fatica tendenzialmente non si vorrebbe farla, si preferirebbe vivere negli agi, però il nostro cammino di verità umana ha bisogno della fatica.

“C'è una sola classe, nella società, che pensa al denaro più dei ricchi, ed è quella dei poveri. I poveri non riescono a pensare ad altro.” (Oscar Wilde, L'anima dell'uomo sotto il socialismo, 1891)

È vero, perché quando il mito dominante è quello della ricchezza è chiaro che tutti sono proiettati e giudicati da questo mito. Questo crea una conflittualità sociale enorme, siccome quello che da consistenza è solo il raggiungimento della ricchezza, pur di raggiungerla, si è disposti a tutto.

“Dire che uno stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri.” (Ezra Pound)

Nella gestione di uno Stato l’utilizzo del denaro è fondamentale. Come lo si utilizza dipende tutto dalla visione generale che uno Stato ha della cosa pubblica. Da come viene usato infatti ci capisce se la centralità dell’azione dello Stato è volta a sostenere la persona, il singolo io, perché possa esprimersi oppure a dominarla.

“L'attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto.” (Maurice Allais – Premio Nobel Economia nel 1988)

Condivido totalmente questo tipo di affermazione. Quello che dicevo prima, nella cultura dominante è talmente fondamentale rispondere al raggiungimento di un determinato status sociale che è stato creato il mito che ciò si poteva raggiungere indebitandosi. Ma in questa maniera si è creato un meccanismo che ha trascinato nel crollo la finanza mondiale. Certe banche d’affari avevano capitale uno e potevano investire cinquanta.
Una cultura che da una parte ha visto la povera gente spinta dal bisogno di dover raggiungere certi status sociali indebitandosi e, dall’altra, i manovratori della finanza che guardavano esclusivamente al raggiungimento del risultato di breve periodo anche se questo avrebbe portato allo sconquasso di tutto il sistema. I bonus, i profitti dei manager legati alle stock-option, tutto è legato al raggiungimento di un risultato di breve periodo. Proprio questa gestione non intelligente ha portato alla rottura. Chi ha preso le stock-option magari non ne ha risentito più di tanto, ma le banche hanno dovuto cominciare a fare delle politiche restrittive sul credito nei confronti delle imprese e gli Stati si sono dovuti indebitare tantissimo per salvare le banche. Per coprire il deficit gli stati aumentano l’imposizione fiscale senza però riuscire a risolvere la situazione e questa mole di debito che c’è nel sistema economico è lì pronta per esplodere un'altra volta.

Gli ebrei sono notoriamente famosi per la loro parsimonia ma allo stesso tempo sono noti per l’ironia con la quale trattano la questione denaro. Noi cristiani abbiamo lo stesso approccio umoristico oppure il nostro vero tabù non è il sesso ma il denaro stesso?

Secondo me è contingente alla mentalità dominante, siccome lo status sociale dipende da quanti soldi si hanno, qualcuno, chi i soldi li ha, ne parla tranquillamente e lo fa vedere, chi non ce li ha cerca di nasconderlo acclarando una situazione diversa dalla reale e l’indebitamento di tante famiglie oltre il lecito avallato dalle banche ne è la dimostrazione. Il nostro problema è quello di non avere la libertà di ammettere che non ci possiamo permettere un certo stile di vita perché non abbiamo i soldi.

Tutti noi abbiamo un prezzo. Per Giuda, Gesù Cristo è costato 30 denari, eppure il Cristo era il Padre Eterno. Secondo lei invece, Berlusconi, quanto vale?

Io parto dall’esperienza che qualsiasi persona, da Giuda a Berlusconi fino ad arrivare a San Giuseppe, proprio perché è un segno della presenza di Dio ha valore assoluto e inestimabile.

Sì, ma se dovesse dare un valore, il Papa, per esempio quanto vale? Se per lei Don Giussani vale 31 denari, gli altri quanto valgono?

L’uomo vale in quanto segno di una presenza divina e tutti valgono allo stesso modo proprio per questo. Dopo, chiaramente, esistono degli uomini che hanno una maggiore consapevolezza di questo e che quindi possono aiutare gli altri a vivere in maniera più elevata questa consapevolezza. In quest’ottica queste persone hanno un “valore” più grande perché aiutano tutti ad avere una consapevolezza più vera. Il Papa, grazie a Dio, è un faro oggi, è un uomo che ci fa vivere la consapevolezza del destino infinito che abbiamo. Andiamo dietro al Papa perché ci aiuta su questo, ed è lo stesso Papa che ci aiuta a recuperare il valore di ciascuno.

E se dovesse fare una classifica degli uomini che hanno più valore, chi indicherebbe?

