Filosofie a confronto.
Di Laura Gioventù
Il Natale si avvicina e il dramma rimane quello di sempre: che cosa regalare?
Mica facile, cerco oggetti che siano spiritosi ma allo stesso tempo utili.
Però vanno bene anche quelli inutili purché siano particolari. Mi piace fare regali pensati, regali originali. Quantomeno le intenzioni sono sempre le migliori poi, non so come, mi perdo, non trovo più la strada e per scegliere un semplice libro ci impiego più di un’ora!
Forse anche nella scelta dei regali bisogna usare un minimo di filosofia.
Il tempo stringe, fra pochi minuti è Natale e devo ancora comprarne molti.
Tanti, troppi e non mi rimane altra soluzione che andare al centro commerciale. Che cosa spero di trovare di tanto particolare in un posto del genere? Sinceramente non ne ho idea ma decido comunque di fare un giro tanto per perdere altro tempo. L’illusione è di trovare almeno una qualche ispirazione che mi salvi dalla banalità!
Arrivo all’ora di pranzo e comincio a girovagare senza troppe aspettative. La premessa non è delle migliori come pure il mio umore. Entro in tutti i negozi. Guardo ogni cosa, cerco, seleziono e penso. Vado avanti, ci ripenso e torno indietro. Stavo perdendo ogni speranza, ma alla fine, con molta pazienza, riesco a trovare qualcosa di carino per tutti.
Mi sento sollevata da un peso enorme, anche per quest’anno è andata!
Nello shopping natalizio l’ansia è sempre la stessa. L’unica cosa positiva è che si fanno sempre gli incontri più inaspettati. In libreria mi sono “scontrata” con Chiara e oggi al centro commerciale, ho incontrato un’altra mia amica, Stefania. Io stavo uscendo e lei entrava.
Stefania è di Fermo, ma da quando frequenta l’università, si è trasferita a Macerata e in pratica non ci vediamo quasi mai.
Che fai, che non fai, come butta … ci mettiamo a chiacchierare!
-Ti trovo in splendida forma! Stai benissimo con quel taglio di capelli! Se non ricordo male, l’ultima volta che ci siamo viste, ti mancavano tre esami per la laurea. A che punto sei? – le domando.
-Ho finito. O meglio, sto preparando la tesi. A fine marzo, salvo imprevisti, mi laureo!- mi risponde tutta entusiasta.
-Fantastico! - Le dico - E dopo … dopo che farai? Ci hai già pensato?-
-Avrò una laurea e invece di attaccarla al muro la porterò in giro a farla vedere. Magari qualcuno la troverà interessante!-
-…e nel frattempo?-
-Nel frattempo farò l’operaia della filosofia!-
-L’operaia? Vuoi dire come quelle che trapuntano le scarpe nei calzaturifici?-
-Più o meno, ma in una piazza. Cucirò i pensieri! A Civitanova Marche la prossima estate ci sarà una manifestazione e spero tanto mi prendano …. Si chiamerà Popsophia.-
-Popsophia, e che nome è Popsophia? È strano. Che cos’è, un concerto musicale?- le chiedo.
-No, è un festival!- mi risponde Stefania.
-Un festival, quindi è un concorso, ci saranno dei vincitori..- continuo a non capire.
-No, adesso ti spiego meglio. Popsophia è una manifestazione filosofica che tenterà di scoprire, senza pregiudizi moralistici, quanto di filosofico ci sia nel quotidiano e nel superfluo.-
-Caspita, mi devi aver letto nel pensiero perché stavo riflettendo proprio sulla filosofia dei regali natalizi!-
Con un cenno della testa le indico le buste piene di pacchetti. Ho entrambe le mani occupate ma lei nemmeno se ne accorge tanto è presa dal suo stesso racconto.
-Si guarderà il mondo contemporaneo con le lenti della filosofia. Saranno messi sotto osservazione tutti i fenomeni mediatici di massa, dai reality alle fiction, ma anche la moda e perfino il cellulare! Si parlerà del Doctor House e Dylan Dog, di Sex and the city e Lost.
Ci si domanderà che cosa rende una scarpa, una cintura o un accessorio moda oggetti di culto. E si tenterà di capire chi sono i milioni di telespettatori che ogni giorno seguono le fiction popolari, i talk show e i tronisti. Hai mai provato, per esempio, ad immaginare che mondo sarebbe senza Youtube e Facebook?-
-Divertente sta cosa, cercheranno pure di capire che mondo sarebbe senza Nutella? Interessante questo festival!-
-Più che interessante è rivoluzionario, almeno nelle intenzioni, perché si cercherà di rendere la filosofia divertente, oltre che interessante.-
- …e quando inizieresti? -
-A fine luglio. Per un mese, ma solo nei fine settimana. Nel week end è compreso anche il venerdì, però non ne sono sicurissima. Dovrebbero essere tre giorni, venerdì, sabato e domenica per quattro settimane, quindi in tutto saranno dodici giorni!-
-E di che cosa ti occuperesti di preciso?-
-Ancora non lo so, ma sono disposta anche a sistemare le sedie e raccogliere le cartacce pur di esserci. -
- Come mai ci tieni così tanto? Perché lo fai? Sinceramente tutta questa euforia per sistemare delle sedie non la capisco. -
-Perché sarò a contatto con delle persone interessanti, si sentiranno cose intelligenti. Ed io devo imparare ancora molto. Presto volontariato e nel frattempo faccio praticantato.
Come i modellisti fanno l’apprendistato per imparare a disegnare le scarpe, anche io devo fare pratica se voglio diventare una grande stilista della filosofia.
Si respirerà aria di alta cultura, ma non sarà astratta, sarà una cultura calata nella realtà concreta.
Una manifestazione del genere sarà un’importantissima palestra per me. Mi formerà.
Interverranno i più grandi intellettuali italiani ma anche personalità dello spettacolo. Accanto a filosofi come Massimo Cacciari ed Emanuele Severino ci saranno anche Alfonso Signorini, il direttore di Chi e Tv Sorrisi e Canzoni e Federico Moccia!
La filosofia si mette a confronto. Da un lato quella popolare e dall’altro quella erudita in un impietoso faccia a faccia! …. Bellissimo!
Comunque ora mi devi scusare, ma devo proprio scappare. Se vuoi saperne di più è già online il sito www.popsophia.it dove puoi iscriverti per avere notizie in anteprima sul programma.-
Ci scambiamo gli auguri e ci salutiamo. Mi ha fatto molto piacere incontrarla. Stefania si gira e se ne va. Prima di andarmene resto immobile per qualche istante. La guardo allontanarsi. Cammina molto velocemente, sembra andare di fretta. Forse anche lei è lì per comprare dei regali.
Sinceramente ho capito poco di tutto quello che m’ha raccontato, però quell’entusiasmo nelle sue parole mi ha incuriosita. Non si è capito bene come sarà articolata tutta la manifestazione ma l’ardore di quelle parole mi hanno convinta. Mi fido molto del suo gusto … una volta rientrata a casa cerchèrò informazioni più precise. Farò delle ricerche su internet e mi registrerò su popsophia.it.
Sembra essersi innamorata. Sì, innamorata, ma non di un maschietto … della filosofia!
Operaia della Filosofia … ma pensa te che buffa occupazione. Almeno lei non se ne starà con le mani in tasca ad aspettare un futuro che vuole costruirsi … che bel regalo di Natale mi ha fatto Stefania, saperla così convinta mi ha messo allegria … Buon PopSophia a tutti!
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Pubblicata su ... seratiamo.it
giovedì 23 dicembre 2010
sabato 18 dicembre 2010
CRONACHE FERMANE
C’è posta per me.
Di Laura Gioventù
Ieri sera ho aperto la cassetta delle lettere per vedere se c’era posta per me ed ho trovato ancora una volta il solito avviso in casella!
Lunedì.
Lunedì ore 11.30.
E oggi che giorno è?
Ho perso il conto, i giorni passano troppo veloci.
Faccio mente locale…
Dunque, vediamo…lunedì?
Lunedì sono rimasta tutto il giorno a casa.
Ma non mi hanno trovata, eppure io c’ero. E nonostante ci fossi, mi hanno lascito l’avviso!
Questa è bella!
Peraltro nessuno ha suonato alla mia porta. A meno che non sia diventata sorda e rimbambita d’un colpo il portalettere ha lasciato la comunicazione senza nemmeno accertarsi che in casa ci fosse qualcuno.
Ci risiamo, questo è l’ennesimo avviso lasciato nella buca proprio mentre ero a casa.
Questa mattina vado nella sede centrale dell’ufficio postale per recuperare la lettera.
Allo sportello c’è una ragazza che conosco, le racconto la vicenda e le chiedo spiegazioni.
-Come è possibile che succedano queste cose?-
-In quella zona hanno mandato un nuovo postino che resterà fino alla fine del mese. E purtroppo a gennaio ne manderanno un altro.- mi spiega la ragazza.
-Sono i portalettere a tempo che Poste Italiane assume in alcuni periodi dell’anno.
Tutta gente in gamba, tranne qualche eccezione.
L’eccezione c’è sempre perché a volte arrivano persone che tutto hanno meno che voglia di lavorare. C’è sempre quello che non si impegna e che non gliene frega niente di consegnare la posta. Cercano solo di sbrigarsi e per fare prima lasciano l’avviso! Non si preoccupano di verificare se sei in casa, e se si ricordano di bussare alla porta, non ti danno nemmeno il tempo di scendere per firmare che già se ne sono andati!
Il tuo non è certo il primo episodio che capita…-
-E questo mi dovrebbe consolare? -
-…del resto le assunzioni non vengono mai riconfermate. Poste Italiane preferisce chiamare sempre gente nuova per scongiurare possibili vertenze e ricorsi.
Per ora che si impara a conoscere la zona e si prende dimestichezza con il lavoro ecco che il contratto scade. Questi ragazzi sanno benissimo che non verranno più chiamati per cui fare il proprio dovere o fregarsene non cambia assolutamente nulla. Non sono incentivati ad impegnarsi!
Mettici pure che quello del portalettere è un lavoro particolare e faticoso. La posta è pesante, ci si alza presto la mattina, si lavora anche il sabato, ci si sposta in motorino e questa non è proprio la stagione più bella per le due ruote. Fa freddo e quando piove, beh, quando piove la posta va consegnata ugualmente! Per un contratto di tre mesi pensano ... “ma chi me lo fa fare?”
E la ragazza che ti ha lasciato l’avviso in cassetta è una di quelle che non s’ammazza certo per il lavoro! È una neodiplomata che non ha voglia di studiare e nemmeno di lavorare…-
-Fammi capire, non vuole studiare, non vuole lavorare, ma allora che cosa vuole fare, continuare a giocare con le bambole? -
-La postina le piacerebbe pure, ma quella con i tacchi a spillo e nella famosa trasmissione televisiva della De Filippi!-
-Questo certamente non sarà il lavoro che tutti sognano ma in mancanza di un’occupazione stabile conviene sempre accettare. È pur sempre un lavoro, un lavoro dignitoso al pari di qualsiasi altro e che per di più ti lascia molto tempo libero!-
-proprio così, ti permette di avere mezza giornata libera ed uno stipendio di milleduecento euro di tutto rispetto! L’azienda rimborsa anche i pasti!-
-E dei soldi, nemmeno di quelli le importa?!-
-Dei soldi se ne frega, tanto poi c’è mamma e papà ed è sempre meglio continuare a dormire tutti i giorni fino a tardi!-
-Ma io NON me ne frego assolutamente! Questa mattina ho fatto più di un’ora di fila per ritirare questa benedetta raccomandata ed oltre al tempo perso ho dovuto pure pagare il parcheggio! E tutto questo perché la signorina aveva troppa fretta per suonare il campanello?
Domani l’aspetto sotto casa!-
Cosa dovrebbe dire allora la mia amica che con due figli lavora a tempo pieno in un’agenzia di assicurazione per novecento euro al mese? Lei che pur di non lasciare il posto è costretta a ricorrere alla babysitter perché gli orari di lavoro nelle Marche non tengono conto di chi è anche una mamma. A lei che corre come una trottola dalla mattina alla sera e che gira metà dello stipendio alla tata chi glielo fa fare??? Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi.
Insomma, è un mondo difficile!
C’è chi pur di lavorare è disposto anche a mettere da parte la laurea e c’è chi invece non ha voglia di fare nulla. C’è chi il lavoro non lo trova e si accontenta di quello che capita e c’è anche chi il lavoro lo trova ma non lo vuole!
Ah, dimenticavo, sapete poi cosa c’era di tanto importante in quella raccomandata?
Un invito!
E mentre guardo l’invito penso che c’è anche chi per fare carriera e per crescere professionalmente è costretto ad andarsene da qui, dal suo paese ...
Dal mio parrucchiere il mese scorso è arrivata da Milano una ragazza bravissima che ha lavorato per tanti anni nei backstage delle sfilate di moda. Siccome viene da Milano tutti la vogliono, tutti la cercano…ma in realtà lei non è milanese ma Marchigiana doc. Una Marchigiana di Sant’Elpidio a Mare!
A Milano ha potuto trovare il degno riconoscimento della sua professionalità e del suo valore, mentre qui non ci riusciva, perché qui nelle Marche nessuno gli dava fiducia.
Qui nelle Marche Sporche solo se vieni da Milano ti stanno a sentire altrimenti nemmeno ti prendono in considerazione, siamo così provinciali che proprio così ci comportiamo.
Succede anche per la promozione delle nostre scarpe. Noi facciamo le scarpe, ma la promozione la affidiamo agli altri…. Perché?
È giunto il momento di cominciare a curare meglio i talenti di casa nostra invece di farli scappar via per andarli poi a cercare altrove...
Ma in tutto ciò c’è ancora qualcosa che mi sfugge...
Del resto un Dante Ferretti ve lo immaginereste alla Promonta? E Neri Marcorè che ricopre i tacchi? Non avrebbero avuto il successo che hanno se fossero restati nelle Marche.
Da noi restano solo gli svogliati?
Non credo.
Ci teniamo i parassiti della società, quelli che si lasciano trasportare dalla corrente, che vivono di inerzia, che non hanno obiettivi, scopi, sogni e desideri, e la cui unica aspirazione è non fare niente? Se puoi sognarlo, puoi farlo…ma se non sogni nulla????
Che cos’è che manca a chi rimane? Un progetto? Uno scopo?
Non abbiamo dato gli strumenti ai giovani?
L’intera generazione di chi ha solo pensato a cucire le tomaie nei sottoscala ora dà le chiavi delle auto di grandi cilindrate ai propri figli, restando svegli la notte per la preoccupazione, ma gliela danno anche se non se la sono meritata.
Il benessere ha portato alla mancanza di stimoli per cui abbiamo padri che dormono la notte producendo benessere di giorno e figli che di notte si divertono, almeno fanno finta di divertirsi, e di giorno cercano lavori che non ci sono perché quelli che trovano li rifiutano o perché quelli che potrebbero fare li facciamo fare ai milanesi???
Esiste un’etica del lavoro o un lavoro etico?
Ma di chi è la colpa di quello che succede oggi, se poi sono gli stessi genitori che giustificano i propri figli…ma sono solo dei ragazzi…la vita va vissuta…divertiti pure finchè puoi…c’è tempo per mettere la testa a posto…e magari restano a casa fino a 50 anni in attesa di diventare grandi!?!?
Insomma, era meglio quand’era peggio?
Non credo.
Impossibile ritornare al passato...bisogna avere una chiave di lettura aggiornata, o forse solo l’umiltà di non dimenticare da dove veniamo per non spaventarci troppo vedendo dove stiamo andando.
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Di Laura Gioventù
Ieri sera ho aperto la cassetta delle lettere per vedere se c’era posta per me ed ho trovato ancora una volta il solito avviso in casella!
Lunedì.
Lunedì ore 11.30.
E oggi che giorno è?
Ho perso il conto, i giorni passano troppo veloci.
Faccio mente locale…
Dunque, vediamo…lunedì?
Lunedì sono rimasta tutto il giorno a casa.
Ma non mi hanno trovata, eppure io c’ero. E nonostante ci fossi, mi hanno lascito l’avviso!
Questa è bella!
Peraltro nessuno ha suonato alla mia porta. A meno che non sia diventata sorda e rimbambita d’un colpo il portalettere ha lasciato la comunicazione senza nemmeno accertarsi che in casa ci fosse qualcuno.
Ci risiamo, questo è l’ennesimo avviso lasciato nella buca proprio mentre ero a casa.