È una risposta personale, dipende dagli incontri che ogni persona ha vissuto. Nella storia di ogni individuo ci sono degli incontri e delle presenze che sono state particolarmente significative per se e per il proprio cammino umano. Per me Don Giussani è stato sicuramente un incontro fondamentale come lo è stato Giorgio Vittadini, che ha fondato la Compagnia delle Opere, direi poi mia moglie, anche lei è una presenza assolutamente importante e lo stesso vale per gli amici più prossimi che ho.

Come ha speso i suoi primi soldi guadagnati “onestamente”, comprando un mazzo di fiori alla sua fidanzata oppure dandoli in prestito per qualche iniziativa economica di altri?

La mia prima esperienza di lavoro è stata in banca ed il primo stipendio che ho preso è stato quello da bancario. Dopo l’università ho vinto un concorso e sono andato a lavorare in banca. In due mesi mi sono fidanzato ed ho trovato il lavoro e chiaramente abbiamo cominciato subito a pensare ad una stabilità per una futura famiglia.

Ma si sarà comprato qualcosa con questi primi soldi, si sarà tolto un capriccio, oppure ha fatto un regalo alla sua fidanzata?

Non lo ricordo.

Scriviamo un mazzo di fiori?

No, no, dopo mia moglie non ci crede…(ride)…beh…ho subito iniziato a progettare il futuro.

Per fare carriera nella vita bisogna essere “i parenti di…”  oppure c’è ancora spazio per il talento personale?

C’è assolutamente spazio per il talento personale. Assolutamente. Questo non significa che non esistono situazioni in cui … però se oggi si accetta la sfida del mercato, ci si mette in discussione, il talento personale, se è accompagnato, ha la possibilità di esprimersi. Tutti possono trovare una strada. Tutti. Ne sono assolutamente certo.

Se dovesse dare un consiglio ai giovani che cosa raccomanderebbe loro?

Direi di puntare tutto sul proprio desiderio, avendo l’umiltà di imparare, di imparare da un altro, di seguirlo, direi loro di mettersi in gioco, di costruire , di tentare un’avventura, di lasciarsi giudicare dalla realtà e di frequentare un luogo che li aiuti ad essere realisti nell’affronto della vita e a sostenere il desiderio di buono che hanno.

Ci dia il suo pronostico sull’attuale crisi economica, vinceremo, pareggeremo oppure ci stiamo avvicinando allegramente ad una sonora sconfitta?

L’instabilità economico finanziaria che c’è non è finita, prevedo che ci saranno altri gravi problemi in futuro perché questo stock di debito che è in giro per il mondo e che ha coinvolto tutti gli Stati si scontra oggi con una incapacità di governance a livello mondiale. C’è qualcuno, l’America, che persegue una dinamica inflattiva, c’è l’Europa che tenta di fare una politica di austerità e di contenimento dei deficit, insomma, c’è uno scontro tra diverse posizioni per cui c’è il rischio di ulteriori crisi e di ulteriore impoverimento della gente. Quello che sta accadendo nei paesi del Mediterraneo è il segno di come la speculazione finanziaria continua a creare dissesti nel mondo ed oggi sta premendo tantissimo sulle materie prime, i beni rifugio. Da una parte prevedo quindi delle grandi turbolenze, dall’altra sono certo che gli uomini che sono al lavoro, che hanno accettato la sfida del cambiamento, che si sono messi in discussione, che stanno percorrendo delle nuove strade possano sempre continuare a creare un processo si sviluppo per se e per la propria famiglia diventando testimoni di una possibilità di umanità per tutti. Quello che cambia la storia non è la potenza del denaro ma è l’uomo che ha incontrato una cosa grande che gli ha cambiato il cuore, un uomo quindi capace di affrontare una situazione difficile continuando a costruire per se e per gli altri.

Qualche anno fa è stato consegnato il premio Nobel a Muhammad Yunus per la sua Banca Etica, con la quale ha fatto dell’economia la migliore forma di solidarietà.
Qual è il suo pensiero circa questo premio e principalmente qual è il suo pensiero sulla solidarietà?