Questa mattina vado nella sede centrale dell’ufficio postale per recuperare la lettera.
Allo sportello c’è una ragazza che conosco, le racconto la vicenda e le chiedo spiegazioni.
-Come è possibile che succedano queste cose?-
-In quella zona hanno mandato un nuovo postino che resterà fino alla fine del mese. E purtroppo a gennaio ne manderanno un altro.- mi spiega la ragazza.
-Sono i portalettere a tempo che Poste Italiane assume in alcuni periodi dell’anno.
Tutta gente in gamba, tranne qualche eccezione.
L’eccezione c’è sempre perché a volte arrivano persone che tutto hanno meno che voglia di lavorare. C’è sempre quello che non si impegna e che non gliene frega niente di consegnare la posta. Cercano solo di sbrigarsi e per fare prima lasciano l’avviso! Non si preoccupano di verificare se sei in casa, e se si ricordano di bussare alla porta, non ti danno nemmeno il tempo di scendere per firmare che già se ne sono andati!
Il tuo non è certo il primo episodio che capita…-
-E questo mi dovrebbe consolare? -
-…del resto le assunzioni non vengono mai riconfermate. Poste Italiane preferisce chiamare sempre gente nuova per scongiurare possibili vertenze e ricorsi.
Per ora che si impara a conoscere la zona e si prende dimestichezza con il lavoro ecco che il contratto scade. Questi ragazzi sanno benissimo che non verranno più chiamati per cui fare il proprio dovere o fregarsene non cambia assolutamente nulla. Non sono incentivati ad impegnarsi!
Mettici pure che quello del portalettere è un lavoro particolare e faticoso. La posta è pesante, ci si alza presto la mattina, si lavora anche il sabato, ci si sposta in motorino e questa non è proprio la stagione più bella per le due ruote. Fa freddo e quando piove, beh, quando piove la posta va consegnata ugualmente! Per un contratto di tre mesi pensano ... “ma chi me lo fa fare?”
E la ragazza che ti ha lasciato l’avviso in cassetta è una di quelle che non s’ammazza certo per il lavoro! È una neodiplomata che non ha voglia di studiare e nemmeno di lavorare…-
-Fammi capire, non vuole studiare, non vuole lavorare, ma allora che cosa vuole fare, continuare a giocare con le bambole? -
-La postina le piacerebbe pure, ma quella con i tacchi a spillo e nella famosa trasmissione televisiva della De Filippi!-
-Questo certamente non sarà il lavoro che tutti sognano ma in mancanza di un’occupazione stabile conviene sempre accettare. È pur sempre un lavoro, un lavoro dignitoso al pari di qualsiasi altro e che per di più ti lascia molto tempo libero!-
-proprio così, ti permette di avere mezza giornata libera ed uno stipendio di milleduecento euro di tutto rispetto! L’azienda rimborsa anche i pasti!-
-E dei soldi, nemmeno di quelli le importa?!-
-Dei soldi se ne frega, tanto poi c’è mamma e papà ed è sempre meglio continuare a dormire tutti i giorni fino a tardi!-
-Ma io NON me ne frego assolutamente! Questa mattina ho fatto più di un’ora di fila per ritirare questa benedetta raccomandata ed oltre al tempo perso ho dovuto pure pagare il parcheggio! E tutto questo perché la signorina aveva troppa fretta per suonare il campanello?
Domani l’aspetto sotto casa!-
Cosa dovrebbe dire allora la mia amica che con due figli lavora a tempo pieno in un’agenzia di assicurazione per novecento euro al mese? Lei che pur di non lasciare il posto è costretta a ricorrere alla babysitter perché gli orari di lavoro nelle Marche non tengono conto di chi è anche una mamma. A lei che corre come una trottola dalla mattina alla sera e che gira metà dello stipendio alla tata chi glielo fa fare??? Eppure non l’ho mai sentita lamentarsi.
Insomma, è un mondo difficile!
C’è chi pur di lavorare è disposto anche a mettere da parte la laurea e c’è chi invece non ha voglia di fare nulla. C’è chi il lavoro non lo trova e si accontenta di quello che capita e c’è anche chi il lavoro lo trova ma non lo vuole!
Ah, dimenticavo, sapete poi cosa c’era di tanto importante in quella raccomandata?
Un invito!
E mentre guardo l’invito penso che c’è anche chi per fare carriera e per crescere professionalmente è costretto ad andarsene da qui, dal suo paese ...
Dal mio parrucchiere il mese scorso è arrivata da Milano una ragazza bravissima che ha lavorato per tanti anni nei backstage delle sfilate di moda. Siccome viene da Milano tutti la vogliono, tutti la cercano…ma in realtà lei non è milanese ma Marchigiana doc. Una Marchigiana di Sant’Elpidio a Mare!
A Milano ha potuto trovare il degno riconoscimento della sua professionalità e del suo valore, mentre qui non ci riusciva, perché qui nelle Marche nessuno gli dava fiducia.
Qui nelle Marche Sporche solo se vieni da Milano ti stanno a sentire altrimenti nemmeno ti prendono in considerazione, siamo così provinciali che proprio così ci comportiamo.
Succede anche per la promozione delle nostre scarpe. Noi facciamo le scarpe, ma la promozione la affidiamo agli altri…. Perché?
È giunto il momento di cominciare a curare meglio i talenti di casa nostra invece di farli scappar via per andarli poi a cercare altrove...
Ma in tutto ciò c’è ancora qualcosa che mi sfugge...
Del resto un Dante Ferretti ve lo immaginereste alla Promonta? E Neri Marcorè che ricopre i tacchi? Non avrebbero avuto il successo che hanno se fossero restati nelle Marche.
Da noi restano solo gli svogliati?
Non credo.
Ci teniamo i parassiti della società, quelli che si lasciano trasportare dalla corrente, che vivono di inerzia, che non hanno obiettivi, scopi, sogni e desideri, e la cui unica aspirazione è non fare niente? Se puoi sognarlo, puoi farlo…ma se non sogni nulla????
Che cos’è che manca a chi rimane? Un progetto? Uno scopo?
Non abbiamo dato gli strumenti ai giovani?
L’intera generazione di chi ha solo pensato a cucire le tomaie nei sottoscala ora dà le chiavi delle auto di grandi cilindrate ai propri figli, restando svegli la notte per la preoccupazione, ma gliela danno anche se non se la sono meritata.
Il benessere ha portato alla mancanza di stimoli per cui abbiamo padri che dormono la notte producendo benessere di giorno e figli che di notte si divertono, almeno fanno finta di divertirsi, e di giorno cercano lavori che non ci sono perché quelli che trovano li rifiutano o perché quelli che potrebbero fare li facciamo fare ai milanesi???
Esiste un’etica del lavoro o un lavoro etico?
Ma di chi è la colpa di quello che succede oggi, se poi sono gli stessi genitori che giustificano i propri figli…ma sono solo dei ragazzi…la vita va vissuta…divertiti pure finchè puoi…c’è tempo per mettere la testa a posto…e magari restano a casa fino a 50 anni in attesa di diventare grandi!?!?
Insomma, era meglio quand’era peggio?
Non credo.
Impossibile ritornare al passato...bisogna avere una chiave di lettura aggiornata, o forse solo l’umiltà di non dimenticare da dove veniamo per non spaventarci troppo vedendo dove stiamo andando.
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giovedì 9 dicembre 2010
CRONACHE FERMANE
La cena dei sapori.
di Laura Gioventù
Ieri sera ero in libreria per comprare un libro da regalare a mia cognata. Non so mai cosa scegliere. Alla fine mi sono lasciata convincere dal libraio ed ho preso l’ultimo della Mazzantini, ma non sono molto convinta della mia scelta perché è un romanzo che non ho letto.
Se poi non le piace e lo lascia a metà?!? Non vorrei aver sbagliato genere.
Mi avvicino alle casse ancora piena di dubbi quando all’improvviso la luce va via per un black-out .
Il buio mi prende di sorpresa ma continuo a muovere qualche passo per poter raggiungere il bancone, allungo una mano, cerco un appoggio ma urto qualcosa, il libro scivola a terra insieme al mio cellulare, cerco di raccoglierli, mi abbasso, tasto il pavimento intorno a me ma non riesco a trovarli.
Comincio subito ad innervosirmi, e mi chiedo dove saranno finiti, non possono essere andati troppo lontano. Ma appena qualche minuto dopo la luce ricompare.
- Finalmente, ecco dove eravate finiti…per fortuna nessuno si è più mosso.- dico ad alta voce mentre raccolgo velocemente il libro ed il telefonino da terra. Mi rialzo ed accanto a me trovo la mia amica Chiara.
- Chiara, che sorpresa, anche tu qua?!? …ma allora devo essermi scontrata con te un attimo fa…scusami!-
- Sì, ero io, ma non ti preoccupare, piuttosto…spero non si sia rotto nulla… hai recuperato tutto? – mi domanda Chiara guardando a terra.
-…Per fortuna non è successo nulla. Libro e cellulare intatti! Sai, nell’oscurità qualcuno, muovendosi… temevo ci potesse passare sopra per sbaglio. Per un momento mi son fatta prendere dal panico…non vedevo più nulla!-
- Ti capisco bene, ma pensa invece che io conosco un ragazzo che non vede da trent’anni. Sta ancora aspettando che torni la luce…-
-…e nel frattempo?-
-…nel frattempo mi ha invitata a cena!-
- A cena? Un non vedente che ti ha invitato a cena??? Dai racconta, sono curiosa…-
- Sì, in un ristorante, una cena in un ristorante, ma in una situazione particolare, completamente particolare, tutto il ristorante era al buio!-
- Al buio???- ribatto io - dai racconta che mi incuriosisce.-
- Arrivo in anticipo, il mio amico è all’ingresso del ristorante che mi attende, ci salutiamo ed entriamo nel locale ma la sala è completamente buia.
Mi dice di seguirlo, sembra conoscere benissimo la strada, mi guida fino al tavolo e mi fa sedere. Ma la stanza continua a restare senza luce ed io continuo a non vedere nulla. Non riesco a capire cosa stia succedendo così domando al mio amico come mai non accendono le luce, ma lui risponde… “Noi viviamo nell’oscurità, non abbiamo bisogno della luce” e se ne va lasciandomi seduta là con la promessa che sarebbe tornato presto.
A quel punto ho capito che il buio sarebbe durato per tutta la sera.
Il mio amico mi aveva invitata a cena, ma non mi ha parlato di una cena al buio! Non sapevo cosa fare…non sapevo se restare… volevo andarmene! Pensavo di non poter resistere nell’oscurità per così tanto tempo. Tanto tempo, ma quanto tempo? Quanto dura una cena, un paio d’ore? E un paio d’ore sono tanto tempo? Loro vivono tutta la vita in un mondo senza luce che cosa sono in confronto due ore???-
- E poi come è andata?- domando io sempre più incuriosita.
- Sono rimasta! Una volta seduta ho cominciato ad ispezionare lo spazio circostante per capire cosa ci fosse davanti a me …ho sentito un piatto, poi ancora un altro…ed un altro ancora….poi ho trovato le posate, coltello e forchetta ed anche i bicchieri. Due, per l’acqua e per il vino…il tovagliolo…la tovaglia…e poi una mano! Scatto all’improvviso ritirando il braccio. Era la mano del mio vicino che stava facendo le mie stesse indagini…che spavento!-
- Che cosa è successo dopo?-
- Poi una voce dietro me interrompe l’imbarazzo di quel momento
“prego signora assaggi questo..” e cominciano a servirmi da mangiare.
Non so dove guardare, mi giro, fisso un punto qualsiasi nell’oscurità e chiedo al cameriere dove sia andato a finire il mio amico.
“Il suo amico sta servendo la cena ad un altro tavolo.”
Rimango basita e continuo con le domande…
“Scusi mi può dire che cosa mi ha messo nel piatto?”
”sono gli antipasti”… e come faccio ad esserne sicura, potrebbe essere di tutto!
“c’è del formaggio”…e chi mi dice che non sia avariato?
“ci sono due tartine”…e se la maionese è rovinata?
“poi abbiamo degli affettati, prosciutto, salame, olive verdi piccanti, carciofini, una frittatina con patate e zucchine e dei crostini. Buon appetito signora!”
Buon appetito?
E come faccio a mangiare?
Non ci vedo!
Del formaggio non mi fido. Cerco il prosciutto, ma dove sarà? Provo con la forchetta ad infilzare nel piatto. Riesco a prendere qualcosa, la porto alla bocca ma è la frittata! L’assaggio ed è squisita, ed anche il formaggio era delizioso!
- quindi i vostri camerieri erano delle persone non vedenti?-
- Sì, tutti, e mi hanno versato anche il vino, senza rovesciarne nemmeno una goccia.
Ho provato una gran pietà. Sì, pietà, ma non per loro, pietà di me stessa, per il mio scetticismo,per i miei mille sospetti, per tutto!!!
I non vedenti si fidano pur non avendo visto e mentre mangiavo ho capito quanto sia difficile avere fede senza aver visto. Fede in ciò che ti dicono e in ciò che fanno. Fede in senso laico ma anche religioso, perché per continuare a vivere senza vedere nulla serve credere e non soltanto fidarsi. Ed io ho voluto credere. Ed io ho voluto avere fede. Ho abbandonato le posate ed ho iniziato a mangiare con le mani.
Molto più che una cena al buio, è stata la cena dei sapori! Il trionfo del gusto. Era tutto buonissimo.
Senza la vista, tutto si amplifica. Quindi il tatto, la porcellana fredda, la mano umida del mio vicino, il tessuto della tovaglia, e poi l’olfatto e il gusto, il sapore dei cibo, il profumo del vino. E l’udito, non riuscivo a capire quante persone ci fossero in quella sala, non riuscivo a distinguere la voce del mio amico, i suoni erano confusi, sovrapposti e non mi rendevo conto nemmeno del tempo che passava. Tutto sembrava essersi dilatato!
Siamo continuamente bombardati da immagini, siamo talmente assuefatti della figure e dall’aspetto delle cose che ci basta vedere! Mangiamo con gli occhi! Non assaporiamo, non ascoltiamo, non sentiamo,non tocchiamo! Siamo superficiali.
E quando ho chiesto dove avessero preso un cibo così buono mi hanno risposto che non lo avevano comprato già pronto, ma lo avevano cucinato loro stessi!
A quel punto Ti giuro, mi sono sentita morire perché mi lamento addirittura se devo fare un piatto di pasta!
Questa gente è molto più felice di noi. Sembrano più sereni e più consapevoli. Noi, noi invece non facciamo altro che lagnarci. Ci sono persone che non hanno mai visto il colore del mare, non hanno mai ammirato un tramonto, la luce di una giornata di primavera, non sanno che cos’è il verde, il giallo o il rosso..e noi, noi senza la televisione ci sentiamo persi, ne abbiamo una persino in ogni stanza, e non siamo soddisfatti. Eppure c’è chi la televisione non l’ha mai vista.
È stata un esperienza indimenticabile che mi ha profondamente stupita..
È stata la cena più “sensibile” della mia vita, il più bel regalo di Natale che potessi ricevere: ho capito di avere un dono prezioso, la vista, ma anche la capacità di credere, di avere fede!
Un dono importantissimo, un dono che troppo spesso dimentichiamo.
Puoi pure chiudere gli occhi per un paio di minuti, ma non è la stessa cosa. Puoi fare tutti gli esperimenti che vuoi, ma sai benissimo che quando vuoi puoi aprire gli occhi e vedere.
Loro no.
Una cena non dura cinque minuti, ma nemmeno tutta la vita ed è una esperienza che invito tutti a fare per capire, almeno tentare, quello che significa vivere nell’oscurità."
La confezione regalo del mio libro è pronta da oltre dieci minuti. Presa dal racconto della mia amica Chiara, non me ne sono accorta. Pago, saluto la mia amica Chiara e le auguro buon Natale, e mentre mi allontano mi chiedo come avrei potuto scegliere il libro se non avessi avuto la vista….
Il suo racconto mi ha molto colpita. Penso anche io che tutti debbano provare un’esperienza di questo genere, un regalo di Natale molto particolare.
Pubblicato su ... informazione.tv
di Laura Gioventù
Ieri sera ero in libreria per comprare un libro da regalare a mia cognata. Non so mai cosa scegliere. Alla fine mi sono lasciata convincere dal libraio ed ho preso l’ultimo della Mazzantini, ma non sono molto convinta della mia scelta perché è un romanzo che non ho letto.
Se poi non le piace e lo lascia a metà?!? Non vorrei aver sbagliato genere.