Per me fare qualcosa di etico non è solamente partecipare ad una singola iniziativa. Ben vengano le iniziative specifiche, noi, per esempio, come Compagnia delle Opere siamo impegnati su tante opere non profit ed anche io sono impegnato su delle opere non profit però mi rendo conto che la dimensione che io chiamo della carità deve essere vissuta sempre, dappertutto, perché se diventa il momento del tempo libero oppure del volontariato rimane qualcosa di parziale. Noi abbiamo bisogno che la solidarietà diventi una posizione umana con cui tu lavori, affronti il problema delle banche, affronti il problema dell’altro che ti chiede il lavoro, affronti il problema del tuo dipendente. La passione rispetto a ciò che l’altro è può essere vissuta nel quotidiano in tutto. Solo così possiamo fare l’esperienza affascinante di un cammino verso il nostro Destino. Noi abbiamo bisogno di uomini che costruiscono la loro opera nello specifico che portano avanti. Un’opera solidale è  l’esperienza che il singolo fa quando lavora oppure che la donna fa quando è a casa con i figli, è lì che costruisce una società giusta, una società vera, una società solidale.
Ritornando al premio, quella del micro credito è bellissima iniziativa, anche noi abbiamo messo in atto un’opera di micro credito qui in Italia per aiutare chi oggi deve intraprendere. Ecco vede, il problema è che, oltre a guardare quello che succede in giro, dobbiamo renderci conto che abbiamo tutti delle responsabilità per la situazione in cui siamo.

Pubblicata su ... informazione.tv

mercoledì 16 febbraio 2011

CRONACHE FERMANE

A CHE GIOCO STIAMO GIOCANDO?
Ovvero, come la politica diventa un gioco. 
di Laura Gioventù
 


Salone nella sede della Provincia di Fermo.
I giocatori si dispongono al tavolo.
Da una parte l’Avv. Fabrizio Cesetti con il ruolo di Presidente della Provincia nonché mazziere e dall’altra parte giornalisti, opinione pubblica e fra loro, disposti un po’a destra un po’ a sinistra e qualcuno al centro, tutti gli esponenti politici, partitici, associativi e tutti quelli che in odor di elezioni escono fuori come i funghi.

L’occasione per il gioco è stranota, le dimissioni da vice presidente della provincia di “Tano” Massucci, in quanto lo stesso sembra deciso a giocare ad un altro tavolo, quello che con la posta in gioco offre la poltrona da sindaco della città di Fermo.

Il mazziere mischia le carte e comincia a dichiarare a che gioco sta giocando.
Ma a che gioco sta giocando effettivamente l’Avv. Cesetti?
Il presidente-mazziere gioca a RisiKo, perché cerca la strategia vincente per conquistare più territori possibili, chissà quanti carrarmatini detiene, saranno sufficienti per fare una guerra oppure solo per contenere le perdite?
E Gaetano Massucci a che gioco sta giocando?
“Tano” Massucci sta giocando a scacchi, ed in sella al suo cavallo salta i partiti cercando di fare scacco alla regina per contenderle la poltrona da sindaco.
E la “regina” Brambatti a che gioco sta giocando?
Ma è ovvio, la professoressa sta giocando a “nascondino”, forse cercando di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo e sembra che il suo slogan sia “tana, votatemi tutti!”.
Ma torniamo alla Provincia.
Il SEL a che gioco sta giocando?
Perbacco, ma sta giocando a “ruba bandiera”, perché spera di impadronirsi di un posto nella giunta provinciale, scalpita e si agita per un assessorato ma resta ancora una volta con un pugno di mosce in mano!
E la Sinistra, nel suo insieme tutta unita, a che gioco sta giocando?
La Sinistra gioca al “tiro alla fune”, perché tira la corda ipotizzando dall’altra parte un avversario che non c’è, perché la malattia della sinistra è che senza un rivale non riesce proprio a stare.
Ed il suo storico nemico, la Destra, nel suo insieme tutta divisa, a che gioco sta giocando?
La Destra gioca a “mosca cieca”, perché brancolando nel buio spera disperatamente di “acchiappare” il candidato giusto per perdere dignitosamente.
E fra loro c’è il Centro. Ma il Centro a che gioco sta giocando?
Il Centro gioca a “ruba mazzo”, perché spera di alzare la carta più alta per poter prendere il mazzo e distribuire lui le carte.
Ed insieme al Centro c’è la Chiesa. A che gioco sta giocando la Chiesa? 
La Chiesa gioca sempre a Ping Pong, perché se la rimpalla continuamente cercando la paletta o la pallina,  ma se la racchetta ora è Massucci, la pallina chi la fa?
Poi ci sono gli altri giocatori.
Vediamo che gioco stanno giocando anche gli altri.
C’è Franca Romagnoli. La Franca a che gioco sta giocando?
Lei è impegnata con il gioco dell’oca, perché schierandosi con Futuro e Libertà ha fatto due passi avanti e non si sa quanti indietro.
E Luciano Romanella a che gioco sta giocando?
Romanella ha scelto lo “schiaffo del soldato”, perché vuole mettersi nella condizione di indovinare sempre chi, dandogli il colpo più forte, lo faccia cadere.
Mentre il giovane Andrea Putzu a che gioco sta giocando? Putzu gioca a "scala quaranta", perché da bravo under quaranta sogna di scalare il potere.
Remigio Ceroni invece a che gioco sta giocando?
Remigio gioca a "traversone", perché fa di tutto per perdere cercando di non segnare neanche un punto.
Poi c’è il nostro caro “Peppone” al secolo Buondonno Giuseppe, tutto preso a giocare a tressette con il morto, con il sogno, mai tanto nascosto, di giocare avendo in mano entrambe le carte, le sue e quelle del morto.
E poi a questo tavolo ci sono i giocatori occasionali, quelli di questo momento, ovvero il movimento delle donne, ed a che giocano queste donne? Queste donne giocano alle belle statuine, perché nonostante siano armate di tacco alla riscossa, acconciature in similpelle e unghie laccate rosso passione, non riescono ad essere più quelle di una volta, e mentre passano qualcuno canta ambarabà ciccì coccò…
Poi ci sono gli ospiti d’onore, i giornalisti, a che gioco stanno giocando i giornalisti?
Le “signore” e i “signori” della stampa giocano al “mercante in fiera”, perché senza sapere quali saranno le carte vincenti azzardano puntate grammaticali degne di miglior causa.
E non presenti al tavolo, ma vittime predestinate dell’esito finale dei vari giochi, ci sono gli elettori, l’opinione pubblica e tutti noi insomma.
E noi, a che gioco stiamo giocando?
Poveri noi, noi non stiamo giocando, dovremmo giocare allo “scopone scientifico” ma ogni volta che scartiamo una carta c’è sempre qualcuno che fa scopa e non siamo mai noi!

Signore e signori avvicinatevi al tavolo, i giochi stanno iniziando, rien ne va plus!


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martedì 8 febbraio 2011

CRONACHE FERMANE

La ricerca si muove anche a Fermo. 
Di Laura Gioventù


È il terzo raffreddore che prendo quest’anno.
Dopo una settimana la tosse non accenna a passare e prima che degeneri in qualcosa di più serio decido di andare dal medico.
Passo mezza giornata a fare anticamera nell’ambulatorio per farmi prescrive uno sciroppo.
Ottenuta la prescrizione, con la ricetta in mano, vado subito in farmacia.
Manca poco all’ora di chiusura. Arrivo, come al solito, all’ultimo minuto. Hanno già abbassando le serrande ma la porta è ancora aperta. Ci metterò cinque minuti, non mi dovrebbero fare storie.
Sperando nella bontà del farmacista provo ad entrare lo stesso.

-Permesso, posso? Buongiorno dottore, avrei bisogno di questa medicina.- dico mentre mi avvicino al bancone e passo la ricetta al farmacista.

Il dottore prende in mano il foglio e legge. Controlla da computer la disponibilità del prodotto poi apre uno dei cassetti del grande mobile che ricopre tutta la parete alle sue spalle, estrae un flacone, me lo mostra e dice:

-Dunque Signora, la medicina che le hanno prescritto va bene ma in alternativa potrebbe provare questo prodotto ….-

-… mi consiglia il farmaco generico?-  gli dico mentre osservo la boccetta.

-No, questo cara signora non è un farmaco generico ma è uno sciroppo preparato in laboratorio. Una delle nostre preparazioni farmaceutiche …- mi risponde il farmacista.

-Le fate voi? Ma come, dove, qui?- gli domando.

-Sì, li prepariamo qui. Nel retro di questa farmacia c’è un piccolo laboratorio.-

-Per cui lei mi sta dicendo che sareste in grado di rifare qualsiasi altro tipo di farmaco?-

-Ovviamente no. Non tutti, ma i principali. Prepariamo anche integratori di sali minerali e vitamine e poi creme cosmetiche…per la couperose, la psoriasi, la cellulite… e tante altre…- precisa il farmacista.

Interessante questa cosa, penso. Mi ha convinta.

-Va bene, se me lo consiglia lei …- gli dico - …mi dia pure questo sciroppo. Voglio provarlo.-

Pago, ritiro il sacchetto con la medicina ed i tre euro di resto.
L’ora della chiusura è passata da oltre dieci minuti. Il dottore si toglie il camice, lo appoggia sulla sedia dietro al bancone e si avvicina alla porta d’ingresso. Ma invece che aprirla per farmi uscire la chiude dall’interno con doppia mandata. Pensavo volesse accompagnarmi all’uscita,  ma in pratica mi chiude dentro.

-Mi segua, le voglio mostrare una cosa.- mi dice il dottore.

Resto immobile. Ferma. Come paralizzata. Seguirlo? E dove? Che cosa dovrà farmi vedere? È già tardi e devo andare a casa…non ho altro tempo da perdere…

-Non si preoccupi, venga pure, ci vorrà solo qualche minuto…- mi dice mentre con la mano mi fa cenno di seguirlo.