Mi avvicino alle casse ancora piena di dubbi quando all’improvviso la luce va via per un black-out .
Il buio mi prende di sorpresa ma continuo a muovere qualche passo per poter raggiungere il bancone, allungo una mano, cerco un appoggio ma urto qualcosa, il libro scivola a terra insieme al mio cellulare, cerco di raccoglierli, mi abbasso, tasto il pavimento intorno a me ma non riesco a trovarli.
Comincio subito ad innervosirmi, e mi chiedo dove saranno finiti, non possono essere andati troppo lontano. Ma appena qualche minuto dopo la luce ricompare.
- Finalmente, ecco dove eravate finiti…per fortuna nessuno si è più mosso.- dico ad alta voce mentre raccolgo velocemente il libro ed il telefonino da terra. Mi rialzo ed accanto a me trovo la mia amica Chiara.
- Chiara, che sorpresa, anche tu qua?!? …ma allora devo essermi scontrata con te un attimo fa…scusami!-
- Sì, ero io, ma non ti preoccupare, piuttosto…spero non si sia rotto nulla… hai recuperato tutto? – mi domanda Chiara guardando a terra.
-…Per fortuna non è successo nulla. Libro e cellulare intatti! Sai, nell’oscurità qualcuno, muovendosi… temevo ci potesse passare sopra per sbaglio. Per un momento mi son fatta prendere dal panico…non vedevo più nulla!-
- Ti capisco bene, ma pensa invece che io conosco un ragazzo che non vede da trent’anni. Sta ancora aspettando che torni la luce…-
-…e nel frattempo?-
-…nel frattempo mi ha invitata a cena!-
- A cena? Un non vedente che ti ha invitato a cena??? Dai racconta, sono curiosa…-
- Sì, in un ristorante, una cena in un ristorante, ma in una situazione particolare, completamente particolare, tutto il ristorante era al buio!-
- Al buio???- ribatto io - dai racconta che mi incuriosisce.-
- Arrivo in anticipo, il mio amico è all’ingresso del ristorante che mi attende, ci salutiamo ed entriamo nel locale ma la sala è completamente buia.
Mi dice di seguirlo, sembra conoscere benissimo la strada, mi guida fino al tavolo e mi fa sedere. Ma la stanza continua a restare senza luce ed io continuo a non vedere nulla. Non riesco a capire cosa stia succedendo così domando al mio amico come mai non accendono le luce, ma lui risponde… “Noi viviamo nell’oscurità, non abbiamo bisogno della luce” e se ne va lasciandomi seduta là con la promessa che sarebbe tornato presto.
A quel punto ho capito che il buio sarebbe durato per tutta la sera.
Il mio amico mi aveva invitata a cena, ma non mi ha parlato di una cena al buio! Non sapevo cosa fare…non sapevo se restare… volevo andarmene! Pensavo di non poter resistere nell’oscurità per così tanto tempo. Tanto tempo, ma quanto tempo? Quanto dura una cena, un paio d’ore? E un paio d’ore sono tanto tempo? Loro vivono tutta la vita in un mondo senza luce che cosa sono in confronto due ore???-
- E poi come è andata?- domando io sempre più incuriosita.
- Sono rimasta! Una volta seduta ho cominciato ad ispezionare lo spazio circostante per capire cosa ci fosse davanti a me …ho sentito un piatto, poi ancora un altro…ed un altro ancora….poi ho trovato le posate, coltello e forchetta ed anche i bicchieri. Due, per l’acqua e per il vino…il tovagliolo…la tovaglia…e poi una mano! Scatto all’improvviso ritirando il braccio. Era la mano del mio vicino che stava facendo le mie stesse indagini…che spavento!-
- Che cosa è successo dopo?-
- Poi una voce dietro me interrompe l’imbarazzo di quel momento
“prego signora assaggi questo..” e cominciano a servirmi da mangiare.
Non so dove guardare, mi giro, fisso un punto qualsiasi nell’oscurità e chiedo al cameriere dove sia andato a finire il mio amico.
“Il suo amico sta servendo la cena ad un altro tavolo.”
Rimango basita e continuo con le domande…
“Scusi mi può dire che cosa mi ha messo nel piatto?”
”sono gli antipasti”… e come faccio ad esserne sicura, potrebbe essere di tutto!
“c’è del formaggio”…e chi mi dice che non sia avariato?
“ci sono due tartine”…e se la maionese è rovinata?
“poi abbiamo degli affettati, prosciutto, salame, olive verdi piccanti, carciofini, una frittatina con patate e zucchine e dei crostini. Buon appetito signora!”
Buon appetito?
E come faccio a mangiare?
Non ci vedo!
Del formaggio non mi fido. Cerco il prosciutto, ma dove sarà? Provo con la forchetta ad infilzare nel piatto. Riesco a prendere qualcosa, la porto alla bocca ma è la frittata! L’assaggio ed è squisita, ed anche il formaggio era delizioso!
- quindi i vostri camerieri erano delle persone non vedenti?-
- Sì, tutti, e mi hanno versato anche il vino, senza rovesciarne nemmeno una goccia.
Ho provato una gran pietà. Sì, pietà, ma non per loro, pietà di me stessa, per il mio scetticismo,per i miei mille sospetti, per tutto!!!
I non vedenti si fidano pur non avendo visto e mentre mangiavo ho capito quanto sia difficile avere fede senza aver visto. Fede in ciò che ti dicono e in ciò che fanno. Fede in senso laico ma anche religioso, perché per continuare a vivere senza vedere nulla serve credere e non soltanto fidarsi. Ed io ho voluto credere. Ed io ho voluto avere fede. Ho abbandonato le posate ed ho iniziato a mangiare con le mani.
Molto più che una cena al buio, è stata la cena dei sapori! Il trionfo del gusto. Era tutto buonissimo.
Senza la vista, tutto si amplifica. Quindi il tatto, la porcellana fredda, la mano umida del mio vicino, il tessuto della tovaglia, e poi l’olfatto e il gusto, il sapore dei cibo, il profumo del vino. E l’udito, non riuscivo a capire quante persone ci fossero in quella sala, non riuscivo a distinguere la voce del mio amico, i suoni erano confusi, sovrapposti e non mi rendevo conto nemmeno del tempo che passava. Tutto sembrava essersi dilatato!
Siamo continuamente bombardati da immagini, siamo talmente assuefatti della figure e dall’aspetto delle cose che ci basta vedere! Mangiamo con gli occhi! Non assaporiamo, non ascoltiamo, non sentiamo,non tocchiamo! Siamo superficiali.
E quando ho chiesto dove avessero preso un cibo così buono mi hanno risposto che non lo avevano comprato già pronto, ma lo avevano cucinato loro stessi!
A quel punto Ti giuro, mi sono sentita morire perché mi lamento addirittura se devo fare un piatto di pasta!
Questa gente è molto più felice di noi. Sembrano più sereni e più consapevoli. Noi, noi invece non facciamo altro che lagnarci. Ci sono persone che non hanno mai visto il colore del mare, non hanno mai ammirato un tramonto, la luce di una giornata di primavera, non sanno che cos’è il verde, il giallo o il rosso..e noi, noi senza la televisione ci sentiamo persi, ne abbiamo una persino in ogni stanza, e non siamo soddisfatti. Eppure c’è chi la televisione non l’ha mai vista.
È stata un esperienza indimenticabile che mi ha profondamente stupita..
È stata la cena più “sensibile” della mia vita, il più bel regalo di Natale che potessi ricevere: ho capito di avere un dono prezioso, la vista, ma anche la capacità di credere, di avere fede!
Un dono importantissimo, un dono che troppo spesso dimentichiamo.
Puoi pure chiudere gli occhi per un paio di minuti, ma non è la stessa cosa. Puoi fare tutti gli esperimenti che vuoi, ma sai benissimo che quando vuoi puoi aprire gli occhi e vedere.
Loro no.
Una cena non dura cinque minuti, ma nemmeno tutta la vita ed è una esperienza che invito tutti a fare per capire, almeno tentare, quello che significa vivere nell’oscurità."
La confezione regalo del mio libro è pronta da oltre dieci minuti. Presa dal racconto della mia amica Chiara, non me ne sono accorta. Pago, saluto la mia amica Chiara e le auguro buon Natale, e mentre mi allontano mi chiedo come avrei potuto scegliere il libro se non avessi avuto la vista….
Il suo racconto mi ha molto colpita. Penso anche io che tutti debbano provare un’esperienza di questo genere, un regalo di Natale molto particolare.
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giovedì 2 dicembre 2010
A SPASSO CON NELLA
Conversazione con la Prof.ssa Nella Brambatti
di Laura Gioventù
Abbiamo incontrato Nella Brambatti, la candidata per lo schieramento di sinistra del panorama politico, per la poltrona di Sindaco per la città di Fermo.
È stato un colloquio molto aperto e sincero, e mentre ci scambiavamo domande e risposte non potevamo non apprezzare la sua assoluta attenzione per il rispetto umano e l’assoluta mancanza di polemica politica. Non siamo più abituati a rispetti del genere per cui lo abbiamo molto apprezzato, e speriamo sia emulato dagli altri candidati.
Nel Rigoletto, la celeberrima opera di Giuseppe Verde, il Duca di Mantova, parlando delle donne dice “questa o quella per me pari sono”. A parte la battuta operistica, in politica per gli elettori le donne sono come gli uomini, pari sono, oppure hanno qualcosa di diverso che potrebbe diventare un vantaggio o un’opportunità e forse anche una novità per le amministrazioni locali?
Le donne sono diverse perché portano con se, a parte il sub-strato culturale che potrebbe essere condiviso con gli uomini, una loro specificità che è quella di essere madri, e quindi l’essere diverse per una serie di esperienze, di impegni, e di lavoro che è differente da quello maschile. Penso che la presenza delle donne sia fondamentale nell’amministrazione di una città e nel fare politica proprio perché la loro diversità e la loro diversa esperienza aggiunge qualcosa in più. Per esempio gli uomini possono benissimo riflettere su quelle che sono le esigenze sociali, ma dovrebbero cercale mentre le donne le porterebbero come esperienza personale immediata. Per il semplice fatto che le esigenze di una mamma che lavora e che ha dei bambini piccoli, una donna la esperimenta e la vive sulla propria pelle giorno dopo giorno per cui è chiaro che ad una proposta e ad una soluzione ci arriva naturalmente prima che ci possa arrivare un uomo. Quindi le diversità derivanti dalla presenza di una componente sia maschile sia femminile ben vengano perché ognuno apporta una propria specificità e il fatto di poter arrivare prima ad una sintesi o ad una proposta politica permette di economizzare nei tempi di programmazione e di lavoro di un ente pubblico locale. L’importante è che nel momento in cui si parla di donne e politica ci siano donne che vogliono fare politica nella maniera in cui la politica in senso ampio va intesa, non per stare lì a fare rappresentanza. Parliamo di donne serie…
Quando le donne scendono in politica spessissimo devono sacrificare molto della loro vita privata, matrimonio famiglia e carriera professionale. Come riuscire a conciliare le due cose senza cadere nella trappola dei ricatti affettivi e dei sensi di colpa, cose nelle quali noi siamo maestre?
In primo luogo credo che sia sempre possibile pensare a quello che è il tempo della politica. Debbo dire che in qualche mondo pesa di più, almeno per quello che riguarda la mia esperienza professionale, nel fare politica amministrativa di una città. Vale a dire, normalmente si sa che l’impegno di una donna che fa politica, in una città, significa essere presente e starci sempre, ed è chiaro che questi sono tempi sottratti alla famiglia e al lavoro. Nel caso di un’amministrazione comunale, molto spesso non è stato possibile in passato il fatto di rinunciare al lavoro per dedicarsi esclusivamente all’amministrazione e personalmente io non sono stata nelle condizioni di poter dire faccio l’assessore ma non faccio l’insegnante, perché non è possibile nemmeno sotto il profilo economico. L’altra cosa che pesa enormemente è il fatto di partecipare alla vita attiva del Consiglio comunale, che non ha la possibilità di riunirsi di giorno così come avviene in Regione e al Parlamento, ma si lavora nelle ore successive al lavoro ufficiale, e spesso i lavori in Consiglio e in commissione si protraggono oltre l’orario previsto, quindi è chiaro che da questo punto di vista diventa abbastanza sacrificato. Già solamente il fatto di poter contare su un rispetto dei tempi, quella che è la puntualità e la sinteticità del lavoro, consentirebbe una maggiore partecipazione, secondo me, delle donne, altrimenti è dura…
Quando facevo l’assessore o il consigliere comunale, se finivo alle sei del mattino comunque alle otto ero in classe. Non mi sono mai permessa, tranne rari casi, di lasciare la scuola perché poi ci sono dei lavori che non te lo consentono nemmeno perché oltretutto eticamente ti poni in una situazione di disagio per chi lavora. Un insegnante comunque a scuola ci deve stare e è possibile che un giorno non ti presenti e il secondo pure, poi al terzo devi rientrare!
Un rispetto dei tempi sarebbe fondamentale e se già solamente ci fosse la puntualità sarebbe una cosa bellissima.
Il termine francese “charme” indica in genere fascino, forza di attrazione e seduzione più o meno esercitate da una persona per le sue qualità fisiche, intellettuali e personali. Le donne in politica come conquistano l’elettore, usando lo charme suddetto oppure è solo un fatto di ideologia politica?
Io toglierei il concetto di seduzione. Penso che l’elemento importante sia quello della necessità di comunicare idee e progetti. Toglierei tutto quello che aggiunge ma toglie concretezza e sincerità al fare politica, almeno per quanto mi riguarda. Parlerei di carisma e di capacità comunicativa ma che non deve essere uno strumento. La capacità significativa saper tradurre nel modo più semplice ed accessibile a tutti quelle che sono le proposte di un progetto politico che si vuole intraprendere e che si vuole condividere con i cittadini. Più si è capaci di essere chiari, più si è bravi a trasmetterlo, a farlo vivere e percepire dai cittadini e più ci si sente sicuri e nelle condizioni di fare meglio. Serve una comunicazione efficace delle ideologie che significa rendere più immediati e diretti i contenuti del proprio progetto politico e di come si vuole lavorare.
Lei è la prima candidata donna per la carica di sindaco della città di Fermo, un ruolo che con l’istituzione della nuova Provincia è diventato ancora più importante. Nel caso fosse eletta, il suo parametro amministrativo sarà emulare Anna Magnani nel suo “Onorevole Angelina” epica e popolana, o un misto tra Nilde Iotti, Letizia Moratti e Luciana Littizzetto, ovvero rispettabilità, rigore e ironia?
Senz’altro vorrei rigore perché è fondamentale in un momento in cui non ci sono più confini e limiti di quello che deve e non deve essere fatto e nemmeno pensato dal punto di vista del fare politica e di amministrare la città. Dietro al rigore passerà la rispettabilità, bisogna essere comunque assolutamente seri. L’ironia serve, perché comunque sia aiuta ad affrontare anche i momenti di crisi. Ci permette di non cadere nel pessimismo più assoluto e serve a sciogliere certi conflitti che possono verificarsi con i cittadini. Il rigore, la rispettabilità e l’ironia sono degli elementi fondamentali. Vedo meno la faciloneria, facciamo tutto, tutto è possibile. Non è nel mio carattere, per me sarebbe proprio impensabile questo atteggiamento e soprattutto non lo reputo nemmeno serio nei confronti dei cittadini.
Nei suoi comizi e nelle sue presentazione in campagna elettorale Lei sta pensando ad un messaggio elettorale comune oppure ad una divisione tra elettori maschili ed elettrici femminili perché è a conoscenza della stranezza per cui le donne non votano le altre donne. C’è bisogno di messaggi diversi oppure in quanto elettori non si ha sesso, per cui va bene un unico messaggio ed in quel caso secondo lei perché le donne non votano le altre donne?
Il messaggio dovrebbe essere unitario e che si rivolge a tutti, alle donne, ai giovani, agli anziani. Non si possono avere due canali separati. Sul fatto che le donne votino meno le altre donne non so sinceramente perché questo avvenga. Ci dovrebbe essere comunque una fiducia tra l’elettorato femminile e le candidate donne perché a mio avviso sono anche le donne che aiutano di più a capire quelli che sono i loro bisogni. Forse si teme che ci sia una sorta di mascolinizzazione della donna, forse è un po’ la stessa cosa che avviene anche nel mondo del lavoro, si teme la concorrenza, si resta diffidenti. Partirei da questo presupposto, cresceremo anche e dobbiamo metterci nella logica che la società, sia nel mondo del lavoro, sia nel mondo della politica, è costituita da uomini e donne, per cui si deve scegliere la persona più capace e più competente e affidarsi a quella indipendentemente dal sesso.