Ci vorrà solo qualche minuto, ma per fare cosa? Che significa? Cosa faccio, vado? Non vado? Dovrei assecondarlo? Non lo so. Non so cosa fare, so solo che voglio andarmene al più presto da qui!
Da dietro il bancone s’intravede un’altra stanza.
In qualche modo dovrò pure uscire.
Decido di seguirlo.
Entro nel magazzino della farmacia. Il dottore fa strada camminando davanti con passo deciso. Attraversiamo tutta la stanza fino ad un corridoio. Ci sono delle porte. Altri ambienti. Forse il bagno, forse anche un ufficio. Ma lui tira dritto senza mai fermarsi ed io continuo a seguirlo fino ad arrivare alla fine del corridoio. C’è un’ultima porta. Il dottore la apre e siamo fuori.
È l’uscita di servizio della farmacia. È l’ora di pranzo e per la strada non si vede anima viva.

-Mi venga dietro …- mi dice mentre attraversiamo la via.
Camminiamo per una ventina di metri fino ad arrivare davanti una grande porta a vetri senza insegne e nemmeno il campanello.

-Prego, si accomodi pure. - mi dice il farmacista invitandomi ad entrare.

La stanza è grande e molto luminosa. Mi guardo in torno. Ci sono strani aggeggi. Riconosco un microscopio. Sulla parete destra c’è un lavello ed un lungo piano di lavoro in acciaio e poi, vetreria sparsa ovunque, provette , alambicchi e bottiglie. Sulla sinistra uno scaffale aspetta solo di essere riempito dal contenuto dei cartoni chiusi parcheggiati all’angolo. Ed ancora libri, barattoli, sacchetti ed altri oggetti appoggiati a terra.

-Allora, che ne pensa?- mi domanda il dottore rompendo il silenzio.

-Che ne penso? Penso che è carino … sì, bèh oddio, a parte il disordine …. Mi scusi se mi permetto, non si offenda, ma qui sembra sia scoppiata una bomba! Mi faccia capire … ma dove mi ha portata, nel laboratorio della farmacia? È qui che lei prepara lo sciroppo che ho appena comprato?- gli domando mentre mi aggiro per il locale.

Mi muovo con molta cautela, facendo attenzione a dove metto i piedi. Ho paura di rompere qualcosa. Tutti quei vetri hanno l’aria di essere molto fragili.

-No, signora, no. Gli sciroppi li preparo nel laboratorio della farmacia. Questo invece è mio. Mi scusi per la confusione, ma l’ho preso in affitto da poco e devo ancora terminare il trasloco. Mancano le ultime cose...- mi spiega il dottore.

-Mi perdoni, ma non capisco. Perché ha aperto un laboratorio, a cosa le serve se non ci prepara le medicine?- gli dico.

-Perché ho un bisogno, realizzare un sogno!
Vede, la carriera universitaria è stata lunga e per niente remunerativa. Non potendo fare il mantenuto a vita ho preferito al dottorato un lavoro più sicuro e mi sono messo a fare il farmacista, ma la mia vera passione è sempre stata la ricerca!
Faccio esperimenti da sempre. Ho cominciato nella mansarda di casa dei miei genitori che avevo tredici anni e non ho mai smesso. Vede questo?
- mi dice, indicando una macchina appoggiata vicino al lavello.

-Questo è un mescolatore sottovuoto. E le vede tutte queste attrezzature e tutti questi materiali? 
Li ho comprati con i soldi guadagnati facendo il farmacista. Perché, anche se fare questo lavoro non è mai stata la mia massima aspirazione mi permette di “finanziare” il mio sogno.
- aggiunge.

-…lavora come farmacista e si autofinanzia…interessante…- commento ad alta voce.

-Sì, per ora non ho altra scelta … pensi che per pubblicare il libro che ho scritto sulla galenica me lo sono dovuto auto-finanziare perché non ho trovato qualcuno che fosse disposto ad investire su di me.
La ricerca non da garanzie in questo paese. Chi vuole rimanere nell’università è costretto ad andarsene all’estero. E chi decide, come me, di rimanere, ha scarse possibilità. Se hai un progetto, soprattutto nel campo delle sperimentazioni, nessuno ti aiuta. Nessuno è più interessato ad investire in capitale umano, ma solo nella produzione materiale e nel commercio. Qui si finanziano i fatti concreti, non i sogni.
-

-E le istituzioni?-domando.