Del resto questo problema non me lo sono mai posta perché ho lavorato spesso e bene soprattutto con le donne. Per mia esperienza personale e, anche da un punto di vista di formazione professionale, devo ammettere che le esperienze in equipe con le donne mi hanno sempre dato grandi vantaggi e sono state sempre estremamente positive. Quando funziona…funziona meglio!
Poi è vero anche che se ne candidano anche di meno, e se la componente maschile è più alta rispetto a quella femminile, ecco che manca l’alternanza uomo donna. Il motivo ricade nello stesso discorso per cui molto spesso le donne non se la sentono e rinunciano perché in effetti sono gravate anche di tanti altri problemi. La vita politica, se ben fatta, richiede attenzione e studio e capisco che di fronte a questa cosa qualcuno faccia la scelta di preferite il lavoro e la famiglia. L’esperienza politica può nascere e morire mentre la carriera professionale poi rimane…molto spesso l’assenza delle donne nasce quindi dalle difficoltà oggettive del fare politica!
Dalla sua biografia sappiamo che lei è stata a Napoli per lavoro. Nella nostra regione abbiamo avuto 2 precedenti famosi, Giacomo Leopardi e Gioacchino Rossini, da una parte la poesia e dall’altra la musica, che hanno trovato a Napoli sia la bellezza sia l’ispirazione. Lei è una donna di cultura e di poesia ma allo stesso tempo è anche una donna di musica, come spiega questa comunanza tra lei, Leopardi e Rossini …
Direi in questo caso che sono tre marchigiani che si sono trovati a Napoli. Napoli avrà dato molto sotto il profilo dell’ispirazione musicale e anche per la poesia è stata sempre una città importante soprattutto in certi periodi storici. È chiaro che fosse una città di riferimento culturale importante.
Rispetto agli altri debbo dire che la mia è stata un’esperienza derivata da una scelta personale ed io di Napoli, pur avendo apprezzato la cultura e tutto quello che si è mosso e che c’è stato di importante e del quale ho goduto e fruito, ne ho vissuto un altro di aspetto. Per ragioni professionali il ministero mi ha mandato ad insegnare a Napoli città, in un triangolo non certo dei più belli sotto il profilo dei rapporti sociali. Ho insegnato in una struttura che faceva riferimento a studenti del professionale che stavano tra San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, quartieri che sono complicati da gestire e per me in principio è stato un dramma, perché la camorra impera e la scuola subiva sistematicamente questi attacchi da parte della malavita. È stata una situazione difficilissima, non capivo, era un mondo talmente diverso, a parte che linguisticamente non li capivo, c’erano rapporti difficili e in certi casi violenti. All’inizio la situazione che mi sono trovata davanti mi ha messo in crisi, poi ho cominciato a muovermi. In quel caso sono partita da un presupposto molto chiaro: anche un solo studente deve essere tutelato nei confronti di situazioni di violenza e di ricatto, anche un singolo episodio deve giustificare l’intervento dell’insegnante, e soprattutto chiarire i principi in base ai quali si sta nella scuola. L’istituzione per prima deve fare in modo che non ci siano confusioni. In particolare è stato faticoso far capire che non si può cedere alla violenza e al ricatto. Sono stata molto dura però doveva passare un messaggio chiaro nei confronti degli alunni, tutti erano eguali, nessuno si poteva permettere di usare violenza nei confronti dei compagni, ne tantomeno certi nomi di famiglia, ben noti nell’ambiente, potevano mettere in soggezione altri alunni, specie in una realtà dove spesso c’erano famiglie in difficoltà finanziarie. Ho fatto tutto quello che ritenevo opportuno fare, per cui per sei anni per sei classi per ogni anno, ho pagato le fotocopie per tutti gli alunni in classe e anche le fotocopie all’inizio dell’anno per tutti i libri. Era l’unico modo per fornire a tutti gli stessi strumenti, e poi … essere estremamente dura. Dura perché praticamente c’era, ed è capitato, chi usciva dall’istituto e andava a fare una rapina. Doveva passare un messaggio chiaro e questo non è stato dato da tutti…c’era qualcuno che ti diceva…”sai quella famiglia fa del bene” ma come si fa a dire certe cose quando si tratta di gente che chiede il pizzo e spaccia droga?
Alcuni hanno cercato la cultura a Napoli, la città, la sua ricchezza. Io ne ho fruito di cultura e di musica. Ho cercato anche di partecipare alla vita della città, ma sotto il profilo professionale ho avuto l’impatto con un altro mondo, quello della sofferenza e della violenza. L’altra faccia della medaglia. È stata un’esperienza molto forte, ci sono famiglie che hanno molti problemi, ragazze che a quindici anni restavano incinte, andavano tutelate, ragazzi con i genitori in galera oppure ammazzati, l’ambiente è questo…
Onestamente Roberto Saviano non ha inventato nulla. Questa è la realtà di Napoli che poi a me non m’abbiano mai bucato le gomme dell’auto e non m’abbiano mai toccato…è positivo… dicevano che ero un carabiniere però avevano stima di me. Chiaro che bisogna porsi in un rapporto di assoluta serietà. Non è mai successo che entrassero in classe senza che io ci fossi, oppure che venissero a scuola senza una giustificazione, perché dopo sarebbero stati dolori. Mi sono comprata due registratori, tutti i materiali didattici me li sono comprata da sola… andavo in giro con una quarantottore con dentro anche fazzoletti da naso perché se andavano in bagno e non c’era la carta igienica gli davo i fazzoletti…e poi fornivo penne… matite…fotocopie…tutti dovevano avere il necessario…non c’erano alibi di sorta. Tutti i ragazzi erano nella stessa condizione per cui a quel punto non c’erano scuse.
In una situazione così difficile, una volta ricordo che venne un neuropsichiatra della asl, era maggio, praticamente a fine anno scolastico, per darci delle “dritte” su come gestire gli alunni in difficoltà. Si azzardò solamente a dire… “…perché voi insegnanti mettete il pilota automatico…”ed io mi tirai immediatamente su, feci un urlo e mandai una lettera di protesta alla asl. Come si fa ad avere un pilota automatico in una classe dove quando fai l’appello ci sono cinque alunni che hanno il padre in galera, alcuni sono difficili, diversi devono essere recuperati ed altri non avevano nemmeno una casa…pilota automatico? …ma per piacere!!!
Pensa che la sua esperienza abbia lasciato un segno…?
Penso di sì, soprattutto ho avuto un riconoscimento molto grande da parte dei miei alunni perché il fatto stesso che alcune ragazze mi cercano su facebook significa che, tutto sommato, anche se in alcuni momenti sono stata rigida, hanno apprezzato….qualcuna l’ho pure bocciata ma non ho mai avuto nessuno che ha chiesto “….ma perché?”. C’è sempre stata la piena consapevolezza che una valutazione faceva riferimento ad un loro percorso, che era bello o meno bello, perché al di là di quello che io avevo fatto c’era una loro assunzione di responsabilità, e l’hanno sempre condivisa chiaramente cercando anche di non vanificare, almeno come presenza a scuola, questo dialogo che si poteva aprire con alcuni alunni che, se avessero avuto troppe difficoltà, avrebbero abbandonato la scuola. E, abbandonare gli studi, significa cadere nelle mani della camorra. Perché la camorra ha tutti gli interessi a far si che i ragazzi non vadano a scuola e diventino la loro manovalanza.
Che cos’è una politica di ampio respiro, il bisogno di ossigenare i polmoni dopo aver scalato le cime del potere oppure la visione da un colle di un infinito che si speri positivo?
Io escluderei assolutamente scalare per il potere. Non esiste proprio. In un sistema democratico ci devono essere dei cittadini che si fanno carico per conto di una comunità di governare. La politica è un impegno positivo che presuppone il dialogo ampio con tutti quanti e un atteggiamento di collaborazione per cui mettiamo insieme e spendiamo le nostre competenze, le nostre professionalità ed anche la buona volontà. Quando si va a governare le problematiche da affrontare vanno ben aldilà delle competenze e del sapere di ognuno, ma si può, anzi di deve lavorare insieme e insieme alla comunità. Se si ha un progetto positivo e un programma che può avere un termine si amministra ma, dopo aver governato, si deve anche ritornare nel privato della vita di ognuno. Poi ci saranno altre persone che faranno altre cose. Fare bene e governare la città deve essere un fine perché arrivare alla politica non è un mezzo per ottenere gratificazione personali né di carriera che magari non si sono avute da altra parte. Come si va a governare si deve anche essere pronti a ritirarsi quando si è concluso un percorso.… questo dovrebbe essere l’obiettivo…
Lo spartito in musica indica una regola per i musicisti e per il direttore d’orchestra, in politica lo stesso termine, lo spartire, indica ben altre cose e forse è quel qualcosa che ha allontanato molte persone dalla politica stessa. C’è un nuovo significato per ridefinire la parola senza associarla a intrallazzo, concussione, corruzione, denaro e mazzette?
Dividersi i compiti e collaborare. Comunque sia è impensabile che si possa essere alla guida di una coalizione molto allargata, oppure anche più ristretta, senza collaborare. Lavorare insieme è l’unico modo per poter operare seriamente. Si tratta di condividere gli impegni e il lavoro tenendo conto di quelli che sono gli obiettivi. Quindi condivisione a livello di programma con i cittadini e condivisione di lavoro e di responsabilità di gruppo nell’amministrazione di una città. Poi sarebbe opportuno riportare la politica ad un valore dell’etica, del rispetto e della trasparenza. Non è possibile prescindere da questo. Non esiste proprio. Laddove entrano di mezzo la mazzetta e l’intrallazzo una cosa è certa: si va contro l’interesse del cittadino e si viene meno a quello che è l’obiettivo primario per il quale si è deciso di fare politica.
Perché lei si è candidata, per orgoglio personale, per miseri calcoli di sezione elettorale, o perché un giorno qualcuno le ha puntato alla tempia un ramoscello di ulivo dicendole “vai, vinci e salvaci tutti”?
Mi fa piacere che nel momento in cui hanno fatto il mio nome lo hanno fatto pensando che potessi essere la persona giusta e all’altezza per quei valori di cui abbiamo discusso anche a caratteri generali e che potessi essere una persona affidabile. E nel fare questa scelta possono aver tenuto conto delle mie esperienze passate e del mio carattere. Aldilà della gratificazione per la valutazione che è stata fatta su di me … non c’è niente che mi spinga a dire “volli, volli, fortissimamente volli”. Penso anche che a livello di partito, quando è stata proposta una rosa di candidati, non ci sono stati calcoli matematici, sono state prese in considerazione le persone che avrebbero potuto avere i requisiti per poter svolgere questo ruolo, e forse hanno visto su di me la persona più anziana di esperienza, e che avrebbe potuto meglio interpretare quelle che fossero le scelte di tutti quanti. Mi rendo conto di questa grande responsabilità e mi rendo conto anche che rispetto ad un progetto di pensionata con tanti interessi, essere sindaco significa doverne tagliare fuori parecchi. Parto dal presupposto che se in questo momento può essere importante per tutti quanti e anche per la città lavorare vorrà dire che ritaglierò meno tempo per gli interessi personali o cercherò comunque di farci entrare qualcosa…comunque lo faccio volentieri…
Quale sarà la seconda cosa che farà quando sarà proclamata sindaco, riunire i partiti della coalizione per cucinare la prima giunta, e in quel caso ci dia subito la ricetta perché gli ingredienti ci appaiono molto variegati, o cercare di svegliarsi da questo incubo?
Intanto sarà un obiettivo arrivare ad avere un risultato positivo alle prossime elezioni…
…poi festeggiare…
Sì, ma per festeggiare c’è il lavoro preparatorio da fare con la coalizione. Il fatto stesso che siamo partiti con tanto anticipo darà la possibilità di conoscerci bene ma soprattutto di lavorare insieme alla città per quello che sarà il programma di governo. Secondo me il programma di governo è l’unica linea che ci deve guidare tutti insieme. Gli obiettivi e i contenuti sono le sole cose che ognuno di noi deve avere in testa. Nient’altro.
Sicuramente lei spera di vincere, ma i candidati che non superano il verdetto elettorale si definiscono “trombati”. “Trombare” è un termine che appartiene al gergo musicale ma anche ad un gergo “squisitamente” sessuale in questo caso per indicare una sconfitta.
Si dice che una sconfitta insegni più di mille vittorie, se venisse “trombata” questa sconfitta che cosa le insegnerebbe?
Si parte da questo obiettivo, vincere. Io ho un progetto per la città e questo progetto deve essere compreso e condiviso dalla cittadinanza e siamo partiti anche dal presupposto di avviare delle consultazioni in modo tale da tener conto di quelle che sono le esigenze di tutto il territorio. Fermo è una città che è costituita da territori con diverse peculiarità, di una parte della città che è più attiva sotto il profilo della produzione, di una parte della città che ha una vocazione turistica e così via. Io mi riferisco alla città nel suo insieme. Il fatto di una possibile sconfitta, dopo il lavoro premilitare, quindi il non arrivare al governo della città…beh questo potrebbe dipendere da una non condivisione del programma da parte dei cittadini. Ovviamente mi auguro che questa cosa non avvenga, cerchiamo di fare in modo invece che ci sia un dialogo costruttivo e possibile con tutti. Noi ci poniamo l’obiettivo di poterla governare, chiaro che poi l’esame di coscienza si farà…ci potremo domandare fino a che punto siamo stati efficaci nella comunicazione. Fino a che punto abbiamo centrato quelli che erano gli obiettivi ritenuti necessari per i cittadini e se sono state comprese tutte le esigenze… mi auguro che ci sia un dialogo per saper leggere meglio le aspettative dei cittadini!
Una curiosità…la politica è anche estetica e se sì in che cosa si visualizza? Doppiopetto, tubino o tailleur? Il luogo comune dice che a sinistra ci si vesta “scasciati” mentre a destra tutti “griffati”. Esiste un’etica che diventa estetica della politica?
Da donna sì, in questo senso, se può servire come esempio: ho avuto l’occasione di vedere, ma nemmeno troppo tempo fa, alcune riprese della Camera dei Deputati, che molto probabilmente si riferivano ad un periodo di chiusura pre-estiva ed ho visto delle signore, riferendomi alle donne, ma il discorso vale anche per l’uomo, combinate in maniera tale che forse sarebbero state meglio sedute davanti ad uno chalet che non alla Camera. Dico questo, le istituzioni sono importanti e vanno rispettate. Il messaggio che deve passare è quello di serietà ed autorevolezza che non è collegabile esclusivamente a quanto e come ci si copra, ma riguarda tutta una serie di atteggiamenti che vanno dal parlare al rispettare.
Il rispetto passa anche nel modo in cui ci si comporta pertanto si deve assolutamente evitare che ci siano degli adeguamenti a certe brutte modalità di comportamento, che molto spesso vediamo anche in televisione, messaggi inaccettabili quindi di scompostezza e violenza verbale. Questo deve avvenire ovunque, in ogni posto di lavoro, l’ho preteso a scuola, e non è solo una questione di forma, la forma si sostanzia in queste cose soprattutto quando si rappresentano le istituzioni e i cittadini.
Il sindaco ha anche il compito di consegnare le chiavi della città ad alcuni personaggi illustri, ma una donna non lascia mai le chiavi di casa a nessuno, anche se illustre, tranne non sia la suocera o la propria madre. Lei, diventando sindaco, al posto delle chiavi a questi personaggi darebbe un libro che illustri la storia e la cultura della città di Fermo, oppure un manuale delle istruzioni che spieghi come trattare con i marchigiani?
Io direi che alle persone illustri innanzitutto affiderei un libro su Fermo perché è troppo bella questa città e ha tante cose da conoscere, ed in primo luogo farei fare un giro in biblioteca come una cosa del tutto preziosa e riservata. Secondo me l’omaggio più grande che si può fare è quello di far conoscere e amare questa città… Come primo segno di ospitalità l’importante è diffondere la conoscenza di questa città…Città ricca di storia e di belle cose…e forse un libro lo regalerei a tutti i Fermani…perché c’è tanto di tanto.
È importante sapere, perché se non ci conosce la città come possiamo pensare di valorizzarla? Non riusciremo nemmeno a proporla. C’è la necessità di recuperare e tutelare tutto un passato che diventa arricchimento e patrimonio personale di ognuno.
Spesso e volentieri mi capita di leggere anche la storia passata e, secondo me, ogni cosa che apprendo in più è una cosa che mi fa piacere, che ricontestualizza questo mio vissuto a Fermo, anche se poi di fatto io non sono Fermata. Mi sono trasferita dall’età di 17 anni. Vengo dal Maceratese, ma non significa certo venire dell’America. Per certi versi la storia di Fermo si è così estesa che di fatto io venivo da un paese vicino, Macerata è condivisa, facevo capo alla Curia Arcivescovile anche per quanto riguarda la parrocchia quindi, in buona sostanza, siamo nella “Fermanità”.
Poi sui Marchigiani, non so se sono i difetti di un tempo, si diceva che sono abituati a lavorare in silenzio, sono poco esibizionisti, riservati…è probabile poi che qualcosa con il tempo sia anche cambiata, e che queste caratteristiche nella sostanza si siano perse con l’evolversi della società.
La nostra passeggiata con Nella è finita, ci siamo salutate e scambiate gli auguri per le prossime feste, per il nostro rispettivo futuro, e per una campagna elettorale basata sui contenuti e non sulle isterie politiche di chi voglia buttare tutto in rissa. Personalmente sono stata contenta del nostro incontro ed anche lei lo è stata, del resto il ritrovarsi fra una professoressa e una sua ex allieva è sempre qualcosa di esaltante e commuovente. Avevo tralasciato di dirvelo ma Nella Brambatti e Laura Gioventù sono già state in contatto fra loro, ed è stato molto emozionante intervistare la propria professoressa di francese dopo tanti anni. Grazie Nella e tanti auguri, e i lettori mi scusino se sembro di parte, ma una professoressa Brambatti spero l’abbiano avuta tutti, almeno una volta, nella vita.
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di Laura Gioventù
Abbiamo incontrato Nella Brambatti, la candidata per lo schieramento di sinistra del panorama politico, per la poltrona di Sindaco per la città di Fermo.
È stato un colloquio molto aperto e sincero, e mentre ci scambiavamo domande e risposte non potevamo non apprezzare la sua assoluta attenzione per il rispetto umano e l’assoluta mancanza di polemica politica. Non siamo più abituati a rispetti del genere per cui lo abbiamo molto apprezzato, e speriamo sia emulato dagli altri candidati.
La prof.ssa Nella Brambatti |
Nel Rigoletto, la celeberrima opera di Giuseppe Verde, il Duca di Mantova, parlando delle donne dice “questa o quella per me pari sono”. A parte la battuta operistica, in politica per gli elettori le donne sono come gli uomini, pari sono, oppure hanno qualcosa di diverso che potrebbe diventare un vantaggio o un’opportunità e forse anche una novità per le amministrazioni locali?
Le donne sono diverse perché portano con se, a parte il sub-strato culturale che potrebbe essere condiviso con gli uomini, una loro specificità che è quella di essere madri, e quindi l’essere diverse per una serie di esperienze, di impegni, e di lavoro che è differente da quello maschile. Penso che la presenza delle donne sia fondamentale nell’amministrazione di una città e nel fare politica proprio perché la loro diversità e la loro diversa esperienza aggiunge qualcosa in più. Per esempio gli uomini possono benissimo riflettere su quelle che sono le esigenze sociali, ma dovrebbero cercale mentre le donne le porterebbero come esperienza personale immediata. Per il semplice fatto che le esigenze di una mamma che lavora e che ha dei bambini piccoli, una donna la esperimenta e la vive sulla propria pelle giorno dopo giorno per cui è chiaro che ad una proposta e ad una soluzione ci arriva naturalmente prima che ci possa arrivare un uomo. Quindi le diversità derivanti dalla presenza di una componente sia maschile sia femminile ben vengano perché ognuno apporta una propria specificità e il fatto di poter arrivare prima ad una sintesi o ad una proposta politica permette di economizzare nei tempi di programmazione e di lavoro di un ente pubblico locale. L’importante è che nel momento in cui si parla di donne e politica ci siano donne che vogliono fare politica nella maniera in cui la politica in senso ampio va intesa, non per stare lì a fare rappresentanza. Parliamo di donne serie…
Quando le donne scendono in politica spessissimo devono sacrificare molto della loro vita privata, matrimonio famiglia e carriera professionale. Come riuscire a conciliare le due cose senza cadere nella trappola dei ricatti affettivi e dei sensi di colpa, cose nelle quali noi siamo maestre?
In primo luogo credo che sia sempre possibile pensare a quello che è il tempo della politica. Debbo dire che in qualche mondo pesa di più, almeno per quello che riguarda la mia esperienza professionale, nel fare politica amministrativa di una città. Vale a dire, normalmente si sa che l’impegno di una donna che fa politica, in una città, significa essere presente e starci sempre, ed è chiaro che questi sono tempi sottratti alla famiglia e al lavoro. Nel caso di un’amministrazione comunale, molto spesso non è stato possibile in passato il fatto di rinunciare al lavoro per dedicarsi esclusivamente all’amministrazione e personalmente io non sono stata nelle condizioni di poter dire faccio l’assessore ma non faccio l’insegnante, perché non è possibile nemmeno sotto il profilo economico. L’altra cosa che pesa enormemente è il fatto di partecipare alla vita attiva del Consiglio comunale, che non ha la possibilità di riunirsi di giorno così come avviene in Regione e al Parlamento, ma si lavora nelle ore successive al lavoro ufficiale, e spesso i lavori in Consiglio e in commissione si protraggono oltre l’orario previsto, quindi è chiaro che da questo punto di vista diventa abbastanza sacrificato. Già solamente il fatto di poter contare su un rispetto dei tempi, quella che è la puntualità e la sinteticità del lavoro, consentirebbe una maggiore partecipazione, secondo me, delle donne, altrimenti è dura…
Quando facevo l’assessore o il consigliere comunale, se finivo alle sei del mattino comunque alle otto ero in classe. Non mi sono mai permessa, tranne rari casi, di lasciare la scuola perché poi ci sono dei lavori che non te lo consentono nemmeno perché oltretutto eticamente ti poni in una situazione di disagio per chi lavora. Un insegnante comunque a scuola ci deve stare e è possibile che un giorno non ti presenti e il secondo pure, poi al terzo devi rientrare!
Un rispetto dei tempi sarebbe fondamentale e se già solamente ci fosse la puntualità sarebbe una cosa bellissima.
Il termine francese “charme” indica in genere fascino, forza di attrazione e seduzione più o meno esercitate da una persona per le sue qualità fisiche, intellettuali e personali. Le donne in politica come conquistano l’elettore, usando lo charme suddetto oppure è solo un fatto di ideologia politica?
Io toglierei il concetto di seduzione. Penso che l’elemento importante sia quello della necessità di comunicare idee e progetti. Toglierei tutto quello che aggiunge ma toglie concretezza e sincerità al fare politica, almeno per quanto mi riguarda. Parlerei di carisma e di capacità comunicativa ma che non deve essere uno strumento. La capacità significativa saper tradurre nel modo più semplice ed accessibile a tutti quelle che sono le proposte di un progetto politico che si vuole intraprendere e che si vuole condividere con i cittadini. Più si è capaci di essere chiari, più si è bravi a trasmetterlo, a farlo vivere e percepire dai cittadini e più ci si sente sicuri e nelle condizioni di fare meglio. Serve una comunicazione efficace delle ideologie che significa rendere più immediati e diretti i contenuti del proprio progetto politico e di come si vuole lavorare.
Lei è la prima candidata donna per la carica di sindaco della città di Fermo, un ruolo che con l’istituzione della nuova Provincia è diventato ancora più importante. Nel caso fosse eletta, il suo parametro amministrativo sarà emulare Anna Magnani nel suo “Onorevole Angelina” epica e popolana, o un misto tra Nilde Iotti, Letizia Moratti e Luciana Littizzetto, ovvero rispettabilità, rigore e ironia?
Senz’altro vorrei rigore perché è fondamentale in un momento in cui non ci sono più confini e limiti di quello che deve e non deve essere fatto e nemmeno pensato dal punto di vista del fare politica e di amministrare la città. Dietro al rigore passerà la rispettabilità, bisogna essere comunque assolutamente seri. L’ironia serve, perché comunque sia aiuta ad affrontare anche i momenti di crisi. Ci permette di non cadere nel pessimismo più assoluto e serve a sciogliere certi conflitti che possono verificarsi con i cittadini. Il rigore, la rispettabilità e l’ironia sono degli elementi fondamentali. Vedo meno la faciloneria, facciamo tutto, tutto è possibile. Non è nel mio carattere, per me sarebbe proprio impensabile questo atteggiamento e soprattutto non lo reputo nemmeno serio nei confronti dei cittadini.
Nei suoi comizi e nelle sue presentazione in campagna elettorale Lei sta pensando ad un messaggio elettorale comune oppure ad una divisione tra elettori maschili ed elettrici femminili perché è a conoscenza della stranezza per cui le donne non votano le altre donne. C’è bisogno di messaggi diversi oppure in quanto elettori non si ha sesso, per cui va bene un unico messaggio ed in quel caso secondo lei perché le donne non votano le altre donne?
Il messaggio dovrebbe essere unitario e che si rivolge a tutti, alle donne, ai giovani, agli anziani. Non si possono avere due canali separati. Sul fatto che le donne votino meno le altre donne non so sinceramente perché questo avvenga. Ci dovrebbe essere comunque una fiducia tra l’elettorato femminile e le candidate donne perché a mio avviso sono anche le donne che aiutano di più a capire quelli che sono i loro bisogni. Forse si teme che ci sia una sorta di mascolinizzazione della donna, forse è un po’ la stessa cosa che avviene anche nel mondo del lavoro, si teme la concorrenza, si resta diffidenti. Partirei da questo presupposto, cresceremo anche e dobbiamo metterci nella logica che la società, sia nel mondo del lavoro, sia nel mondo della politica, è costituita da uomini e donne, per cui si deve scegliere la persona più capace e più competente e affidarsi a quella indipendentemente dal sesso.
Del resto questo problema non me lo sono mai posta perché ho lavorato spesso e bene soprattutto con le donne. Per mia esperienza personale e, anche da un punto di vista di formazione professionale, devo ammettere che le esperienze in equipe con le donne mi hanno sempre dato grandi vantaggi e sono state sempre estremamente positive. Quando funziona…funziona meglio!
Poi è vero anche che se ne candidano anche di meno, e se la componente maschile è più alta rispetto a quella femminile, ecco che manca l’alternanza uomo donna. Il motivo ricade nello stesso discorso per cui molto spesso le donne non se la sentono e rinunciano perché in effetti sono gravate anche di tanti altri problemi. La vita politica, se ben fatta, richiede attenzione e studio e capisco che di fronte a questa cosa qualcuno faccia la scelta di preferite il lavoro e la famiglia. L’esperienza politica può nascere e morire mentre la carriera professionale poi rimane…molto spesso l’assenza delle donne nasce quindi dalle difficoltà oggettive del fare politica!
Dalla sua biografia sappiamo che lei è stata a Napoli per lavoro. Nella nostra regione abbiamo avuto 2 precedenti famosi, Giacomo Leopardi e Gioacchino Rossini, da una parte la poesia e dall’altra la musica, che hanno trovato a Napoli sia la bellezza sia l’ispirazione. Lei è una donna di cultura e di poesia ma allo stesso tempo è anche una donna di musica, come spiega questa comunanza tra lei, Leopardi e Rossini …
Direi in questo caso che sono tre marchigiani che si sono trovati a Napoli. Napoli avrà dato molto sotto il profilo dell’ispirazione musicale e anche per la poesia è stata sempre una città importante soprattutto in certi periodi storici. È chiaro che fosse una città di riferimento culturale importante.
Rispetto agli altri debbo dire che la mia è stata un’esperienza derivata da una scelta personale ed io di Napoli, pur avendo apprezzato la cultura e tutto quello che si è mosso e che c’è stato di importante e del quale ho goduto e fruito, ne ho vissuto un altro di aspetto. Per ragioni professionali il ministero mi ha mandato ad insegnare a Napoli città, in un triangolo non certo dei più belli sotto il profilo dei rapporti sociali. Ho insegnato in una struttura che faceva riferimento a studenti del professionale che stavano tra San Giovanni a Teduccio, Barra e Ponticelli, quartieri che sono complicati da gestire e per me in principio è stato un dramma, perché la camorra impera e la scuola subiva sistematicamente questi attacchi da parte della malavita. È stata una situazione difficilissima, non capivo, era un mondo talmente diverso, a parte che linguisticamente non li capivo, c’erano rapporti difficili e in certi casi violenti. All’inizio la situazione che mi sono trovata davanti mi ha messo in crisi, poi ho cominciato a muovermi. In quel caso sono partita da un presupposto molto chiaro: anche un solo studente deve essere tutelato nei confronti di situazioni di violenza e di ricatto, anche un singolo episodio deve giustificare l’intervento dell’insegnante, e soprattutto chiarire i principi in base ai quali si sta nella scuola. L’istituzione per prima deve fare in modo che non ci siano confusioni. In particolare è stato faticoso far capire che non si può cedere alla violenza e al ricatto. Sono stata molto dura però doveva passare un messaggio chiaro nei confronti degli alunni, tutti erano eguali, nessuno si poteva permettere di usare violenza nei confronti dei compagni, ne tantomeno certi nomi di famiglia, ben noti nell’ambiente, potevano mettere in soggezione altri alunni, specie in una realtà dove spesso c’erano famiglie in difficoltà finanziarie. Ho fatto tutto quello che ritenevo opportuno fare, per cui per sei anni per sei classi per ogni anno, ho pagato le fotocopie per tutti gli alunni in classe e anche le fotocopie all’inizio dell’anno per tutti i libri. Era l’unico modo per fornire a tutti gli stessi strumenti, e poi … essere estremamente dura. Dura perché praticamente c’era, ed è capitato, chi usciva dall’istituto e andava a fare una rapina. Doveva passare un messaggio chiaro e questo non è stato dato da tutti…c’era qualcuno che ti diceva…”sai quella famiglia fa del bene” ma come si fa a dire certe cose quando si tratta di gente che chiede il pizzo e spaccia droga?
Alcuni hanno cercato la cultura a Napoli, la città, la sua ricchezza. Io ne ho fruito di cultura e di musica. Ho cercato anche di partecipare alla vita della città, ma sotto il profilo professionale ho avuto l’impatto con un altro mondo, quello della sofferenza e della violenza. L’altra faccia della medaglia. È stata un’esperienza molto forte, ci sono famiglie che hanno molti problemi, ragazze che a quindici anni restavano incinte, andavano tutelate, ragazzi con i genitori in galera oppure ammazzati, l’ambiente è questo…
Onestamente Roberto Saviano non ha inventato nulla. Questa è la realtà di Napoli che poi a me non m’abbiano mai bucato le gomme dell’auto e non m’abbiano mai toccato…è positivo… dicevano che ero un carabiniere però avevano stima di me. Chiaro che bisogna porsi in un rapporto di assoluta serietà. Non è mai successo che entrassero in classe senza che io ci fossi, oppure che venissero a scuola senza una giustificazione, perché dopo sarebbero stati dolori. Mi sono comprata due registratori, tutti i materiali didattici me li sono comprata da sola… andavo in giro con una quarantottore con dentro anche fazzoletti da naso perché se andavano in bagno e non c’era la carta igienica gli davo i fazzoletti…e poi fornivo penne… matite…fotocopie…tutti dovevano avere il necessario…non c’erano alibi di sorta. Tutti i ragazzi erano nella stessa condizione per cui a quel punto non c’erano scuse.
In una situazione così difficile, una volta ricordo che venne un neuropsichiatra della asl, era maggio, praticamente a fine anno scolastico, per darci delle “dritte” su come gestire gli alunni in difficoltà. Si azzardò solamente a dire… “…perché voi insegnanti mettete il pilota automatico…”ed io mi tirai immediatamente su, feci un urlo e mandai una lettera di protesta alla asl. Come si fa ad avere un pilota automatico in una classe dove quando fai l’appello ci sono cinque alunni che hanno il padre in galera, alcuni sono difficili, diversi devono essere recuperati ed altri non avevano nemmeno una casa…pilota automatico? …ma per piacere!!!
Pensa che la sua esperienza abbia lasciato un segno…?