-Le istituzioni locali spesso sottovalutano il problema. Ci dovrebbe essere una maggiore sensibilità e una maggiore considerazione per questi temi. Non basta parlarne, servono aiuti concreti!
Poi c’è anche la famiglia.
La famiglia da un lato sostiene economicamente tutti i tuoi studi e ti fa laureare, ma poi, una volta uscito dall’università ti incoraggia al “lavoro subito” per non essere più da peso.
Per cui spesso, spinti dalla voglia di autonomia, davanti all’ipotesi di “gavette” lunghe ed altrettanto dispendiose ma piene di opportunità e la possibilità di un impiego immediato e sicuro ma senza grandi prospettive, si ripiega nella soluzione più rassicurante e meno incerta.
Dall’altro però quella stessa famiglia ti riempie di soldi, soddisfa ogni tua richiesta,ogni bisogno materiale. Non ti fa mancare nulla. La famiglia è l’ancora di salvezza per chi resta, perché male che vada si è sempre con le spalle coperte. Anche se il lavoro non lo trovi comunque hai sempre la sicurezza di un tetto sopra la testa. Insomma, non si è mai troppo “disperati”, per fortuna. Ma è proprio questo “benessere”, questa “fortuna”, questa “sicurezza” che inibisce qualsiasi stimolo per cui non si hanno grandi ambizioni, non si sente la necessità di “creare” qualcosa...
-

-Non si direbbe la stessa cosa di lei…però…- osservo.

-Io sono uno di quelli che sono restati. Ho delle idee, ci credo e voglio realizzarle, dimostrando che si può fare anche rimanendo qua. Non mi sono mai fermato, ho continuato a studiare, sperimentare e fare pubblicazioni. Ovviamente sempre gratis. Naturalmente non basta scrivere un libro ed autofinanziarselo, bisogna anche promuoverlo. E per farlo conoscere e fami conoscere oltre che pagarmelo l’ho distribuito gratuitamente. Il mio non è mica un romanzo di Muccino e non pretendo di far soldi con un libro! Ma proprio grazie ad esso l’anno scorso sono riuscito ad ottenere un incarico come docente per un master annuale di galenica organizzato dall’università di Camerino.-

-Ma se fa il farmacista a tempo pieno, come fa a conciliare il suo lavoro con l’insegnamento o anche solo ad avere una vita privata?-gli domando.

-Sacrificando molto del mio tempo libero. Le lezioni me le preparavo nel fine settimana, mentre per l’insegnamento al corso ho utilizzato tutti i miei giorni di ferie. Non è sempre facile. I momenti di sconforto non mancano. Tengo i piedi in più staffe, ma non mollo. Piuttosto faccio piccoli passi, ma vado avanti. Ora ho preso in affitto questo locale per proseguire i miei studi e per continuare con i miei test e gli esperimenti. Qui potrò organizzarmi meglio e lavorare con più tranquillità! …e cominciano ad arrivare anche i primi risultati, a dicembre, infatti, mi hanno riconfermato la cattedra al master per il secondo anno!-

Ascoltando la storia del farmacista non mi sono resa conto del tempo che passava. Per me si è fatto davvero tardi. Gli faccio i miei più sinceri auguri per i suoi progetti e me ne vado lasciandolo nel suo mondo di vetrini e becher ma, mentre cammino per riprendere l’auto e tornare a casa non posso far altro che ripensare al suo racconto.

Le sue parole mi hanno trasmesso entusiasmo. Mi hanno fatto capire che è ancora possibile realizzare i sogni, bisogna solo crederci!

Salendo in macchina mi ritornano alla mente anche le parole di Luca Barbarossa nell’ultima intervista che ho fatto. Il cantautore romano consiglia ai giovani di andare, di inseguire i loro sogni, di tentare e di mettersi in gioco, perché se non lo facciamo ora che siamo giovani non lo faremo mai più. Ma dice anche che “in tutte le professioni bisogna essere pronti a studiare, a sacrificarsi, a mangiare pane e polvere per parecchio tempo e poi forse ad avere dei risultati.”

Chissà, magari tra qualche anno al farmacista consegneranno anche il Premio Nobel, oppure no, lo scoprirà solo provandoci. Comunque vada sarà un successo, perché potrà dire di averci provato, perché potrà dire di non avere rimpianti nella vita.

Ancora non ho preso lo sciroppo, ma già mi sento molto meglio. Ascoltare questa storia deve aver sortito un effetto placebo perché la mia tosse sembra sparita.

E lo so che state pensando che tutta la storia che vi ho raccontato sia inventata, lo so, anche a me avrebbe dato questa idea se l’avessi ascoltata da qualcun altro, ma è tutto vero. Come faccio a saperlo, come faccio ad esserne certa? …ma è semplice, il farmacista è mio fratello.

Buona galenica a tutti.