Penso di sì, soprattutto ho avuto un riconoscimento molto grande da parte dei miei alunni perché il fatto stesso che alcune ragazze mi cercano su facebook significa che, tutto sommato, anche se in alcuni momenti sono stata rigida, hanno apprezzato….qualcuna l’ho pure bocciata ma non ho mai avuto nessuno che ha chiesto “….ma perché?”. C’è sempre stata la piena consapevolezza che una valutazione faceva riferimento ad un loro percorso, che era bello o meno bello, perché al di là di quello che io avevo fatto c’era una loro assunzione di responsabilità, e l’hanno sempre condivisa chiaramente cercando anche di non vanificare, almeno come presenza a scuola, questo dialogo che si poteva aprire con alcuni alunni che, se avessero avuto troppe difficoltà, avrebbero abbandonato la scuola. E, abbandonare gli studi, significa cadere nelle mani della camorra. Perché la camorra ha tutti gli interessi a far si che i ragazzi non vadano a scuola e diventino la loro manovalanza.
Che cos’è una politica di ampio respiro, il bisogno di ossigenare i polmoni dopo aver scalato le cime del potere oppure la visione da un colle di un infinito che si speri positivo?
Io escluderei assolutamente scalare per il potere. Non esiste proprio. In un sistema democratico ci devono essere dei cittadini che si fanno carico per conto di una comunità di governare. La politica è un impegno positivo che presuppone il dialogo ampio con tutti quanti e un atteggiamento di collaborazione per cui mettiamo insieme e spendiamo le nostre competenze, le nostre professionalità ed anche la buona volontà. Quando si va a governare le problematiche da affrontare vanno ben aldilà delle competenze e del sapere di ognuno, ma si può, anzi di deve lavorare insieme e insieme alla comunità. Se si ha un progetto positivo e un programma che può avere un termine si amministra ma, dopo aver governato, si deve anche ritornare nel privato della vita di ognuno. Poi ci saranno altre persone che faranno altre cose. Fare bene e governare la città deve essere un fine perché arrivare alla politica non è un mezzo per ottenere gratificazione personali né di carriera che magari non si sono avute da altra parte. Come si va a governare si deve anche essere pronti a ritirarsi quando si è concluso un percorso.… questo dovrebbe essere l’obiettivo…
Lo spartito in musica indica una regola per i musicisti e per il direttore d’orchestra, in politica lo stesso termine, lo spartire, indica ben altre cose e forse è quel qualcosa che ha allontanato molte persone dalla politica stessa. C’è un nuovo significato per ridefinire la parola senza associarla a intrallazzo, concussione, corruzione, denaro e mazzette?
Dividersi i compiti e collaborare. Comunque sia è impensabile che si possa essere alla guida di una coalizione molto allargata, oppure anche più ristretta, senza collaborare. Lavorare insieme è l’unico modo per poter operare seriamente. Si tratta di condividere gli impegni e il lavoro tenendo conto di quelli che sono gli obiettivi. Quindi condivisione a livello di programma con i cittadini e condivisione di lavoro e di responsabilità di gruppo nell’amministrazione di una città. Poi sarebbe opportuno riportare la politica ad un valore dell’etica, del rispetto e della trasparenza. Non è possibile prescindere da questo. Non esiste proprio. Laddove entrano di mezzo la mazzetta e l’intrallazzo una cosa è certa: si va contro l’interesse del cittadino e si viene meno a quello che è l’obiettivo primario per il quale si è deciso di fare politica.
Perché lei si è candidata, per orgoglio personale, per miseri calcoli di sezione elettorale, o perché un giorno qualcuno le ha puntato alla tempia un ramoscello di ulivo dicendole “vai, vinci e salvaci tutti”?
Mi fa piacere che nel momento in cui hanno fatto il mio nome lo hanno fatto pensando che potessi essere la persona giusta e all’altezza per quei valori di cui abbiamo discusso anche a caratteri generali e che potessi essere una persona affidabile. E nel fare questa scelta possono aver tenuto conto delle mie esperienze passate e del mio carattere. Aldilà della gratificazione per la valutazione che è stata fatta su di me … non c’è niente che mi spinga a dire “volli, volli, fortissimamente volli”. Penso anche che a livello di partito, quando è stata proposta una rosa di candidati, non ci sono stati calcoli matematici, sono state prese in considerazione le persone che avrebbero potuto avere i requisiti per poter svolgere questo ruolo, e forse hanno visto su di me la persona più anziana di esperienza, e che avrebbe potuto meglio interpretare quelle che fossero le scelte di tutti quanti. Mi rendo conto di questa grande responsabilità e mi rendo conto anche che rispetto ad un progetto di pensionata con tanti interessi, essere sindaco significa doverne tagliare fuori parecchi. Parto dal presupposto che se in questo momento può essere importante per tutti quanti e anche per la città lavorare vorrà dire che ritaglierò meno tempo per gli interessi personali o cercherò comunque di farci entrare qualcosa…comunque lo faccio volentieri…
Quale sarà la seconda cosa che farà quando sarà proclamata sindaco, riunire i partiti della coalizione per cucinare la prima giunta, e in quel caso ci dia subito la ricetta perché gli ingredienti ci appaiono molto variegati, o cercare di svegliarsi da questo incubo?
Intanto sarà un obiettivo arrivare ad avere un risultato positivo alle prossime elezioni…
…poi festeggiare…
Sì, ma per festeggiare c’è il lavoro preparatorio da fare con la coalizione. Il fatto stesso che siamo partiti con tanto anticipo darà la possibilità di conoscerci bene ma soprattutto di lavorare insieme alla città per quello che sarà il programma di governo. Secondo me il programma di governo è l’unica linea che ci deve guidare tutti insieme. Gli obiettivi e i contenuti sono le sole cose che ognuno di noi deve avere in testa. Nient’altro.
Sicuramente lei spera di vincere, ma i candidati che non superano il verdetto elettorale si definiscono “trombati”. “Trombare” è un termine che appartiene al gergo musicale ma anche ad un gergo “squisitamente” sessuale in questo caso per indicare una sconfitta.
Si dice che una sconfitta insegni più di mille vittorie, se venisse “trombata” questa sconfitta che cosa le insegnerebbe?
Si parte da questo obiettivo, vincere. Io ho un progetto per la città e questo progetto deve essere compreso e condiviso dalla cittadinanza e siamo partiti anche dal presupposto di avviare delle consultazioni in modo tale da tener conto di quelle che sono le esigenze di tutto il territorio. Fermo è una città che è costituita da territori con diverse peculiarità, di una parte della città che è più attiva sotto il profilo della produzione, di una parte della città che ha una vocazione turistica e così via. Io mi riferisco alla città nel suo insieme. Il fatto di una possibile sconfitta, dopo il lavoro premilitare, quindi il non arrivare al governo della città…beh questo potrebbe dipendere da una non condivisione del programma da parte dei cittadini. Ovviamente mi auguro che questa cosa non avvenga, cerchiamo di fare in modo invece che ci sia un dialogo costruttivo e possibile con tutti. Noi ci poniamo l’obiettivo di poterla governare, chiaro che poi l’esame di coscienza si farà…ci potremo domandare fino a che punto siamo stati efficaci nella comunicazione. Fino a che punto abbiamo centrato quelli che erano gli obiettivi ritenuti necessari per i cittadini e se sono state comprese tutte le esigenze… mi auguro che ci sia un dialogo per saper leggere meglio le aspettative dei cittadini!
Una curiosità…la politica è anche estetica e se sì in che cosa si visualizza? Doppiopetto, tubino o tailleur? Il luogo comune dice che a sinistra ci si vesta “scasciati” mentre a destra tutti “griffati”. Esiste un’etica che diventa estetica della politica?
Da donna sì, in questo senso, se può servire come esempio: ho avuto l’occasione di vedere, ma nemmeno troppo tempo fa, alcune riprese della Camera dei Deputati, che molto probabilmente si riferivano ad un periodo di chiusura pre-estiva ed ho visto delle signore, riferendomi alle donne, ma il discorso vale anche per l’uomo, combinate in maniera tale che forse sarebbero state meglio sedute davanti ad uno chalet che non alla Camera. Dico questo, le istituzioni sono importanti e vanno rispettate. Il messaggio che deve passare è quello di serietà ed autorevolezza che non è collegabile esclusivamente a quanto e come ci si copra, ma riguarda tutta una serie di atteggiamenti che vanno dal parlare al rispettare.
Il rispetto passa anche nel modo in cui ci si comporta pertanto si deve assolutamente evitare che ci siano degli adeguamenti a certe brutte modalità di comportamento, che molto spesso vediamo anche in televisione, messaggi inaccettabili quindi di scompostezza e violenza verbale. Questo deve avvenire ovunque, in ogni posto di lavoro, l’ho preteso a scuola, e non è solo una questione di forma, la forma si sostanzia in queste cose soprattutto quando si rappresentano le istituzioni e i cittadini.
Il sindaco ha anche il compito di consegnare le chiavi della città ad alcuni personaggi illustri, ma una donna non lascia mai le chiavi di casa a nessuno, anche se illustre, tranne non sia la suocera o la propria madre. Lei, diventando sindaco, al posto delle chiavi a questi personaggi darebbe un libro che illustri la storia e la cultura della città di Fermo, oppure un manuale delle istruzioni che spieghi come trattare con i marchigiani?
Io direi che alle persone illustri innanzitutto affiderei un libro su Fermo perché è troppo bella questa città e ha tante cose da conoscere, ed in primo luogo farei fare un giro in biblioteca come una cosa del tutto preziosa e riservata. Secondo me l’omaggio più grande che si può fare è quello di far conoscere e amare questa città… Come primo segno di ospitalità l’importante è diffondere la conoscenza di questa città…Città ricca di storia e di belle cose…e forse un libro lo regalerei a tutti i Fermani…perché c’è tanto di tanto.
È importante sapere, perché se non ci conosce la città come possiamo pensare di valorizzarla? Non riusciremo nemmeno a proporla. C’è la necessità di recuperare e tutelare tutto un passato che diventa arricchimento e patrimonio personale di ognuno.
Spesso e volentieri mi capita di leggere anche la storia passata e, secondo me, ogni cosa che apprendo in più è una cosa che mi fa piacere, che ricontestualizza questo mio vissuto a Fermo, anche se poi di fatto io non sono Fermata. Mi sono trasferita dall’età di 17 anni. Vengo dal Maceratese, ma non significa certo venire dell’America. Per certi versi la storia di Fermo si è così estesa che di fatto io venivo da un paese vicino, Macerata è condivisa, facevo capo alla Curia Arcivescovile anche per quanto riguarda la parrocchia quindi, in buona sostanza, siamo nella “Fermanità”.
Poi sui Marchigiani, non so se sono i difetti di un tempo, si diceva che sono abituati a lavorare in silenzio, sono poco esibizionisti, riservati…è probabile poi che qualcosa con il tempo sia anche cambiata, e che queste caratteristiche nella sostanza si siano perse con l’evolversi della società.
La nostra passeggiata con Nella è finita, ci siamo salutate e scambiate gli auguri per le prossime feste, per il nostro rispettivo futuro, e per una campagna elettorale basata sui contenuti e non sulle isterie politiche di chi voglia buttare tutto in rissa. Personalmente sono stata contenta del nostro incontro ed anche lei lo è stata, del resto il ritrovarsi fra una professoressa e una sua ex allieva è sempre qualcosa di esaltante e commuovente. Avevo tralasciato di dirvelo ma Nella Brambatti e Laura Gioventù sono già state in contatto fra loro, ed è stato molto emozionante intervistare la propria professoressa di francese dopo tanti anni. Grazie Nella e tanti auguri, e i lettori mi scusino se sembro di parte, ma una professoressa Brambatti spero l’abbiano avuta tutti, almeno una volta, nella vita.
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sabato 20 novembre 2010
INTERVISTA AD ASCANIO CELESTINI
Laura Gioventù incontra Ascanio Celestini.
Giovedì 18 novembre presso il cine-teatro Alecchino di Monte Urano, in occasione della VII edizione del premio letterario nazionale "Paolo Volponi", Ascanio Celestini ha messo in scena per il suo spettacolo "Racconti" e noi, poco prima che salisse sul palcoscenico, lo abbiamo preso in ostaggio e ci siamo fatti raccontare cosa pensasse su gioventù, memoria, tempo, monologhi, provincia e teatro con sincerità e simpatica timidezza.
Che cosa le viene in mente se le dicessi gioventù, penserebbe solo al mio cognome oppure a qualcosa che sfugge anche se tutti lo hanno avuto nelle mani?
Non perché lo dica io prima di qualcun altro, ma perché la strada che è stata imboccata in questi ultimi anni, è l’idea che il Paese intero sia più che giovane…sia una sorta di “adolescente”.
Lo disse Berlusconi qualche tempo fa dicendo che l’italiano medio è come un bambino della seconda media che non siede nemmeno nei primi banchi.
Però effettivamente è vero, la cultura che si esprime in maniera più diffusa, ovviamente parlo dei prodotti culturali più diffusi, per la massa, così come è organizzata l’informazione piuttosto che la politica, in generale sembra come se si rivolgesse esclusivamente ad un gruppo di adolescenti.
Ma anche banalmente nella moda, è come se i vestiti fossero tagliati esclusivamente per adolescenti. Come se anche la sfera sessuale è vissuta come se il popolo fosse tutto adolescente, ma anche nel lavoro, l’idea del lavoro flessibile appartiene ad un ragazzo che ha sedici /diciassette anni, che fa il lavoretto estivo per pagarsi le vacanze insomma per cui …dall’altra parte tutto questo ritorno alla cultura giovanilistica poi ricorda molto quella del fascismo. A parte la canzone goliardica “giovinezza giovinezza” che non nasce con il fascismo ma identificava chiaramente quella che era la cultura del tempo: bisognava essere giovani, efficienti, spensierati.
È un po’ quello che viviamo oggi.
Se accendiamo la televisione vediamo persone di cinquanta sessant’anni, uomini e donne indifferentemente, che si comportano e parlano come ragazzetti di quindici.
Non è un caso che il calcio abbia così tanto successo perché poi la tifoseria esprime proprio la rabbia insensata che ha un giovane.
C’è un sociologo filosofo spagnolo, che si chiama Santiago Lopez Petit, che dice questo, è il dire niente con rabbia. Questo è quello un po’ quello che vedo….anche la Lega è un po’ così…dire niente con rabbia, molta rabbia per poi in realtà non dire quasi niente.
Proviamo a spiegare le nuove forme di poesia dei giovani, le canzoni per esempio. “Siamo figli di mondi diversi, una sola memoria che cancella e disegna distratta la stessa storia” Tiziano Ferro
Secondo me non significa quasi niente, è solo una maniera per mettere in fila le parole.
La memoria non è una sola, noi stessi, ognuno di noi personalmente ha tante memorie differenti e spesso non sappiamo neanche bene cosa realmente è accaduto, che cosa ricordiamo e cosa realmente abbiamo dimenticato, per cui, tanto meno io, penso che ce ne sia una sola che riguardi non mille ma anche solo due persone. Facciamo un viaggio insieme e ci ricordiamo cose diverse oppure le stesse cose hanno prodotto impressioni differenti. La realtà è una deduzione rispetto a quello che viviamo realmente e anzi si avvicina di più al concetto di realtà il racconto di quello che viviamo piuttosto che quello che viviamo davvero, perché finché lo stiamo vivendo è un po’ come, tornando al calcio di prima, la telecronaca di una partita, non sappiamo come va a finire per cui non riusciamo neanche a delimitarla e mondi diversi….non lo so…è una canzone…
Con l’avvento del cinema e della fotografia si sta perdendo il senso della morte, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione e alla fine nessuno muore più veramente. Facilitano il ricordo e la memoria…
Vero, ma prima ancora che il cinema e la fotografia questo lo ha fatto in maniera anche più potente la stampa….oramai l’impressione rispetto a Gutenberg è andata scemando nei secoli, però è la riproducibilità tecnica che produce questo effetto, il fatto che tu puoi continuare a confrontarti con qualcuno o con qualcosa a prescindere dal fatto che questa persona ci sia o non ci sia, esista o non esista.
Allora, fin quanto l’oggetto passa attraverso un’altra persona per cui fin quanto sono io che racconto una storia di mio nonno, che sia morto oppure ancora vivo a te in fin dei conti interessa poco, perché è viva la sua storia.
Nel momento in cui vedi l’immagine filmica televisiva o una fotografia piuttosto che un suo oggetto personale o una cosa scritta da lui chiaramente si salta un passaggio, non c’è più una mediazione e l’oggetto è percepito in maniera diretta.