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mercoledì 2 febbraio 2011

CRONACHE MOSTRUOSE

Ovvero, la triste realtà del neorealismo mostrografico.
di Laura Gioventù



Ora immaginate una mostra fotografica con diverse foto in bianco e nero.
Tutte della stessa dimensione.
Tutte montate su cornice nera quadrata con passe-partout avorio.
Che cosa vi dicono queste informazioni?
Esattamente nulla, vero?
Bene.
E se vi dicessi ...Dipinto ad olio su tavola di pioppo.
Dimensioni 77 × 53 cm.
Ancora niente, vero?
Bene, molto bene, anzi malissimo!

A Montegranaro (FM) c’è una mostra fotografica.
Si intitola “Luigi Crocenzi: Borgate Romane” ed è composta da una serie di stampe che documentano la vita delle periferie Romane nel 1947, anno in cui l’autore frequentava gli studi di cinematografia nella capitale.
E sabato pomeriggio è stato il giorno dell’inaugurazione.
Arrivo, come al solito, un’ora dopo i saluti delle autorità e la galleria è ancora piena di gente.
Vedo le foto appese alla parete e comincio ad osservarle una ad una facendo tutto il giro della stanza.
Sono tutte foto in bianco e nero e riproducono istanti di vita vissuta, strade di terra battuta, piccole case, vecchi tram sullo sfondo di grandi palazzi, panni stesi ad asciugare, volti di gente comune, donne, vecchi, e bambini che giocano. Testimoniano la povertà, testimoniano i segni dalle difficoltà della vita dell’epoca. Immagini tristi ma vere di un tempo non troppo lontano ma spesso dimenticato.
Molto interessante!
Ma quali sono le Borgate Romane fotografate?
Non lo so.
Le foto non mi dicono nient’altro.
Credevo di trovare delle didascalie, come si fa in ogni mostra che rispetti e che rispetti il pubblico, ma sotto quelle fotografie non c’è scritto nulla.
Non c’è l’autore.
Non c’è il luogo né la data dello scatto.
Non è dato sapere il tipo di pellicola.
Non è dato sapere il tipo di stampa.
E nemmeno la dimensione della foto è importante.

Da visitatrice deduco siano tutti scatti dello stesso autore. Va bene.
Ma di quali Borgate Romane sto vedendo le immagini?
Il titolo della mostra non specifica nulla.
Borgate Romane potrebbe indicare un solo quartiere  ma anche luoghi diversi.
Gli aspetti del degrado urbano, sempre esistito e mai definitivamente scomparso, sono uguali in ogni città di ogni angolo della terra. E tutte le istantanee in mostra non presentano alcun particolare che permetta di identificare in maniera inequivocabile la città impressa nella fotografia.
Potrebbe essere Roma, ma potrebbe essere qualsiasi altra periferia di qualsiasi altra città italiana del dopoguerra. Le foto potrebbero essere state scattate ovunque.
Come faccio a capire se non c’è scritto niente?

Forse gli organizzatori vogliono far giocare ad indovinello i loro visitatori.
Un indovinello rivolto però solo ai cittadini romani. Ma anche se fossi stata Romana piuttosto che Fermana  per me sarebbe stato comunque impossibile riconoscere i luoghi di quelle immagini. Solo chi nel 1947 era un ragazzo e viveva a Roma potrebbe individuare quelle zone e confrontarle con quello che sono diventate oggi. Ed io, come molti visitatori, non solo non sono Romana ma non ero nata nel 1947!

Hanno dato per scontato che i visitatori non fossero marchigiani, oppure la mostra è stata allestita pensando solo ai turisti romani che arrivano nella nostra provincia a fare shopping?

È evidente che i responsabili dell’evento hanno ritenuto superfluo e persino una perdita di tempo comunicare queste informazioni.
Ma allora mi chiedo, come mai sotto la Primavera di Botticelli c’è scritto il nome, l’autore, l’anno, le dimensioni, il tipo di legno e la tempera utilizzata se quel quadro è talmente famoso che lo conosce il mondo intero?

Il giorno dopo, domenica, a Fermo, c’è una seconda mostra dello stesso autore, ma non solo. È una collettiva sul neorealismo della fotografia italiana e comprende immagini che vanno dal 1945 al 1965.
Ed è sempre il giorno dell’inaugurazione.
Tra le immagini ne riconosco alcune uguali a quelle presenti alla mostra del giorno prima. Chissà, magari saranno state inserite per far numero, ma in questa le didascalie alle foto almeno le hanno messe.