Però credo che in questi ultimi anni stia succedendo una cosa molto più affascinante e forse anche più pericolosa, ovvero sia l’accesso alle diverse stratificazioni temporali, quindi la possibilità di vedere una fotografia di Mazzini piuttosto che un film degli anni trenta oppure degli anni sessanta, rivedere in televisione una trasmissione che andava in onda negli anni ottanta, questo fa si che noi abbiamo una lettura del tempo passato che è tutto il tempo, chiaramente come se tutto fosse recuperabile. Siamo passati da un idea del tempo ciclico, tipico delle culture orali che vedevano nella ciclicità il ritorno dei giorni, l’alba, il tramonto, le stagioni e quindi l’idea di un tempo che torna sempre, ad un tempo lineare che è quello storico, adesso siamo finiti in un tempo che è una sorta di griglia dalla quale noi possiamo pescare un po’ quello che vogliamo. Il problema poi è che il tempo non è né ciclico né lineare…né una griglia, ma è sempre il nostro interiore, però è sempre a nostra percezione…
Il tempo è un nemico o un alleato, che cos’è il tempo e come lo percepisce un attore che recita anche commedie senza tempo?
Volgarmente è anche un nemico, perché se stai in tournee devi arrivare in orario e il tempo diventa più quello misurato dall’orologio che non quello percepito. Il tempo è sicuramente una delle risorse che di più ci sta sfuggendo dalle mani. È un oggetto che ancora non possiamo comprare ma che stiamo, che vorremo controllare, però lo confondiamo molto con l’orario, con i tempi del lavoro.
Per dire. Marchionne si lamenta del fatto che i suoi operai in Italia non producono abbastanza e che negli stessi tempi in Brasile producono di più, e nelle fabbriche fino a qualche anno fa c’èra un ufficio tempi e metodi per ottimizzare un lavoro che non significa, poi migliorare la vita dell’operaio, anzi, significa avvicinarlo sempre di più da una macchina che funziona bene, il problema è che noi non siamo delle macchine anche volendo e quindi abbiamo bisogno di un tempo, di un tempo assolutamente flessibile e non dare flessibilità al lavoro. Perché in tal caso è il lavoro che diventa flessibile e il tempo non lo è più. In qualsiasi momento cerco di metterci dentro un lavoretto perché devo pagare l’affitto e tutte le altre cose… noi abbiamo proprio bisogno di recuperare il tempo. Il tempo del non lavoro. Abbiamo bisogno di una casa ma abbiamo anche bisogno del tempo per starci dentro, abbiamo bisogno di un tempo pubblico mentre invece abbiamo sempre di più un tempo che compriamo… due ore in pizzeria. Un tempo nel quale non siamo clienti. Un tempo pubblico nel senso che quando esco dalla mia casa privata normalmente vado a passare del tempo in un altro luogo privato…ristorante, trattoria, un cinema, un teatro e allora sembra che la differenza sia tra un consumo di qualità e un consumo che non lo è, e allora chi va a teatro è una persona intelligente mentre chi invece va a vedere un filmaccio di sparatorie americane è uno scemo, però in realtà entrambi stanno spendono dei soldi per occupare uno spazio privato in un luogo privato. Mentre invece noi abbiamo bisogno proprio della piazza del muretto al limite, della strada, della scuola pubblica, ma non perché quella pubblica sia migliore della privata, ma perché la scuola pubblica è nostra e alle 4 e mezza del pomeriggio, quando mio figlio esce da scuola, io dovrei poter dire… beh passiamo altre due ore in questo luogo perché è pubblico… e quindi non ha un limite. Questa è un’idea che noi stiamo perdendo quasi completamente …
Lei si candiderebbe in un partito, semmai un giorno le venisse in mente di farlo, perché sente di dare una mano oppure perché in teatro ai suoi spettacoli non va più nessuno?
Come alternativa al lavoro preferirei andare a fare il cameriere piuttosto che candidarmi.
Prima cosa credo che ci sia una grossa differenza tra gli amministratori locali, il sindaco di un piccolo centro per esempio, rispetto alla politica dei partiti. In un piccolo Comune o una circoscrizione romana trovi una pulizia nella politica che nei partiti normalmente non trovi. Non mi candiderei in politica così come non diventerei sindacalista. Penso che la delega sia un male minore. Delegare qualcuno in parlamento, il voto e mandare qualcuno al senato credo sia un male minore indispensabile, però penso che sia molto meglio se ognuno si prendesse le proprie responsabilità, ci si auto organizzasse, ci si auto governasse insomma, e non mi piace in generale l’idea e il concetto stesso di governo, di qualcuno che si occupa degli altri e gli altri non si possono occupare più di se stessi. Occuparsi degli altri significa aiutare qualcuno ma il governante non aiuta qualcuno evidentemente.
Detto questo è chiaro che anche io faccio la distinzione tra un politico migliore e un politico mafioso, solo che se la faccio sugli altri non vorrei farla su di me, per cui potrei fare l’assessore in un piccolo comune, e lo farei come volontariato per un’organizzazione non governativa per il resto penso, come dice Luciano Canfora, che il politico sia sempre un bugiardo per cui preferisco stare dalla parte di chi inventa, per motivi letterari, piuttosto che dalla parte di chi inventa per motivi istituzionali.
Il Monologo, lo Stand-up teatrale, lo dobbiamo considerare un virtuosismo psico-fisico dell’istrione che vuole mostrare al mondo il suo talento oppure è solo un modo, tipo, forma di fare spettacolo?
Forse entrambe le cose. L’attore monologante senza lo spettatore è solo uno che parla da solo e nel migliore dei casi fa un esercizio che serve a se stessi. Penso però che faccia esercizio anche chi racconta storie a qualcun altro in una dimensione non teatrale. Gerardo Guccini, che è un amico, insegna a Bologna, dice che esistono attori che fanno narrazione, ma non sono dei narratori,ed esistono dei narratori, che raccontano, ma non sono attori, nel senso che esistono attori che vanno in scena e recitano i loro monologhi, ma non stanno facendo narrazione, hanno imparato a memoria un testo e lo interpretano , interpretando un personaggio, mentre ci sono attori narratori che vanno in scena e raccontano delle storie. Magari sono meno bravi degli attori però vanno in scena e raccontano la loro storia. Ecco, io faccio parte di questa seconda categoria, di attori forse meno bravi che però narrano, raccontano storie. Poi ci sono delle persone che non fanno teatro e che forse nemmeno vanno a teatro ma che provano soddisfazione nel raccontare delle storie. E Gerardo dice che certe volte questa gente fa pure tanti figli per avere qualcuno a cui raccontarle, e queste sono le persone che noi conosciamo al bar, incontriamo a scuola, oppure alcuni insegnanti, oppure è il nostro collega di lavoro anche se lavoriamo in fabbrica. Insomma, persone che in qualche maniera provano,come me, soddisfazione nel raccontare delle storie e per questa gente quindi significa anche fare un esercizio mentale. Raccontare il mondo significa non crearlo come ha fatto Dio, ma come ha fatto Adamo, noi raccontiamo per dare un nome alla nostra identità, agli oggetti a quello che succede, alle cose che ci circondano.
Ed il famoso monologo di Marco Paolini sul Vajont come lo classifica? Dopo tanti anni stanno ancora pensando a farci una centrale idroelettrica da quelle parti.
Il Vajont è una cosa abbastanza particolare se non unica. Prima di allora Marco Paolini aveva fatto degli spettacoli molto teatrali quindi molto poco narrati, interpretando tutta una serie di personaggi in una dimensione di interpretazione leggera cioè senza grandi scenografie, però non è un caso che dei suoi quattro album, la regia dei due album come il monologo del Vajont sono di Gabriele Vacis quindi di un regista molto regista, molto presente e il monologo sul Vajont è stato un po’ un cambio di registro che ha segnato il cambiamento della sua scrittura successiva. Io credo che lui sia un grande attore drammaturgo che con gli strumenti che ha a disposizione riesce a rendere al meglio sulla scena, e che il Vajont sia stato un caso unico nella sua produzione perché lui non ha semplicemente costruito una drammaturgia, ma l’ha costruita a partire da elementi straordinari che è la storia stessa del Vajont. Io probabilmente sono un attore meno bravo di Marco, e forse anche meno bravo come drammaturgo, ma faccio un lavoro diverso di ricerca spesso più lungo e complicato , lui è molto più bravo di me se gli danno un libro in mano. È molto bravo a portarlo in scena, riesce a raccontare qualsiasi cosa.
Lei è il vincitore del premio Volponi della precedente edizione (2009). È tornato nelle Marche per ricambiare il favore che le hanno fatto oppure perché è innamorato della nostra terra? Che cosa le piace delle Marche?
In maniera molto meno poetica sono tornato perché mi hanno chiamato, ma sono tornato molto volentieri. Passare per le Marche mi fa sempre una strana impressione. Quando si passa in tournée normalmente si percorre l’autostrada e si vive questa dimensione antimarchigiana del territorio costiero balneare che fa impressione. Queste tonnellate di cemento che arrivano fino ad un palmo dall’acqua mostrano come non ci sia stata, nel secolo passato, un minimo di attenzione alla costa, per cui si vedono questi terribili grattacieli in mezzo alle villette poi però basta andare cinquecento metri all’interno per trovare immediatamente un altro paesaggio. Si passa da una specie di Rimini spalmata su tutta la costa che si stende oltre le Marche ed arriva fino all’Abruzzo ai paesaggi dell’Ariosto. Paesaggi meno visti e meno conosciuti, più rurali rispetto alla Toscana. Vedi un paesaggio spaventosamente bello e completamente distanti dall’idea di un turismo facile che si avverte lungo la costa. Non tutta la costa è così…però… autostrada e ferrovia passano l’uno accanto all’altra e ti mostrano sempre lo stesso mare cementificato….
La nostra è una bella terra, dove si vive tanto bene, tutti ce lo dicono ma noi non sembriamo crederci abbastanza… ci dica un difetto dei marchigiani…
Questo non lo so….
…e quanto di marchigiano c’è in Ascanio Celestini?
…io vivo nella stessa periferia dove sono nato per cui la vita di provincia in qualche maniera se non degenera nell’isolamento si avvicina molto di più ad un idea di decrescita che dovremmo imboccare. L’idea del piccolo centro, della comunità che si conosce, se non diventa chiusa, se non controlla e non si trasforma in un ghetto imbocca una strada interessante anche dal punto di vista dell’auto organizzazione. È curioso vedere che nei piccoli centri marchigiani ci siano dei teatri. Significa che nel tempo si è sentito il bisogno di avere un luogo pubblico - anche se poi spesso i palchetti erano acquistati da privati che se li tenevano per generazioni – dove la comunità si incontra.
Io non vengo dalla provincia ma da una borgata ma insomma si fa una vita molto simile con tutta la degenerazione della provincia, del fatto che nel momento in cui esce fuori dalla condizione di estrema povertà si chiude, nel momento in cui il borgataro c’ha due lire da spendere tira su il muro della propria baracca e si costruisce la propria villetta, appena può si compra il Suv esce di casa solo con il fuoristrada.
Di marchigiano ho la cultura della provincia, del cercare dei riferimenti minimi. Non mi piace vivere la città fatta di cento impegni al giorno. Vivo nel comune di Roma ma la frequento come uno che vive a Rieti o a Tivoli. Vado per una mostra, per il cinema, ma per il resto del tempo sto nella piccola comunità che è la borgata in cui vivo.
Noi abbiamo il Teatro delle Api e il direttore artistico è Neri Marcorè. A lei in quale teatro piacerebbe fare il direttore artistico?
Nessun teatro, io non potrei diventare il direttore artistico di nessun teatro anche perché chiedo molto ad un direttore artistico sia come spettatore sia come artista. Quando 11 anni fa incontrai per la prima volta Mario Martone, che era il direttore del teatro stabile di Roma, il teatro “Argentina”, Mario si occupava pure delle sedie da portare nello spazio in “India”, si preoccupava di visionare tutti i progetti, andare in giro a visionare gli spettacoli. Un direttore del teatro per me deve essere sempre presente. Un direttore del teatro deve essere uno che al massimo fa una sola produzione propria in un anno ma per il resto non può fare altre cose, altrimenti è solo un prestanome e questa è una brutta cosa. In quel caso non devi fare il direttore ma il presidente. un presidente è una carica onorifica, la tessera numero uno dell’associazione.
Io non potrei fare il direttore artistico.
Quando mi è stato proposto per un teatro lo avrei fatto volentieri. Avrei cambiato casa e per tre anni mi sarei stabilito fuori regione ed avrei fatto un lavoro sul territorio. Ma non hanno accettato la mia proposta perché a loro non serviva una figura del genere perché già c’erano i funzionari comunali che se ne occupavano. Avevano solo bisogno di uno che mettesse il nome e la firma e andasse a far spettacoli, solo come “richiamo”. Posso richiamare gente se vado ad una manifestazione politica dai No-TAV in Val di Susa e se la mia presenta può essere utile per portare cinquecento persone ad un presidio umanistico lo faccio volentieri, ma non lo faccio per avere decine di migliaia di euro al mese e mettere il mio nome su un cartellone.
Fare il direttore è una cosa molto bella ma bisogna avere tempo perché poi li vedi quando arrivi nei teatri, vedi subito se c’è una passione dietro. Per prima cosa ti fanno fare tutto il giro, ti fanno vedere i camerini, ti fanno vedere come hanno messo a posto i bagni, se c’è una foresteria sopra, ti dicono dove si mangia, ti raccontano le battaglie che hanno fatto per tenere in piedi il teatro….ecco io quello farei ma certo non da un giorno all’altro. Se me lo chiedessero oggi risponderei nel 2015…o qualcosa del genere…se fai il direttore di un teatro ti ci devi dedicare, ci si deve dedicare come si dedica il gestore di un ristorante…si può essere il titolare di un ristorante e non andare mai nel proprio ristorante e non sapere nemmeno quello che cucinano oppure dare una letta al menù una volta al mese….insomma il cartellone di una stagione teatrale è almeno quanto un menù per cui devi essere almeno il cuoco del ristorante…
di Laura Gioventù
Pubblicato su ... seratiamo.it
Pubblicato su ... informazione.tv
Giovedì 18 novembre presso il cine-teatro Alecchino di Monte Urano, in occasione della VII edizione del premio letterario nazionale "Paolo Volponi", Ascanio Celestini ha messo in scena per il suo spettacolo "Racconti" e noi, poco prima che salisse sul palcoscenico, lo abbiamo preso in ostaggio e ci siamo fatti raccontare cosa pensasse su gioventù, memoria, tempo, monologhi, provincia e teatro con sincerità e simpatica timidezza.
Che cosa le viene in mente se le dicessi gioventù, penserebbe solo al mio cognome oppure a qualcosa che sfugge anche se tutti lo hanno avuto nelle mani?
Non perché lo dica io prima di qualcun altro, ma perché la strada che è stata imboccata in questi ultimi anni, è l’idea che il Paese intero sia più che giovane…sia una sorta di “adolescente”.
Lo disse Berlusconi qualche tempo fa dicendo che l’italiano medio è come un bambino della seconda media che non siede nemmeno nei primi banchi.
Però effettivamente è vero, la cultura che si esprime in maniera più diffusa, ovviamente parlo dei prodotti culturali più diffusi, per la massa, così come è organizzata l’informazione piuttosto che la politica, in generale sembra come se si rivolgesse esclusivamente ad un gruppo di adolescenti.
Ma anche banalmente nella moda, è come se i vestiti fossero tagliati esclusivamente per adolescenti. Come se anche la sfera sessuale è vissuta come se il popolo fosse tutto adolescente, ma anche nel lavoro, l’idea del lavoro flessibile appartiene ad un ragazzo che ha sedici /diciassette anni, che fa il lavoretto estivo per pagarsi le vacanze insomma per cui …dall’altra parte tutto questo ritorno alla cultura giovanilistica poi ricorda molto quella del fascismo. A parte la canzone goliardica “giovinezza giovinezza” che non nasce con il fascismo ma identificava chiaramente quella che era la cultura del tempo: bisognava essere giovani, efficienti, spensierati.
È un po’ quello che viviamo oggi.
Se accendiamo la televisione vediamo persone di cinquanta sessant’anni, uomini e donne indifferentemente, che si comportano e parlano come ragazzetti di quindici.
Non è un caso che il calcio abbia così tanto successo perché poi la tifoseria esprime proprio la rabbia insensata che ha un giovane.