Le fotografie mi piacciono molto, così, viste entrambe le mostre decido di acquistare il catalogo fotografico.
Ma non posso farlo. Il catalogo è terminato e se voglio averlo devo tornare alcuni giorni dopo … forse.   
Ma come, la sera dell’inaugurazione hanno terminato tutti i cataloghi?
È incredibile!
E se non avessi più modo di ripassare?
Ma quanti ne avevano portati? Una decina mi dice qualcuno. Ma il giorno di apertura è sempre quello di massima affluenza perciò come minimo ne avrebbero dovuti avere trecento di cataloghi. Come minimo.
Non li avevano pronti oppure avranno preso tutti quelli avanzati dall’altra esposizione? Che fanno, tra una mostra e l’altra, se li scambiano a vicenda in base alle richieste? Oppure sanno già che non venderanno altri libri all’infuori delle giornate inaugurali per cui trecento pezzi non li hanno prodotti per paura di non venderli?
Anche questa esposizione, come l’altra, resta un mese e in un mese non credono di vendere almeno trecento cataloghi?
Ma l’addetto comunale non sa darmi una spiegazione.
Allora, prima di andarmene, chiedo di poter lasciare un commento nel libro delle presenze.
Ma non posso perché non c’è nessun quaderno.
Il quaderno manca perché hanno finito tutte le pagine e non c’è più spazio disponibile nemmeno per un autografo, oppure perché lo hanno perso?
Caspita, ma dalle 17, ora dei saluti istituzionali, alle 19 quanta gente è andata?
Se hanno terminato i cataloghi ed hanno riempito tutto il quaderno di autografi devo proprio essermi persa un evento memorabile. Eppure è molto strano, quando sono andata io ho trovato solo tre persone ed erano da poco passate le 19.
Il messo comunale ammette candidamente che il libro non c’è mai stato e che anche altre persone hanno fatto la mia stessa osservazione.
Saranno i soliti rompiscatole, ma la gente perché non se ne sta a casa la domenica?
Ma se l’ingresso è libero come fa l’amministrazione comunale oppure gli stessi organizzatori a fare una stima del numero dei visitatori se non hanno manco un libro presenze?
Forse, oltre che sui cataloghi, vogliono risparmiare anche sul libro ed hanno deciso di far contare il numero delle persone che entrano all’addetto alla reception e poi a fine giornata tireranno le somme.
Certo, così è anche più facile mentire sui numeri, altrimenti come fanno a dire che ci sono stati tre mila visitatori?
Eppure l’evento è stato finanziato anche dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo. Questi enti che elargiscono soldi non sono interessati ai numeri oppure danno il contributo agli eventi che giudicano interessanti anche se poi hanno un successo incerto?
Con quale criterio si patrocinano e si sponsorizzano queste manifestazioni?
Per una mostra si spendono anche i soldi dei cittadini quindi si dovrebbe render conto delle spese sostenute e dei riscontri avuti anche in termini di visite.
La mancanza di un costo del biglietto non vuol dire automaticamente che l’evento sia gratuito. Alla fine paghiamo sempre noi cittadini attraverso i fondi degli assessorati.
Ma chi organizza la mostra che lavoro fa?
Che senso ha spendere soldi pubblici se poi le mostre sono così male organizzate?
Se la mostra non ha affluenza significa che qualcosa non funziona. Non piace, non interessa oppure non è stata promossa adeguatamente. E  se non funziona non sarebbe meglio direzionare le risorse su altri tipi di interventi culturali? Perché altrimenti queste iniziative hanno la puzza della solita propaganda politica per compiacersi ed autocelebrasi con la solita cerchia di elettori.


Pensate siano solo dettagli? Pensate che queste cose siano solo sottigliezze?
Non credo.
No. Sono dei segnali importanti.
Dimostrano che le amministrazioni, le associazioni locali e gli stessi organizzatori sottovalutano erroneamente la capacità critica dei loro visitatori.
Dimostrano che in qualità di fruitori di cultura non contiamo nulla per loro, ma solo come contribuenti.
Dimostrano che non serve saper organizzare bene mostre fotografiche e questo mi dispiace profondamente.
Ma se non sono in grado allora credo sia il caso di farle organizzare a chi è più competente. Perché la promozione turistica di questo territorio passa anche per queste manifestazioni culturali e non solo per gli outlet calzaturieri, le verdi colline o il ciabuscolo.

Ah già, è vero, scusatemi, me ne stavo dimenticando, volete sapere a chi appartengono le misure del dipinto ad olio su tavola di pioppo, vero? Ebbene sono della Gioconda di Leonardo Da Vinci!

Ma siete proprio sicuri che le misure della Gioconda siano effettivamente 77 x 53 cm? Forse sono giuste, ma andatelo a controllare di persona, tanto Parigi è dietro l’angolo.

Buona mostra a tutti!

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