C’è un sociologo filosofo spagnolo, che si chiama Santiago Lopez Petit, che dice questo, è il dire niente con rabbia. Questo è quello un po’ quello che vedo….anche la Lega è un po’ così…dire niente con rabbia, molta rabbia per poi in realtà non dire quasi niente.
Proviamo a spiegare le nuove forme di poesia dei giovani, le canzoni per esempio. “Siamo figli di mondi diversi, una sola memoria che cancella e disegna distratta la stessa storia” Tiziano Ferro
Secondo me non significa quasi niente, è solo una maniera per mettere in fila le parole.
La memoria non è una sola, noi stessi, ognuno di noi personalmente ha tante memorie differenti e spesso non sappiamo neanche bene cosa realmente è accaduto, che cosa ricordiamo e cosa realmente abbiamo dimenticato, per cui, tanto meno io, penso che ce ne sia una sola che riguardi non mille ma anche solo due persone. Facciamo un viaggio insieme e ci ricordiamo cose diverse oppure le stesse cose hanno prodotto impressioni differenti. La realtà è una deduzione rispetto a quello che viviamo realmente e anzi si avvicina di più al concetto di realtà il racconto di quello che viviamo piuttosto che quello che viviamo davvero, perché finché lo stiamo vivendo è un po’ come, tornando al calcio di prima, la telecronaca di una partita, non sappiamo come va a finire per cui non riusciamo neanche a delimitarla e mondi diversi….non lo so…è una canzone…
Con l’avvento del cinema e della fotografia si sta perdendo il senso della morte, oramai sembrano tutti ancora vivi e vegeti vedendoli alla televisione e alla fine nessuno muore più veramente. Facilitano il ricordo e la memoria…
Vero, ma prima ancora che il cinema e la fotografia questo lo ha fatto in maniera anche più potente la stampa….oramai l’impressione rispetto a Gutenberg è andata scemando nei secoli, però è la riproducibilità tecnica che produce questo effetto, il fatto che tu puoi continuare a confrontarti con qualcuno o con qualcosa a prescindere dal fatto che questa persona ci sia o non ci sia, esista o non esista.
Allora, fin quanto l’oggetto passa attraverso un’altra persona per cui fin quanto sono io che racconto una storia di mio nonno, che sia morto oppure ancora vivo a te in fin dei conti interessa poco, perché è viva la sua storia.
Nel momento in cui vedi l’immagine filmica televisiva o una fotografia piuttosto che un suo oggetto personale o una cosa scritta da lui chiaramente si salta un passaggio, non c’è più una mediazione e l’oggetto è percepito in maniera diretta.
Però credo che in questi ultimi anni stia succedendo una cosa molto più affascinante e forse anche più pericolosa, ovvero sia l’accesso alle diverse stratificazioni temporali, quindi la possibilità di vedere una fotografia di Mazzini piuttosto che un film degli anni trenta oppure degli anni sessanta, rivedere in televisione una trasmissione che andava in onda negli anni ottanta, questo fa si che noi abbiamo una lettura del tempo passato che è tutto il tempo, chiaramente come se tutto fosse recuperabile. Siamo passati da un idea del tempo ciclico, tipico delle culture orali che vedevano nella ciclicità il ritorno dei giorni, l’alba, il tramonto, le stagioni e quindi l’idea di un tempo che torna sempre, ad un tempo lineare che è quello storico, adesso siamo finiti in un tempo che è una sorta di griglia dalla quale noi possiamo pescare un po’ quello che vogliamo. Il problema poi è che il tempo non è né ciclico né lineare…né una griglia, ma è sempre il nostro interiore, però è sempre a nostra percezione…
Il tempo è un nemico o un alleato, che cos’è il tempo e come lo percepisce un attore che recita anche commedie senza tempo?
Volgarmente è anche un nemico, perché se stai in tournee devi arrivare in orario e il tempo diventa più quello misurato dall’orologio che non quello percepito. Il tempo è sicuramente una delle risorse che di più ci sta sfuggendo dalle mani. È un oggetto che ancora non possiamo comprare ma che stiamo, che vorremo controllare, però lo confondiamo molto con l’orario, con i tempi del lavoro.
Per dire. Marchionne si lamenta del fatto che i suoi operai in Italia non producono abbastanza e che negli stessi tempi in Brasile producono di più, e nelle fabbriche fino a qualche anno fa c’èra un ufficio tempi e metodi per ottimizzare un lavoro che non significa, poi migliorare la vita dell’operaio, anzi, significa avvicinarlo sempre di più da una macchina che funziona bene, il problema è che noi non siamo delle macchine anche volendo e quindi abbiamo bisogno di un tempo, di un tempo assolutamente flessibile e non dare flessibilità al lavoro. Perché in tal caso è il lavoro che diventa flessibile e il tempo non lo è più. In qualsiasi momento cerco di metterci dentro un lavoretto perché devo pagare l’affitto e tutte le altre cose… noi abbiamo proprio bisogno di recuperare il tempo. Il tempo del non lavoro. Abbiamo bisogno di una casa ma abbiamo anche bisogno del tempo per starci dentro, abbiamo bisogno di un tempo pubblico mentre invece abbiamo sempre di più un tempo che compriamo… due ore in pizzeria. Un tempo nel quale non siamo clienti. Un tempo pubblico nel senso che quando esco dalla mia casa privata normalmente vado a passare del tempo in un altro luogo privato…ristorante, trattoria, un cinema, un teatro e allora sembra che la differenza sia tra un consumo di qualità e un consumo che non lo è, e allora chi va a teatro è una persona intelligente mentre chi invece va a vedere un filmaccio di sparatorie americane è uno scemo, però in realtà entrambi stanno spendono dei soldi per occupare uno spazio privato in un luogo privato. Mentre invece noi abbiamo bisogno proprio della piazza del muretto al limite, della strada, della scuola pubblica, ma non perché quella pubblica sia migliore della privata, ma perché la scuola pubblica è nostra e alle 4 e mezza del pomeriggio, quando mio figlio esce da scuola, io dovrei poter dire… beh passiamo altre due ore in questo luogo perché è pubblico… e quindi non ha un limite. Questa è un’idea che noi stiamo perdendo quasi completamente …
Lei si candiderebbe in un partito, semmai un giorno le venisse in mente di farlo, perché sente di dare una mano oppure perché in teatro ai suoi spettacoli non va più nessuno?
Come alternativa al lavoro preferirei andare a fare il cameriere piuttosto che candidarmi.
Prima cosa credo che ci sia una grossa differenza tra gli amministratori locali, il sindaco di un piccolo centro per esempio, rispetto alla politica dei partiti. In un piccolo Comune o una circoscrizione romana trovi una pulizia nella politica che nei partiti normalmente non trovi. Non mi candiderei in politica così come non diventerei sindacalista. Penso che la delega sia un male minore. Delegare qualcuno in parlamento, il voto e mandare qualcuno al senato credo sia un male minore indispensabile, però penso che sia molto meglio se ognuno si prendesse le proprie responsabilità, ci si auto organizzasse, ci si auto governasse insomma, e non mi piace in generale l’idea e il concetto stesso di governo, di qualcuno che si occupa degli altri e gli altri non si possono occupare più di se stessi. Occuparsi degli altri significa aiutare qualcuno ma il governante non aiuta qualcuno evidentemente.
Detto questo è chiaro che anche io faccio la distinzione tra un politico migliore e un politico mafioso, solo che se la faccio sugli altri non vorrei farla su di me, per cui potrei fare l’assessore in un piccolo comune, e lo farei come volontariato per un’organizzazione non governativa per il resto penso, come dice Luciano Canfora, che il politico sia sempre un bugiardo per cui preferisco stare dalla parte di chi inventa, per motivi letterari, piuttosto che dalla parte di chi inventa per motivi istituzionali.
Il Monologo, lo Stand-up teatrale, lo dobbiamo considerare un virtuosismo psico-fisico dell’istrione che vuole mostrare al mondo il suo talento oppure è solo un modo, tipo, forma di fare spettacolo?
Forse entrambe le cose. L’attore monologante senza lo spettatore è solo uno che parla da solo e nel migliore dei casi fa un esercizio che serve a se stessi. Penso però che faccia esercizio anche chi racconta storie a qualcun altro in una dimensione non teatrale. Gerardo Guccini, che è un amico, insegna a Bologna, dice che esistono attori che fanno narrazione, ma non sono dei narratori,ed esistono dei narratori, che raccontano, ma non sono attori, nel senso che esistono attori che vanno in scena e recitano i loro monologhi, ma non stanno facendo narrazione, hanno imparato a memoria un testo e lo interpretano , interpretando un personaggio, mentre ci sono attori narratori che vanno in scena e raccontano delle storie. Magari sono meno bravi degli attori però vanno in scena e raccontano la loro storia. Ecco, io faccio parte di questa seconda categoria, di attori forse meno bravi che però narrano, raccontano storie. Poi ci sono delle persone che non fanno teatro e che forse nemmeno vanno a teatro ma che provano soddisfazione nel raccontare delle storie. E Gerardo dice che certe volte questa gente fa pure tanti figli per avere qualcuno a cui raccontarle, e queste sono le persone che noi conosciamo al bar, incontriamo a scuola, oppure alcuni insegnanti, oppure è il nostro collega di lavoro anche se lavoriamo in fabbrica. Insomma, persone che in qualche maniera provano,come me, soddisfazione nel raccontare delle storie e per questa gente quindi significa anche fare un esercizio mentale. Raccontare il mondo significa non crearlo come ha fatto Dio, ma come ha fatto Adamo, noi raccontiamo per dare un nome alla nostra identità, agli oggetti a quello che succede, alle cose che ci circondano.
Ed il famoso monologo di Marco Paolini sul Vajont come lo classifica? Dopo tanti anni stanno ancora pensando a farci una centrale idroelettrica da quelle parti.
Il Vajont è una cosa abbastanza particolare se non unica. Prima di allora Marco Paolini aveva fatto degli spettacoli molto teatrali quindi molto poco narrati, interpretando tutta una serie di personaggi in una dimensione di interpretazione leggera cioè senza grandi scenografie, però non è un caso che dei suoi quattro album, la regia dei due album come il monologo del Vajont sono di Gabriele Vacis quindi di un regista molto regista, molto presente e il monologo sul Vajont è stato un po’ un cambio di registro che ha segnato il cambiamento della sua scrittura successiva. Io credo che lui sia un grande attore drammaturgo che con gli strumenti che ha a disposizione riesce a rendere al meglio sulla scena, e che il Vajont sia stato un caso unico nella sua produzione perché lui non ha semplicemente costruito una drammaturgia, ma l’ha costruita a partire da elementi straordinari che è la storia stessa del Vajont. Io probabilmente sono un attore meno bravo di Marco, e forse anche meno bravo come drammaturgo, ma faccio un lavoro diverso di ricerca spesso più lungo e complicato , lui è molto più bravo di me se gli danno un libro in mano. È molto bravo a portarlo in scena, riesce a raccontare qualsiasi cosa.
Lei è il vincitore del premio Volponi della precedente edizione (2009). È tornato nelle Marche per ricambiare il favore che le hanno fatto oppure perché è innamorato della nostra terra? Che cosa le piace delle Marche?
In maniera molto meno poetica sono tornato perché mi hanno chiamato, ma sono tornato molto volentieri. Passare per le Marche mi fa sempre una strana impressione. Quando si passa in tournée normalmente si percorre l’autostrada e si vive questa dimensione antimarchigiana del territorio costiero balneare che fa impressione. Queste tonnellate di cemento che arrivano fino ad un palmo dall’acqua mostrano come non ci sia stata, nel secolo passato, un minimo di attenzione alla costa, per cui si vedono questi terribili grattacieli in mezzo alle villette poi però basta andare cinquecento metri all’interno per trovare immediatamente un altro paesaggio. Si passa da una specie di Rimini spalmata su tutta la costa che si stende oltre le Marche ed arriva fino all’Abruzzo ai paesaggi dell’Ariosto. Paesaggi meno visti e meno conosciuti, più rurali rispetto alla Toscana. Vedi un paesaggio spaventosamente bello e completamente distanti dall’idea di un turismo facile che si avverte lungo la costa. Non tutta la costa è così…però… autostrada e ferrovia passano l’uno accanto all’altra e ti mostrano sempre lo stesso mare cementificato….
La nostra è una bella terra, dove si vive tanto bene, tutti ce lo dicono ma noi non sembriamo crederci abbastanza… ci dica un difetto dei marchigiani…
Questo non lo so….
…e quanto di marchigiano c’è in Ascanio Celestini?
…io vivo nella stessa periferia dove sono nato per cui la vita di provincia in qualche maniera se non degenera nell’isolamento si avvicina molto di più ad un idea di decrescita che dovremmo imboccare. L’idea del piccolo centro, della comunità che si conosce, se non diventa chiusa, se non controlla e non si trasforma in un ghetto imbocca una strada interessante anche dal punto di vista dell’auto organizzazione. È curioso vedere che nei piccoli centri marchigiani ci siano dei teatri. Significa che nel tempo si è sentito il bisogno di avere un luogo pubblico - anche se poi spesso i palchetti erano acquistati da privati che se li tenevano per generazioni – dove la comunità si incontra.
Io non vengo dalla provincia ma da una borgata ma insomma si fa una vita molto simile con tutta la degenerazione della provincia, del fatto che nel momento in cui esce fuori dalla condizione di estrema povertà si chiude, nel momento in cui il borgataro c’ha due lire da spendere tira su il muro della propria baracca e si costruisce la propria villetta, appena può si compra il Suv esce di casa solo con il fuoristrada.
Di marchigiano ho la cultura della provincia, del cercare dei riferimenti minimi. Non mi piace vivere la città fatta di cento impegni al giorno. Vivo nel comune di Roma ma la frequento come uno che vive a Rieti o a Tivoli. Vado per una mostra, per il cinema, ma per il resto del tempo sto nella piccola comunità che è la borgata in cui vivo.
Noi abbiamo il Teatro delle Api e il direttore artistico è Neri Marcorè. A lei in quale teatro piacerebbe fare il direttore artistico?
Nessun teatro, io non potrei diventare il direttore artistico di nessun teatro anche perché chiedo molto ad un direttore artistico sia come spettatore sia come artista. Quando 11 anni fa incontrai per la prima volta Mario Martone, che era il direttore del teatro stabile di Roma, il teatro “Argentina”, Mario si occupava pure delle sedie da portare nello spazio in “India”, si preoccupava di visionare tutti i progetti, andare in giro a visionare gli spettacoli. Un direttore del teatro per me deve essere sempre presente. Un direttore del teatro deve essere uno che al massimo fa una sola produzione propria in un anno ma per il resto non può fare altre cose, altrimenti è solo un prestanome e questa è una brutta cosa. In quel caso non devi fare il direttore ma il presidente. un presidente è una carica onorifica, la tessera numero uno dell’associazione.
Io non potrei fare il direttore artistico.
Quando mi è stato proposto per un teatro lo avrei fatto volentieri. Avrei cambiato casa e per tre anni mi sarei stabilito fuori regione ed avrei fatto un lavoro sul territorio. Ma non hanno accettato la mia proposta perché a loro non serviva una figura del genere perché già c’erano i funzionari comunali che se ne occupavano. Avevano solo bisogno di uno che mettesse il nome e la firma e andasse a far spettacoli, solo come “richiamo”. Posso richiamare gente se vado ad una manifestazione politica dai No-TAV in Val di Susa e se la mia presenta può essere utile per portare cinquecento persone ad un presidio umanistico lo faccio volentieri, ma non lo faccio per avere decine di migliaia di euro al mese e mettere il mio nome su un cartellone.
Fare il direttore è una cosa molto bella ma bisogna avere tempo perché poi li vedi quando arrivi nei teatri, vedi subito se c’è una passione dietro. Per prima cosa ti fanno fare tutto il giro, ti fanno vedere i camerini, ti fanno vedere come hanno messo a posto i bagni, se c’è una foresteria sopra, ti dicono dove si mangia, ti raccontano le battaglie che hanno fatto per tenere in piedi il teatro….ecco io quello farei ma certo non da un giorno all’altro. Se me lo chiedessero oggi risponderei nel 2015…o qualcosa del genere…se fai il direttore di un teatro ti ci devi dedicare, ci si deve dedicare come si dedica il gestore di un ristorante…si può essere il titolare di un ristorante e non andare mai nel proprio ristorante e non sapere nemmeno quello che cucinano oppure dare una letta al menù una volta al mese….insomma il cartellone di una stagione teatrale è almeno quanto un menù per cui devi essere almeno il cuoco del ristorante…
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